Anatomia di un istante 9/15 aprile

Quirinale, lo stemma della presidenza della Repubblica sul leggio. Appena dietro, il volto stanco di Silvio Berlusconi: gli occhi acquosi, i capelli sempre più artificiali, il cerone ingiallito. Ma è sua l’ultima parola: la mano afferra il microfono in una posa strana, più simile a un rapper che a un capo politico. Lo sguardo cerca allo stesso tempo di intimorire, di infondere serietà e di smentirla bonariamente. Di lato, più defilati, Matteo Salvini accompagna Giorgia Meloni all’uscita, la mano sulla schiena. Senza guardarsi indietro.

Doveva essere l’occasione per mostrare unità d’intenti, fedeltà al patto di coalizione, volontà di governare. Il tutto testimoniato da una dichiarazione congiunta, sofferta e calibrata fino al parossismo, introdotta da Berlusconi e letta da Salvini. È finita con l’ennesimo show del leader di Forza Italia, che ha preso il microfono per additare chi non conosce l’abc della democrazia, con riferimento evidente a Luigi Di Maio e al Movimento 5 Stelle. La stampa gli ha cucito un ruolo da padre della patria, paradossale visto il suo profilo decisamente non istituzionale. Rimane la voglia di essere al centro della scena, ancora una volta, di trovare un compromesso con il tempo che passa, la lucidità che viene meno, gli elettori che danno alle spalle. Per l’ennesima volta.

Si ringrazia il Corriere della Sera per la foto

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