Le cellule staminali: una questione bioetica

Diventa sempre più facile trovare un articolo dedicato all’impiego delle cellule staminali, su giornali e riviste. Ieri era rimbalzata su tutti i giornali la decisione dell’European Medicines Agency (Ema) di autorizzare la commercializzazione della terapia a base di cellule staminali per i bambini affetti da ADA-Scid (una rarissima malattia colpisce i neonati nelle prime settimane di vita con infezioni ricorrenti); stamane «La Repubblica» riportava la notizia di alcuni pazienti che, rimasti disabili in seguito a un ictus, hanno recuperato l’uso di molte funzioni motorie grazie a un trapianto di cellule staminali.

Al centro della ricerca scientifica da anni, le cellule staminali sembrano rappresentare il futuro e insieme la speranza della medicina, eppure il dibattito sociale, etico-religioso e scientifico sul loro uso non accenna a ridursi. Sono molti gli scettici che guardano con sospetto ai risultati finora ottenuti con il trapianto delle staminali adulte, e sono moltissimi quelli che si scagliano contro la ricerca e la sperimentazione sulle staminali embrionali. Ma di questi moltissimi, la maggior parte ha un’idea delle staminali imprecisa, confusa, più vicina alla deriva ideologica che alla comprensione neutra, quasi mai frutto di una problematizzazione personale attentamente ragionata. Proviamo quindi a rispondere ad alcune, semplici domande che possano orientarci nella comprensione di una pratica tanto complessa, a partire dalla più elementare: che cosa sono le cellule staminali?

Le cellule staminali sono cellule primitive non specializzate, dotate della singolare capacità di autorinnovarsi, cioè di autoriprodursi, e di differenziarsi, cioè di trasformarsi, a partire dall’embrione e per tutta la durata della vita di ogni individuo, nei circa 200 diversi tipi cellulari che formano l’organismo: neuroni, cellule della pelle, cellule muscolari, cellule dell’osso…

Le cellule staminali mantengono questa proprietà di trasformarsi, detta potenza, per un periodo limitato: quando raggiungono la maturazione, attraverso un processo che si chiama differenziamento, si specializzano in un tipo di cellula ben definito.

Il processo di maturazione di una cellula staminale si può idealmente dividere in quattro stadi, a ognuno dei quali corrisponde un diverso grado di potenza.

Al primo stadio c’è lo zigote, ovvero la cellula uovo che si origina dalla fusione dei gameti maschile e femminile. È una cellula totipotente, cioè capace di replicarsi in qualunque tipo di cellula fino a costituire un intero organismo.

Al secondo stadio ci sono le staminali embrionali, le cellule dell’embrione nella sua primissima fase di sviluppo (dal concepimento al quarto giorno di gestazione). A differenza dello zigote, le staminali embrionali non si possono replicare in qualunque tipo di cellula (non sono totipotenti), ma mantengono un alto potenziale differenziativo, potendo riprodursi in circa 250 tipi di cellule (e per questo sono dette pluripotenti).Recentemente sono state create in laboratorio delle staminali “artificiali”, le cosiddette staminali pluripotenti indotte, che hanno caratteristiche assimilabili alle staminali embrionali.

Al terzo stadio ci sono le staminali adulte, cioè le cellule che si trovano in tutti i tessuti umani e che sono in grado di differenziarsi solo nei tipi cellulari del tessuto di cui fanno parte, dette multipotenti. In questa tipologia rientrano cellule staminali tra loro molto diverse (del sangue, della pelle, del muscolo ecc.) che definiscono ambiti di ricerca distinti.

Al quarto stadio ci sono i  precursori, cellule bipotenti o unipotentiad alta capacità riproduttiva ma in grado di riprodursi in due o un solo tipo di cellula.

Superata questa fase, le cellule sono a tutti gli effetti cellule mature, che nei casi in cui possono dividersi generano altre cellule mature a loro uguali.

La ricerca medica si concentra principalmente nello studio e nella riproduzione delle cellule staminali del secondo e del terzo stadio, ovvero le staminali embrionali e le staminali adulte.

Le staminali embrionali, essendo pluripotenti e attecchendo molto più facilmente (in quanto cellule giovani e forti), hanno potenzialità notevolmente superiori rispetto alle staminali adulte: potrebbero essere risolutive nel trattamento di organi o tessuti danneggiati, nonché di malattie finora ritenute incurabili come il diabete, l’infarto, il morbo di Parkinson, la sclerosi multipla, la sclerosi laterale amiotrofica, la distrofia muscolare di Duchenne.

Ma la loro potenzialità non ha ancora trovato un’adeguata risposta nella pratica clinica, ostacolata dalla difficoltà e dall’imprevedibilità delle operazioni di sviluppo e di trasformazione delle staminali embrionali, oltre che dalla problematicità etica che la loro estrazione comporta.

Il processo di specializzazione di una cellula staminale embrionale non solo è lungo e costoso, se eseguito in laboratorio, ma non sempre dà buoni frutti: in molti casi le cellule embrionali si sono trasformate in cellule cancerose, causando un tumore (chiamato teratoma) nei topi in cui erano state impiantate. Per questo motivo sono ancora in una fase di sperimentazione.

Un discorso a parte va fatto per le staminali adulte, che hanno potenzialità limitate rispetto a quelle embrionali. Le staminali adulte, che vengono impiegate da alcuni anni per la cura di linfomi, ustioni e leucemie, offrono vantaggi non indifferenti: possono essere impiantate nella stessa persona da cui sono state estratte (senza incorrere in rischi di incompabitibilità) e possono essere usate per la terapia genica (cioè estratte da un paziente portatore di una grave malattia genetica, modificate in laboratorio in modo da riparare il difetto e poi reintrodotte nel paziente). Ma sono difficili da estrarre dai tessuti e, dopo l’estrazione, si moltiplicano poco o muoiono, al punto che non è raro che si rivelino insufficienti nella cura del paziente dopo l’impianto. Molti scienziati ritengono impensabile, per il momento, sperimentare una terapia su larga scala.

Principalmente le staminali adulte vengono estratte dal midollo osseo, dal sangue periferico e dal cordone ombelicale. Per molti anni si è creduto che le staminali del midollo osseo fossero più performanti e garantissero migliori risultati, ma l’invasività delle procedure di prelievo e la progressiva riduzione con l’età del numero di cellule isolate e del loro potenziale differenziativo hanno indotto gli studiosi a ricercare nuove fonti di staminali adulte. Dopo il prelievo, vengono conservate in vitrodove man mano si moltiplicano, fino al raggiungimento di un numero di cellule sufficienti al trapianto. Infine, vengono impiantate nel tessuto da rigenerare, tramite un’operazione chirurgica.

Le cellule staminali – embrionali e adulte – sono al centro di un dibattito civile da molto tempo, ma se quelle adulte destano perplessità meramente biomediche in ambito scientificoquelle embrionali causano problemi interpretativi di ordine bioetico all’intera società, ponendosi come una questione morale, etica, religiosa. Il primo “scontro civile” sulle staminali embrionali risale al 1998, quando alcune cellule furono estratte per la prima volta da embrioni ottenuti con la fecondazione in vitro o tramite clonazione. Alcuni embrioni erano stati distrutti in nome del progresso scientifico, e la società si era spaccata tra i sostenitori di un sacrificio necessario e i detrattori di un omicidio inutile.

Quasi vent’anni dopo, siamo ancora a difendere le stesse opinioni, e chiaramente con gli stessi motivi. Le due posizioni dipendono dalle diverse interpretazioni sia della natura dell’embrione ai primi stadi di sviluppo, sia della definizione di persona fisica.

La Chiesa colloca l’inizio dell’essere umano nel momento del suo concepimento, di conseguenza ritiene che l’embrione sia già una persona fisica; molti – e lo stesso ordinamento italiano – collocano quello stesso inizio al momento della nascita, circa nove mesi dopo lo sviluppo dell’embrione.

Di conseguenza credenti ed esponenti cattolici si battono contro l’uso delle staminali embrionali, mentre altri, che non riconoscono nell’embrione una forma di vita (o una forma di vita superiore a quelle esistenti e bisognose di terapie a base di cellule staminali), sono favorevoli all’estrazione delle staminali embrionali.

Non tutte le religioni sono dello stesso parere:l’Ebraismo e l’Islam sottolineano l’importanza di aiutare gli altri e ritengono che l’embrione non raggiunga il pieno stato di essere umano prima di 40 giorni, permettendo quindi alcune ricerche sugli embrioni; l’Induismo e il Buddismo non hanno posizioni nette a riguardo, credendo nella reincarnazione e nella solidarietà verso i vivi. Nemmeno tutti gli scienziati sono dello stesso parere: alcuni scienziati, guardando alla proprietà tumorigenica sviluppata dalle cellule embrionali impiantate, ritengono che la ricerca sulle staminali debba essere moderata.

Nel frattempo, tra opinioni favorevoli e contrarie, la ricerca scientifica procede, e solo il tempo potrà dirci se il miracolo sia la vita che nasce o quella che si rigenera.

Bibliografia essenziale: Evans MDR and Kelley J. US attitudes toward human embryonic stem cell research. Nature Biotechnology, 2009; Ciranoski D. Stem-cell therapy faces more scrutiny in China. Nature 2009; Relazione al Parlamento sulla PMA del Ministero della Salute, 28 giugno 2011; Giovanni Paolo II. Lettera Enciclica “Evangelium Vitae” (25 marzo 1995); Milano G., Palmerini C.,  La rivoluzione delle cellule staminali, Milano, Feltrinelli Editore; 2005.

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