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Una risposta o la verità: Due Attese di Maurizio Lacavalla

Anche in Due Attese è «un pomeriggio di luglio con la solita aria ferma della controra». In questa immobilità vive da anni la nonna di Salvatore, Margherita, perché immobile è rimasta la storia di Emilio, suo padre, partito per la Seconda Guerra Mondiale e mai più tornato.

 

di Maurizio Lacavalla
Edizioni BD
ISBN: 9788832758061

 

A turbarla è l’arrivo di Eugene, evento cardinale al punto che Salvatore, anche a distanza di anni, ancora deve «ripercorrere il momento più volte al giorno per cercare di capire». Eugene lavora per un’agenzia americana che si occupa di risolvere le attese: ha finalmente risposto a una chiamata della madre di Margherita, che per rintracciare il marito si era rivolta a chiunque, anche a una veggente di Milano.

Ci sono già tanti nomi, in questa storia. Il narratore sembra esserne Salvatore, tutto fuorché onnisciente – anzi, la penombra è la sua zona, quella della casa di nonna Margherita ma anche quella narrativa; a volte a parlarci è Margherita stessa, altre cerchiamo di tenere il passo di Eugene, che invece non ci parla e non spiega ma agisce, esercitando il suo fascino anche sulla lunga distanza temporale, come dimostra il dettaglio del corpo di un Salvatore ormai grande aggrovigliato (abbracciato?) dal filo del telefono che Eugene gli aveva lasciato anni prima. Di chi parla, davvero, questa storia?

Ad aumentare la confusione (o la sospensione), si aggiunge il fatto che Due Attese inizia con un noi che non si ripresenterà più, che ha vissuto in un tempo e in un luogo che non sappiamo:

Abbiamo costruito due colonne nel deserto.
[…]
Abbiamo chiamato i nostri due corpi “Attesa”.
da Due Attese, Maurizio Lacavalla

A leggere l’excerpt della graphic novel, viene da chiedersi se non ci sia un errore. Dovrebbe essere una storia ambientata a Barletta, sulla ricerca di un disperso della Seconda Guerra Mondiale: di quale deserto stiamo parlando? Di quale catastrofe? Quanto sono alte queste colonne? Sono opera umana? Un’atmosfera à la Vonnegut di Mattatoio n.5 comincia ad avvolgere la storia che non ha intenzione di rispondere alle nostre domande: le sospende per sempre. Perché, in Due Attese, più che risposte e soluzioni ci sono tante scene mute.

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da Due Attese

In Due Attese ci sono anche tanti flashback: anticipazioni di intere tavole, rimandi intessuti sapientemente, sospensioni e riprese gestite con maestria – perché la trama non è mai lineare, ma uno scavare all’indietro, un saltare in avanti alla cieca. Così Due Attese subisce una dilatazione temporale continua, spinta all’estremo, in cui la trama stessa sembra lottare per non voler essere risolta, ma si piega e si nasconde ed evade al lettore, negandogli la linearità della soluzione.

Ma non ci si muove nel tempo e nello spazio senza un corpo: Due Attese lo chiarisce già dall’apertura, da quei due corpi da cui ha preso il nome, e dalla presenza di un dettaglio del torace di San Sebastiano, corpo martoriato legato alla colonna per eccellenza. Quelli più eclatanti sono quelli di Emilio, ficcato nel terreno come un palo – o una colonna – e quello di Karl, che senza braccia è dritto come un fuso: due corpi sofferenti, lungamente morenti (tutti moriamo ogni giorno, ma quanto può sopravvivere un uomo sepolto vivo? E quanto un uomo senza braccia?), immobilizzati. Un tratto verticale che ricorre in tutti i personaggi e si spezza nell’unico momento in cui  Margherita crolla dal suo essere colonna immobile e si mostra per quello che è: una donna–bambina–vecchia che soffre.

In più, a rimarcare ulteriormente la mancanza di riferimenti temporali precisi (quanto è passato? o meglio, quanto tempo ci sembra sia passato?) ci pensa il trattamento che Lacavalla riserva ai tratti dei volti: semplificati e accennati, a volte sovrapposti, scomposti o annullati, sempre meno umani. Non c’è bisogno di descrivere, per Lacavalla, per raccontare: basta accennare, suggerire, insinuare.

Due Attese è, innegabilmente, un libro di domande. Tra cui la più importante rimane per sempre inevasa: avere risposte significa avere la verità? E cosa preferiamo, una risposta o la verità?

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