Iconoclasta!: l’inetto, le immagini e la funzione della narrativa popolare

Immaginate un tempo in cui popstar, influencer, cosplayer, cowboy, esseri antropomorfi con teste di animale e qualsiasi altro rappresentante di un certo tipo di immaginario, vengano ordinati santi. E poi immaginate che, per naturale rigetto all’eccedenza, alcuni personaggi illustri e influenti, appoggiati dal Vaticano, spingano verso una totale rimozione delle immagini sacre: tanto le più antiche quanto quelle di ultima generazione. Otterrete, così, un mondo dove i luoghi simbolici del cattolicesimo sono costretti ad impacchettare o rimuovere affreschi, statue e quadri; permettendo ad ognuno di affrancarsi dall’iconografia imperante e credere in qualsiasi forma di religione ritenga più calzante per sé. Se a questo scenario aggiungete poi scomparsi che ritornano, santi che si palesano, culti fondati da giocatori di ruolo vestiti da vampiri e un sagrestano vizioso, indolente e irresponsabile, arriverete all’universo di Iconoclasta!, rutilante e scatenato volume targato Star Comics e firmato, come autore completo, da Paolo Martinello.

Illustratore di fama internazionale e fumettista particolarmente attivo, oltre al resto, tra le pagine di Dylan Dog, Martinello costruisce un’architettura narrativa di notevole intelligenza, che ricorda da vicino proprio l’opera del creatore dell’indagatore dell’incubo bonelliano, Tiziano Sclavi. Come succede nelle migliori storie di quest’ultimo, infatti, anche Iconoclasta! parte da uno spunto paradossale che esaspera e sconvolge il mondo per come lo conosciamo, al fine di tratteggiare uno studio sulla società contemporanea che mescoli alto e basso, in una narrazione che, andando dal filosofico al grottesco passando per l’orrore, alterna comicità irresistibile e momenti di trivialità becera a scene delicate e struggenti. 

Paolo Martinello

Volendo riassumere, il libro racconta, nel contesto storico sopraindicato, le vicende che si snodano attorno alla chiesa di Santa Jennifer, dove la statua di una Madonna con bambino viene decapitata nottetempo da Claudio, cosplayer goht dall’anima tormentata. Un evento scatenante che non turba la sonnolenta vita di provincia, ma sul quale indaga, suo malgrado, il sagrestano maldestro e ignorante Laslo, molestato dalle apparizioni di tre santi sui generis portatori di una misteriosa quanto vitale missione. A infittire ulteriormente la trama, il ritorno della madre di Claudio, che sembra non riconoscere il figlio, e le macchinazioni segrete tra il parroco malinconico don Ardito e la sua ambigua perpetua. 

Santa Jennifer

Come si diceva, però, in questa baraonda di personaggi e situazioni surreali – alcune delle quali vanno iscritte alla categoria dei colpi di genio – la commedia è solo un pretesto per ragionare sul potere delle immagini nella nostra contemporaneità, un epoca in cui l’esasperazione dell’apparire ha cambiato il modo di comunicare, pubblicizzare, promuovere. Persino quello di fare politica. Ma davvero – sembra chiedersi l’autore – abbiamo bisogno di tutte queste icone per dare una direzione alla nostra vita? O lo facciamo ormai semplicemente per abitudine, o per noia, come quei tabagisti che si accendono una sigaretta nauseati, ma incapaci di farne a meno? In fondo siamo (più o meno) tutti ben coscienti che le cose che contano realmente sono altre. 

San Peckinpah

Ed è proprio su questo aspetto che si concentra Martinello, dedicando un ulteriore sottotesto della sua storia ai legami affettivi, al peso dei non detti, ai sensi di colpa che ci trascinano giù. All’abisso che abbiamo dentro, e nascondiamo erigendo impalcature fragili e inconsistenti come un santino sgualcito. E se il gesto più iconoclasta fosse quello di essere sinceri, prima di tutto con noi stessi? Non per niente i personaggi di questo libro sono una riproposizione dell’inetto di Italo Svevo, insoddisfatti e inadatti alla vita, vittime di una psicologia tortuosa e incapaci di godere dei momenti importanti dell’esistenza.

Laslo, apri gli occhi!

Ma se il Martinello scrittore trova la chiave giusta per sposare l’intrattenimento all’analisi, è il Martinello disegnatore a fare la parte del leone, confezionando 300 tavole di rara bellezza. Anche qui c’è tutto, l’alto e il basso, in un miscuglio di stili, coerente e azzeccato, che unisce il fumetto popolare allo studio di anatomia, il western e l’erotico alla precisione architettonica, la pittura sacra a certe contaminazioni pop che sembrano uscite da alcune opere di David LaChapelle. Insomma, Iconoclasta! sprigiona una potenza visiva così varia, eppure unitaria, da ricordare l’immaginario felliniano, dipinto in un bianco e nero che, al contrasto espressionista, preferisce la malinconia dei grigi.

Baraonda

 In conclusione, Iconoclasta! assolve quella che dovrebbe essere la funzione della buona narrativa popolare, parlando, senza peli sulla lingua, sia agli amanti del genere e del divertimento puro, sia ai lettori interessati a più livelli di contenuto. Quello che un tempo sapeva fare il nostro cinema, in una stagione irripetibile dove i film erano in bianco e nero e iconoclasta era un complimento gigantesco.

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