Il me che ami nelle tenebre: nella casa stregata delle relazioni tossiche

Nel fumetto esistono certi sodalizi artistici perfetti. Incontri, non dettati dal caso ma da background comuni e visioni del mondo condivise, che spesso però diventano meccanismi perfetti; unioni in stato di grazia, come quei rapporti sentimentali che magari arrivano tardi nella vita, e per questo dureranno per sempre. Ecco, forse il paragone è un po’ iperbolico, ma l’impressione è che la collaborazione tra Skottie Young e Jorge Corona appartenga proprio a questa categoria. E se Middlewest – serie raccolta in tre volumi che univa il fantasy al romanzo di formazione – era “solo” uno strabiliante esordio, ecco che Il me che ami nelle tenebre, volume unico ancora edito da Bao Publishing, diventa la gradita conferma di un legame che speriamo diventi duraturo nel tempo.

La storia è breve, e tutto sommato semplice: Ro Meadows è una pittrice affermata in crisi creativa, che decide di comprare una nuova casa in cui, è sicura, la vena artistica si risveglierà. Ovviamente la nuova dimora è una vecchia villa decadente che urla “Hill House” da tutti gli angoli, ma Ro non vi fa caso e allestisce, davanti a un bel finestrone, una suggestiva zona di lavoro dove, tra vino e musica d’atmosfera, cerca di partorire una nuova collezione per tranquillizzare il suo gallerista di riferimento. Inutile dire che presto si accorgerà di non essere sola. 

Variazione sul tema della casa stregata, Il me che ami nelle tenebre si presta a più livelli di lettura, primo tra i quali l’eterna lotta tra chi produce arte e il mostro dell’ispirazione. Perché se Ro è la classica artista che fugge un’analisi della sua interiorità che potrebbe risultare dolorosa, imputando a cause esterne ed ambientali una sindrome della tela bianca senza uscita, il confronto con l’oscura presenza e le tenebre della casa altro non è che la lotta contro i suoi fantasmi interiori. Una guerra psicologica che conduce verso il buio che tutti abbiamo dentro, e che, nostro malgrado, è quasi sempre la fonte principale di tutte le opere narrative che produciamo: dai disegni infantili che ritraggono il babau, al romanzo di formazione; dal tema scolastico sul rapporto con mamma e papà, al reportage di non fiction sui temi che più ci fanno male e/o ci stanno a cuore.

Ma un ulteriore sottotesto, e qui sta l’originalità di un autore anticonvenzionale come Skottie Young, lo troviamo proprio nel legame strano, inusuale e morboso che si instaura tra la protagonista e l’entità infestante, che diventa una riflessione originale sulla questione legata alla tossicità di certe relazioni. Perché certo, è sicuramente utile abbracciare e accettare il nostro lato oscuro; ma farlo troppo a lungo, e soprattutto senza l’aiuto di chi ci sta intorno, se a una prima istanza può risultare efficace e terapeutico, alla lunga diventa una gabbia che ci costruiamo con le nostre mani e, soprattutto, con la nostra testa. Proprio come quei legami affettivi, amorosi o, all’opposto, eccessivamente solipsistici, che sfociano in ossessione, stalking, autolesionismo e annullamento di sé stessi. 

Come si diceva in apertura, il punto forte di questo graphic novel sta comunque proprio in un legame che tossico, per fortuna, non è, ovvero il sodalizio artistico tra i due autori. E la scelta di Skottie Young – anch’egli superbo illustratore, ma con uno stile grottesco e caricaturale che non si sarebbe adattato al realismo magico di questa sceneggiatura – di coinvolgere ancora una volta Jorge Corona, va a sublimare un intreccio che il disegnatore venezuelano riveste di romanticismo gotico e influenze cinematografiche mutuate dal genere horror, con una scelta di tagli di inquadratura e uso di campo e fuori campo che restituiscono in modo efficace la sensazione claustrofobica di essere spiati e accerchiati. Ma è quando la storia si addentra sempre più nei meandri della psiche di Ro che i chiaroscuri si fanno più marcati, e Corona orchestra una partitura di tavole che alternano il cinematografico al pittorico, andando a riempirsi gradualmente di elementi, contrasti e caos che strabordano dalla pagina in un finale rutilante e virtuosistico.

Menzione a parte merita la colorazione di Jean-Francois Beaulieu, che evidenzia la frattura netta tra le tinte realistiche del mondo esterno e il mondo espressionista della casa: un universo chiuso che passa dal naturalismo iniziale a una guerra cromatica tra toni freddi e toni caldi, proiezione delle emozioni schizofreniche della protagonista.  

In fin dei conti, Il me che ami nelle tenebre è un ottimo esercizio di stile, confezionato con gusto e originalità. Un’opera stratificata che gioca con l’immaginario di lettrici e lettori, lasciando l’acquolina in bocca in attesa di una prossima – e speriamo più corposa – collaborazione tra Skottie Young e Jorge Corona.

Jorge Corona e Skottie Young
(By Hodges.megan – Own work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=110498970)

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