Lontano dal male: il mio “La mafia uccide solo d’estate”.

– Ma la mafia ucciderà anche noi? – Tranquillo! Ora siamo d’inverno? La mafia uccide solo d’estate!

Di mafia si sente sempre parlare, ma non è mai il momento di dire “Basta!”. Questo è il messaggio essenziale del film La mafia uccide solo d’estate, uscito nelle sale cinematografiche italiane il 28 novembre 2013 e diretto da Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif. Il titolo che è stato dato è, di certo, tagliente, scegliendolo Pif ha voluto riaprire una storica cicatrice: gli anni delle stragi mafiose nella Palermo tra gli anni ’70 e gli anni ’90. Il film è molto più di una pellicola cinematografica, è una sequenza continua che conferisce emozioni che si scontrano e si abbracciano in un tunnel in cui la luce non arriva mai, se non un tenue spiraglio alla fine del film.

La storia d’amore che Pif racconta non è solo quella tra il protagonista, Arturo (Pif) e Flora (Cristiana Capotondi), ma è anche una dichiarazione sentimentale nei confronti della sua terra natìa. Ci si ritrova in una Sicilia conosciuta non soltanto per il mare e gli agrumi, ma anche isola macchiata dalla mafia e dall’omertà della gente. Questo film è un omaggio a tutti gli uomini e le donne che hanno sacrificato la loro vita per i loro ideali ed è – nonostante tutto – l’essenza dell’amore profondo per la propria terra d’origine.

Arturo è un ragazzino palermitano che frequenta le scuole elementari e che ripone tutta la sua ammirazione, ironicamente, in Giulio Andreotti, presidente del consiglio di quegli anni ’70 in cui parlare di mafia era argomento effimero: nessuno vede, nessuno sente, nessuno parla. L’unica cosa che si diceva era che tutte le uccisioni dipendevano dalle donne, questione di innamoramenti. Arturo, per paura, sta lontano dalle bambine, ma poi incontra Flora, di cui si innamora perdutamente. Per conquistarla le poggia sul banco ogni mattina un iris alla ricotta (dolce tipico palermitano) dopo che l’investigatore della Polizia di Stato e capo della Squadra Mobile di Palermo, Boris Giuliano – ucciso dalla mafia il 21 luglio 1979 – glielo offre una mattina a colazione in un bar, facendogli scoprire il piacere di quel gusto. Arturo tenta in tutti i modi di entrare nelle grazie di Flora, cercando di prevalere su Fofò, altro compagnetto di classe, per cui Flora ha un certo interesse.

Un personaggio secondario, ma di grande importanza, è Francesco (Claudio Gioè) che sprona Arturo a sfondare nel mondo del giornalismo. Francesco è il simbolo dei giovani del Sud che lasciano la loro terra in mancanza di lavoro, – a metà del film partirà, accettando l’offerta di un incarico come giornalista al nord – ma è anche l’esempio di quanto sia difficile essere giornalisti in una Sicilia dove Cosa Nostra governa su tutto e tutti: “Essere giornalista non è scrivere quello che vuoi, è scrivere quello che vogliono. E se non gli va bene, ti mettono nella sezione sport”.

Arturo, partecipa al concorso Giornalista per un mese indetto dal padre di Flora, noto banchiere, ed è scrivendo un articolo su un comizio tenuto a Palermo da Andreotti, per cui continua a nutrire una profonda stima, che si aggiudica il premio. Allora, armatosi di coraggio pensa di provare a intervistare il prefetto Dalla Chiesa. “L’Onorevole Andreotti dice che l’emergente criminalità è in Campania e in Calabria. Generale, ha forse sbagliato regione?”, riesce a chiedergli.

Soltanto dopo l’uccisione del prefetto Dalla Chiesa – avvenuta il 3 settembre 1982 in un attentato mafioso – e dall’assenza del presidente del consiglio al funerale che Arturo comincia ad aprire realmente gli occhi, a confrontarsi con la mafia smettendo di ritagliare ed attaccare le fotografie di Andreotti sul suo quaderno. In più Arturo si rattrista per l’uccisione del magistrato Rocco Chinnici, di cui aveva fatto conoscenza prima dell’attentato il 29 luglio 1983, e deve affrontare la partenza immediata di Flora poiché il padre, di cui si comprende velatamente dei suoi patti con la mafia, decide di trasferirsi in Svizzera, posto più sicuro rispetto all’isola.

Gli anni passano, in Sicilia si respira un’aria diversa grazie all’operato di Paolo Borsellino e Giovanni Falcone che danno inizio al maxi processo contro Cosa Nostra. Allo stesso tempo, Arturo è ancora innamorato di Flora e cerca disperatamente un lavoro: entrambi arrivano in modo inaspettato. Flora è tornata dalla Svizzera ed è ora la segretaria di Salvo Lima, politico della DC. Dopo essersi incontrati, è lei che propone ad Arturo l’incarico di diventare giornalista della campagna elettorale di Lima, il quale verrà ucciso il 12 marzo 1992 dalla mafia. Grazie ad Arturo, anche Flora aprirà gli occhi sulla reale situazione palermitana e comincerà anche lei una lotta contro la mafia con Arturo e con tutti gli abitanti di Palermo, sconvolti dalle stragi in cui persero la vita Falcone, il 23 maggio 1992, e Borsellino, il 19 luglio 1992.

Il finale lo si può immaginare, l’amore trionfa, ma non solo quello. La fine regala una morale: i genitori devono tenere lontani i propri figli dal male, ma devono anche farglielo conoscere. La mafia uccide solo d’estate spinge le menti a riflettere ed è una chiave per aprire i cuori, anche quelli più duri, che non possono non sciogliersi di fronte ad una realtà piena di morte, ma anche di amore per la famiglia e di predilezione per la giustizia e l’onore.

Per la sezione Con(di)vergenze Tropismi ha deciso di chiedere un parere anche ad Adriano.

 

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