Alla ricerca di storie diverse | L’albero e la vite di Dola de Jong

Quando si leggono perlopiù autori e autrici che provengono dal mondo anglofono, o che sono influenzati da quella letteratura, ci si dimentica che esistono interi mondi narrativi diversi da quello.

O almeno così succede a me, quando per mesi e mesi mi tuffo nelle profondità della letteratura statunitense, ad esempio, e poi, per puro caso, mi imbatto in un volume ambientato prima della seconda guerra mondiale, scritto da un’olandese di origine ebraica. In quei casi è come riemergere tutto di colpo e prendere una boccata d’aria, una schiaffeggiata di vento freddo che mi ricorda che non esiste un solo modo di fare letteratura. Ed è un ricordo magnifico.

L’ultima volta mi è successo mentre leggevo L’albero e la vite di Dola De Jong (La Nuova Frontiera, traduzione di Laura Pignatti), seduta su una panchina dell’orto botanico di Bruxelles. È un libricino breve, che sono riuscita a leggere in una pausa di sole tra uno scroscio di pioggia e un acquazzone in una delle capitali più piovose d’Europa.

A un primo sguardo, L’albero e la vite si può annoverare nella sezione ‘libri che parlano di amicizie femminili’, come molti ne abbiamo visti negli ultimi anni—un filone inaugurato da L’amica geniale e continuato da tanti altri. Racconta dell’amicizia particolare tra Bea e Erica che comincia nel 1938 a due passi dalla seconda guerra mondiale. La storia è interamente raccontata dal punto di vista di Bea, una ragazza timida e reticente nell’esprimere i suoi sentimenti, attenta a non reagire mai in modo scomposto. Incontra Erica a casa di un’amica e viene attratta dalla sua indole istintiva e ribelle. Una giovane irrequieta, euforica a tratti, capace in pochi istanti di sprofondare nella tenebra dei suoi pensieri. Le due diventano coinquiline e instaurano un rapporto la cui natura non è sempre comprensibile. Un mutuo soccorso che si mescola a una mutua persecuzione, un’amicizia che perde quasi immediatamente la sua ingenuità, lasciando posto a un’inquietudine che la razionalità di Bea non riesce a controllare. Erica vive le sue relazioni liberamente, è attratta dalle donne, e con loro stringe rapporti spesso parassitari, in cui si fa mantenere. È un’artista ed è incapace di amministrare le sue finanze. È brillante e viva, e Bea, a poco a poco, se ne innamora, senza mai permettersi di manifestare quel sentimento. Senza mai nemmeno pronunciarlo.

L’albero e la vite è interessante anche per la sua vicenda editoriale. È stato pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti nel 1954 dopo aver fatto una discreta fatica a trovare un editore, nonostante de Jong fosse giù piuttosto conosciuta per il suo libro precedente. È stato considerato per molto tempo un libro sconcio, sconveniente, a tratti pornografico, proprio per il tema trattato. 

Ma la cosa più affascinante di Dola de Jong, per quanto mi riguarda, è la scrittura. L’albero e la vite è un libro essenzialmente descrittivo, con rarissimi dialoghi, spesso brevi, e lunghi tratti di narrazione. I personaggi non hanno niente dei personaggi che siamo soliti incontrare. Le due non sono particolarmente simpatiche, né sono coraggiose in un periodo storico tanto tetro, non sono eroine né esempi da seguire. Sono esseri umani che ritardano scelte importanti, tentennano, non riescono a separarsi. Sono reali e dolorose, sono personaggi letterari raffinati e incomprensibili.

L’albero e la vite l’ho letto tutto d’un fiato su quella panchina, a Bruxelles, in un pomeriggio in cui il sole faceva capolino solo ogni tanto, e ogni dieci minuti il cielo minacciava di aprile le cateratte. C’erano studenti delle superiori che uscivano da scuola e chiacchieravano in francese passeggiando per il giardino, qualche turista, una coppia che si baciava contro una quercia centenaria e un gruppo di ragazzini che faceva della trap, qualche seduta più avanti. Ho tirato un respiro di puro sollievo, ricordandomi di quante storie, quanta scrittura, quanta vita diversa esiste.

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