La nera immaginazione di Terry Gilliam

Quando da bambino provavo a immaginare un mondo nuovo, diverso e divertente, non lo trovavo mai all’altezza di ciò che scaturiva dalla mente degli adulti. Crescendo capii che, al contrario di un bambino, un adulto usa l’immaginazione tenendo bene a mente il mondo che lo circonda, decidendo al contempo di discostarsi da quei binari e creare un percorso proprio.

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Terry Gilliam è parte di un gruppo di artisti capace di ciò: i suoi binari viaggiano in una realtà che è beffa di se stessa, mentre parla della “nostra” realtà, attingendo da essa per una goccia di critica sociale, esplorando menti umane e una società in cui la follia è caratteristica al contempo ordinaria e rivoluzionaria. Ma soprattutto sogni e incubi di chi, come lui, è venuto al mondo principalmente per potersi divertire liberamente, giocando con le contraddizioni che caratterizzano le nostre vite ordinarie. Con i suoi film riesce così a spingere lo spettatore in mondi sempre nuovi e sconosciuti, pieni d’imprevisti, grazie ad una riconoscibilissima estetica distorta, piena di rimandi gotici (spesso medievaleggianti) e al contempo ricca di azione splapstick: un assurdo miscuglio nel panorama cinematografico che rende i suoi film letteralmente unici e speciali.

Nato in Minnesota nel 1940, Terrence “Terry” Gilliam si dedica all’arte del disegno in giovane età, una passione che gli aprirà le porte come vignettista presso la famosa rivista americana Help! durante gli anni del college.

pythonQuando la rivista chiude i battenti, Gilliam lascia per sempre la natìa America, stanco delle opprimenti condotte poliziesche nei confronti di chi, come lui, alla fine degli anni ’60 ostentava un abbigliamento e capigliatura da hippy. Trasferendosi in Inghilterra, grazie ai contatti creatosi nel precedente lavoro, fonda con Graham Chapman, Eric Idle, Terry Jones, John Cleese e Michael Palin il micidiale e leggendario gruppo comico Monty Python, cambiando per sempre il panorama comico mondiale e potendosi, per i due decenni successivi, prendere liberamente gioco dell’intero universo. Il suo lavoro, quasi esclusivamente indirizzato nella scrittura degli sketch, comprendeva anche la creazione delle varie sequenze animate che troviamo sia nella serie televisiva Monty Python’s flying circus che nelle opere cinematografiche Brian di Nazareth, I Monty Python e il sacro Graal e Il senso della vita.

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Scioltisi nel 1983, Gilliam decide di imbarcarsi finalmente a testa alta nel mondo cinematografico, dedicandosi pienamente alla regia e alla scrittura delle sceneggiatura di film che affollano la sua dirompente immaginazione. Dopo lo sperimentale e suggestivo Jabberwocky ed il piccolo gioiellino de I banditi del tempo, ci troviamo davanti ad uno dei suoi capolavori: Brazil.

Liberamente ispirato al 1984 di George Orwell, il film segue il protagonista Sam, impiegato governativo al Ministero delle Informazioni, ingabbiato in neri e sporchi palazzi dove la burocrazia regna sovrana, mentre nei suoi sogni lo vediamo vestito di scintillanti armature cavalleresche in volo su limpidi cieli. Ma nella realtà il suo animo eroico non esiste: assistendo giornalmente ad attentati terroristici in luoghi pubblici da parte d’insurrezionalisti politici, Sam decide di disinteressarsi e continuare con la sua routine. Il cambiamento avviene dopo l’incontro con Jill, una donna il cui volto ricorre spesso nei suoi sogni, nelle fattezze di un essere angelico e leggiadro; ma anche stavolta la realtà è ben diversa, e Jill si presenta come una rozza, sporca e maleducata lavoratrice di fabbrica, che ovviamente respinge l’amore-ossessione che Sam ostenta nei suoi confronti.brazil_sam Nel frattempo sullo sfondo cominciano a tracciarsi altri eventi funesti, quando la contorta macchina burocratica comincia a barcollare a causa di una piccola e insignificante mosca incastratasi in una stampante, condannando un uomo innocente alla pena di morte, mentre un guasto alle tubature di casa ed una promozione sul lavoro finisce per imbrigliare il sincero Sam in una pericolosa situazione politica, ed i suoi sospetti sul fatto che Jill possa essere un terrorista cominciano a crescere. L’amore riesce a fare aprire gli occhi a Sam, spingendolo a non seguire più degli ordini precostituiti, ma che al contempo sarà per lui una condanna, spingendolo alla ricerca di un’identità individuale che rischierà di portare a un crollo della propria sanità mentale, mentre lo stesso spettatore non riesce più a distinguere il confine tra il sogno, l’incubo e la realtà di una claustrofobica e sporca città guidata da invisibili forze, incarnate non da una persona ma da documenti burocratici da dover compilare.

Il film infine, così come il libro, si erge da monito per lo spettatore, incarnando l’aspetto più pessimista del regista, che continua a scavare nel proprio estro estetico con la successiva opera, Le avventure del barone di Munchausen, ispirata all’omonima raccolta di racconti di Rudolf Erich Raspe.

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Questo film si può considerare la più profonda e mastodontica espressione del lato fiabesco classico del regista –in passato già esplorato nelle opere Jabberwocky, I banditi del tempo ed innumerevoli occasioni in compagnia dei Monty Python-. Verrà inoltre sempre ricordato come uno dei più grandi flop cinematografici della storia -essendo costato 46 milioni di dollari ed avendone incassati soltanto 8- oltre che per i problemi che durante le riprese obbligarono il regista a ridimensionare alcuni degli effetti scenici per mancanza di budget. Dicendo ciò si penserà di andare a vedere un film incompiuto, ma la realtà è totalmente diversa, essendo a oggi tra i suoi più grandi lavori, grazie alla maestria registica di Gilliam, capace di tramutare quelle –poche- incongruenze visive nell’assurda visionarietà delle vicende narrate.

Il barone del titolo è un uomo ormai anziano, le cui avventure di una vita sono rappresentate nel decadente teatro di una città europea nel XVIII secolo assediata dai Turchi. Notando una profonda diversità con quello che realmente accadde nella sua vita, il barone interrompe lo spettacolo e decide di raccontare in prima persona le vicende che, paradossalmente, sono ancora più assurde della finzione teatrale. In una società alle porte dell’Illuminismo –l’età della ragione- il fantasioso barone si sente fuori luogo e inutile, finendo così per una promessa fatta a una bambina, in viaggio per un’ultima avventura, alla ricerca dei suoi vecchi compagni dagli straordinari poteri, per cercare di fermare una guerra di cui nessuno ricorda più le cause, e segretamente manovrata da un ricco signore della città che specula sull’ignoranza della popolazione.adventures-of-baron-munchausen Dopo viaggi sulla luna, all’interno del monte Etna al cospetto delle divinità greche Vulcano e Venere –con cui danzerà fluttuando all’interno del cratere- e fin dentro le fauci di un mostro marino, il magicamente sempre più giovane barone si mostrerà per quello che realmente rappresenta: una pura e potente incarnazione dell’Immaginazione. Un eroe decadente considerato pazzo, un sognatore che riesce sempre a trovare un modo per sfuggire alla morte, ma soprattutto un individuo immaginario e fiabesco a sua volta, che forse non è mai esistito, se non nei suoi stessi racconti tramandati nel corso del tempo. Perché anche con il suo finale positivista, i più attenti spettatori coglieranno un retrogusto acerbo nell’onirica sequenza finale, nonostante le intenzioni di Gilliam siano stavolta ben altre: stuzzicare la nostra percezione delle cose, invitarci a essere ancora sbalorditi dalla vita e dalle mille opportunità che ci offre. Tutto ciò grazie ad una messa in scena estrema, barocca, colorata, giocosamente infantile ma estremamente tangibile.

Ma il disastroso risultato al botteghino di quest’opera lo obbliga, negli anni successivi, ad accettare di dirigere delle storie su commissione, in cui riesce comunque a lasciare un segno più che distintivo. Avviene in modo più sommesso, ma sempre potente, ne La leggenda del re pescatore, grazie ad un protagonista come Robin Williams capace di incanalare la voglia del regista di uscire fuori dagli schemi, elevando quella che in altre mani sarebbe stata una classica commedia romantica.

Segue il thriller fantascientifico L’esercito delle dodici scimmie, ricco di ambientazioni apocalittiche ai limiti del realismo, che riprende il ricorrente tema della “follia” a lui ben caro -non dissociandolo mai dalla caratterizzazione dei personaggi delle sue opere-.fear_and_loathing_in_las_vegas_blu-ray_2
Arriviamo allo psichedelico Paura e delirio a Las Vegas, adattato per volere del protagonista stesso (Johnny Depp, amico dell’autore Hunter S. Thompson) dall’omonimo libro che tratta del viaggio di un giornalista ed il suo avvocato Gonzo nella celeberrima “città del peccato” nei primi anni ’70, trovandosi in un perenne stato di alterazione sensoriale dettato dall’alto -e continuo- tasso di droghe assunte da entrambi.
L’estenuante tecnica di ripresa di Gilliam riesce a farci provare le condizioni in cui si trovano i protagonisti, utilizzando grandangoli deformanti, colori sempre cangianti, musiche, rallenty e telecamere mai statiche ma in perenne condizione d’instabilità. La dimostrazione di come, in assenza di scenografie e costumi, il regista sia in grado di portarci comunque in una dimensione sconosciuta, con il solo utilizzo di una telecamera, degli attori e una storia ricca d’instabilità mentale.

Nel 2005 arrivano ben due film del regista, uno di questi è I fratelli Grimm e l’incantevole strega, considerato anche dal regista stesso il suo peggior film, poiché pesantemente influenzato dalla casa produttrice: “Non è il film che volevano loro” disse Gilliam dopo la conclusione delle riprese “e non è il film che volevo io. E’ un film uscito fuori dal lavoro di due gruppi di persone che non lavorano bene insieme. I produttori mi hanno succhiato via la gioia di fare un film.”

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L’altra opera, al contrario, è il profondamente personale Tideland il mondo capovolto, tratto dall’omonimo libro di Mitch Cullin, dove Gilliam distrugge tutte le norme di buon costume in un film, volenteroso di disturbare lo spettatore, capovolgendo la realtà come mai prima d’ora, affondando a piene mani nel grottesco e nel macabro. Lo fa attraverso gli innocenti occhi di Jeliza-Rose, una bambina di dieci anni che vive con due genitori tossicodipendenti. Dopo la morte della madre per un’overdose di metadone, si trasferisce con il padre in una vecchia casa di campagna, salvo poi rimanere da sola quando anche il padre si addormenta sotto gli effetti di eroina e non si risveglia più. Mentre il corpo si decompone inesorabilmente su una poltrona giorno dopo giorno, Jeliza conosce dei vicini di casa: Dell, una contadina tassidermista che tiene la madre imbalsamata nella sua stanza da letto, e il suo ventenne figlio ritardato Dickens, con cui Jeliza stringerà un forte legame, diventando dapprima una compagna di giochi, poi la sua fidanzata in scene che rasentano la decenza pederastica. Il tutto non viene mai giudicato dal regista o dallo spettatore, per via del modo in cui Jeliza osserva e filtra gliSchermata 2015-04-21 alle 15.49.11 orrori che le capitano, ovvero attraverso una visione fiabesca di ciò che la circonda: lei diviene come una piccola Alice catapultata in un mondo assurdo ma avventuroso; Dell è la tipica strega malvagia delle fiabe e Dickens, con il suo istinto protettivo nei confronti della protagonista, è un principe che cerca di combattere per lei. Gli orrori sono più tangibili che mai, ma il modo in cui la protagonista li affronta ci fa capire come lei riesca a conviverci, seppur non appaia mai meno disturbante per lo spettatore, anzi. L’unico modo per vedere il film è accettare la sua assurdità realistica e lasciarsi trasportare dall’angoscia e dalla speranza: se riuscirete a farcela, ne sarà valsa la pena.

Con L’immaginario del dottor Parnasuss e The Zero Theorem il regista nel 2008 e 2013 continua a esplorare universi e scenari a lui cari e congeniali (quelli puramente immaginifici nel caso del primo film, distopici nel secondo) con la sua solita ottica distorta e instabile, personaggi grotteschi e situazioni sempre al limite fra il ridicolo e l’epico.

imaginarium40La sua agognata prossima opera sarà L’uomo che uccise Don Chisciotte, una rivisitata versione del libro di Cervantes. Non è la prima volta che questo suo impegno spunta nella sua agenda, avendo già provato a girarlo nel lontano 1998, finendo purtroppo per non poter terminare le riprese dopo mesi di preparazioni, a causa di una malattia che colpì l’anziano protagonista, alluvioni che distrussero uno dei set e incompetenze dei produttori che portarono il film in fondo al baratro del disastro. Ma dopo tutto questo tempo, Terry Gilliam è ritornato sui suoi passi e continua a provarci, combattendo contro chiunque gli dica che le sue assurde realtà non possono prendere vita sullo schermo.
Ogni sua opera è un’avventura inaspettata, a volte contorta e apparentemente senza senso, ma che in realtà necessita solo di una mente aperta pronta e far sì che il ciclone dell’immaginazione entri e vi porti dentro le idee di un artista innovativo, infantile, folle e spaventato quanto noi dalla vita, che ha capito essere solo un gioco bellissimo, da poter distruggere e ricostruire quando gli pare.
Almeno nella propria mente, dove ognuno di noi è libero.

“Quale prezzo hanno i vostri sogni?”

DQ

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