Mio padre e altri imprevisti – La narrativa oltre i luoghi

Una domanda fondamentale accompagna l’intera esistenza di una persona: “Chi sono?”. A volte ci vogliono anni per cercare una risposta, altre volte questa non arriva mai.

Nome e cognome sono ciò che circoscrivono la nostra storia, il nostro biglietto da visita che presentiamo agli altri e ci permette di nascondere l’interrogativo interno o di evitarlo.

Ma se a mancare fosse la certezza di un cognome cucito addosso alla nascita?

Ecco che il “chi sono” diventa assenza, in seguito ricerca ossessiva che sfocia nell’indagine.

Siamo a Cali, in Colombia, la giornalista Paola Guevara è in riunione. Un messaggio di Alma, la madre, la avvisa che la chiamerà Fernando Lince, il suo probabile vero padre, dopo più di trent’anni passati a chiedersi chi fosse. Così l’autrice sin dalla prima pagina ci prende per mano e ci porta con sé nel percorso che va a ritroso negli anni, per ricomporre il puzzle della sua esistenza. Ci fa muovere tra bugie, mezze verità, sotterfugi, rifiuti e vuoti da colmare per poi tornare al tempo del racconto e seguire gli incontri con Fernando fino al momento del test di paternità. Durante gli appuntamenti raccontarsi storie è l’unico modo di partecipare a un passato non condiviso e costruire un legame.

Come in Carrère la trama della voce narrante si intreccia a quella della storia, dei personaggi che la vivono. La scrittura è al passato, interrotta però dall’uso sapiente del presente storico nei momenti più intensi dei flashback, capaci di attaccare il lettore alla pagina. I capitoli sono costruiti in modo da creare una tensione narrativa che sale gradualmente, per poi acquietarsi fino ad arrivare al picco verso la fine. Paola Guevara utilizza una lingua schietta, genuina, semplice che non può far altro che parlare a tutti. E lo fa con la serenità di chi è riuscito a superare la miseria dei fallimenti degli altri su di sé.

Mio padre e altri imprevisti, portato in Italia dalla casa editrice Cento Autori Edizioni, è un romanzo sulle conseguenze degli errori dei genitori nei figli, sulla ricerca dell’identità nelle proprie radici, sul terrore di essere come chi ci ha generati ma è nostro inevitabile destino. Soprattutto è il romanzo del perdono e delle seconde possibilità.

“[…] La risposta che stavo cercando non era fuori. Era sempre stata dentro di me, scritta nel sangue.”

Pertanto essere in Italia o in Colombia o in qualsiasi altra parte del pianeta non ha importanza. Quello che conta è recuperare il coraggio nascosto negli anfratti del nostro io, riuscire a guardarsi dentro e trovare la risposta che meglio ci fa stare al mondo.

La narrativa è un linguaggio universale, va al di là dei luoghi e del tempo: questo romanzo ne è la conferma.

Marina Longo

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