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Pop Corno: Aftersun


Ho visto pochissimi film nella mia vita, ma da poco ho deciso che ne voglio pure scrivere: così nasce Pop Corno.


Fa freddo – ma non troppo –, fa buio presto, c’è sempre poca luce: gennaio deve iniziare con un film che ci porti al sole, che riporti alla luce qualcosa per noi – e per i suoi personaggi.

Aftersun (2022) vede la regista Charlotte Wells cimentarsi in un lungometraggio che si muove tra passato e presente, tra riprese homemade e alta definizione, tra sonno e veglia, tra ricordi appannati e prove inconfutabili. È un film a due, un padre e una figlia, che si passano una videocamera durante una vacanza, trasferendoci così anche il punto di vista e lo sguardo, le prospettive su uno stesso evento, le intenzioni. Sophie ha infatti da poco compiuto undici anni e usa l’obbiettivo per intervistare il padre, Calum, che di anni ne sta per compiere trenta e che invece sembra ansioso di raccogliere ricordi e prove della loro felicità. Aftersun è anche un coming of age, la mia tipologia di film preferita, ma in una forma particolare: la vacanza e l’essere lontanə da casa sono spesso il pretesto e il motore per una crescita, ma qui ce n’è una doppia.

Doppio è il compleanno e doppio è il ruolo da imparare a ricoprire – perché anche Calum non ha ancora finito di crescere, specialmente come padre, compito che interpreta goffamente tra slanci e ritirate, come una pelle ancora troppo grande per abitarla con agio. Quella che dovrebbe essere una vacanza per riscoprirsi padre e figlia è anche un incontro con corpi sconosciuti, vite parallele, modi di esistere e le reazioni che suscitano in noi, come ci dicono qualcosa su di noi e su cosa vogliamo essere, come spostano la nostra traiettoria.

Più andiamo avanti nel racconto, tra sfide di pallanuoto in piscina, la macarena ballata dagli animatori del villaggio, la crema solare da spalmare con cura e accuratezza, le visite in giornata alle attrazioni naturali, più compare un altro punto di vista, meno attendibile della telecamera, meno intimo di quello di Calum e Sophie perché non è (più) vicino, meno preciso, meno pulito. Chi sta guardando con noi?

Per tutta la vacanza Calum chiede costantemente a Sophie «Are you looking?» (stai guardando?), «Watch again» (guarda ancora), a riflettere l’ossessione di riprendere tutto con la videocamera e, spesso, riguardarlo poco dopo, la necessità che ci sia unə testimone, il bisogno che ci sia attenzione alta e costante, che nessun istante – nessun frame – vada perso.
Pensiamo sia la motivazione di un padre che voglia trattenere ogni attimo della figlia che cresce, che per l’ultima volta probabilmente accetterà di andare in vacanza con lui, che per la prima volta è tutta per lui, ma forse è quello che dobbiamo fare noi e chi guarda con noi. Tenere gli occhi bene aperti, non chiuderli nemmeno un attimo, per non perdere nulla.

Ispirato all’infanzia di Wells o, meglio, al suo esorcismo, come ha raccontato al Guardian, e alla mancanza di materiali video e di ricordi del padre che gli siano sopravvissuti, Aftersun gioca tra ciò che è lontano e ciò che è vicino, ciò che si ricorda e ciò che succede, ciò che è vero per tuttə e ciò che è vero per noi.

La memoria è una cosa che scivola via.

Charlotte Wells

Attenzione: da qui in poi ci sono spoiler

La giovane donna che veniamo all’inizio con gli occhi chiusi, scopriamo, non è la madre di Sophie ma Sophie stessa, cresciuta, che durante una serata sembra riconoscere Calum tra la folla (o c’è davvero?), vestito come l’ultima volta in cui l’abbiamo visto (e in cui l’ha visto anche lei?), e si getta verso di lui per abbracciarlo? O per iniziare una lotta? Per buttarlo a terra? Per stringerlo ancora?

Quante occasioni abbiamo, veramente?

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