Kamala Harris e le sue verità

«I’m here today because of the women who came before me» (1)

Kamala Harris è nata ad Oakland in California. Qui a sinistra da bambina con la sorella minore Maya e la madre, di origini indiane, Shyamala Gopalan

Sono le parole della Vice President Kamala Harris che hanno lasciato il segno dopo la sua elezione. Ancora più di impatto è la sua autobiografia The Truths we hold: An American Journey. In Italia è stato tradotta e pubblicata per la Nave di Teseo. Le nostre verità è la storia di chi, un passo alla volta, una scelta alla volta, ha portato l’esperienza del vivere comune ai vertici della politica mondiale.

I media non scrivono su di lei dei suoi look sempre alla moda o del suo ruolo di moglie, ma parlano del portfolio delle sue esperienze – raccontate nel libro in prima persona. Kamala Jasper Harris, prima di diventare la vicepresidente degli Stati Uniti, ha cominciato la sua carriera nell’ufficio del procuratore distrettuale della contea di Alameda, poi è stata eletta a San Francisco. Come procuratore generale della California ha perseguito gruppi criminali internazionali, grandi banche, compagnie petrolifere e università private, opponendosi anche agli attacchi diretti contro l’Obamacare (la riforma del sistema sanitario dell’ex presidente Obama). Ha aperto la strada alla prima divulgazione a livello nazionale di informazioni sulle disparità razziali nel sistema giudiziario penale, introducendo corsi di formazione sui pregiudizi per gli agenti di polizia e molto altro ancora.

Nella sua autobiografia è chiaro fin dalle prime pagine. È necessario dirci la verità più vera: che il razzismo, il sessismo, l’omofobia, la transfobia e l’antisemitismo sono qualcosa di reale ancora negli USA. Tutto questo lei lo ha vissuto sulla propria pelle personalmente. Ma non è solo la storia della sua famiglia o della sua infanzia, ma anche quella di molte persone che ha incontrato lungo la sua strada. Sono queste che l’hanno resa chi è oggi. Il suo nome, Kamala, significa nella cultura indiana “fiore di loto”, che fuoriesce dalla superficie quando le radici sono ben piantate nel fondale del fiume.

Harris è stata la seconda donna di colore a essere eletta nel Senato americano, ed è oggi la prima donna, la prima persona di colore, la prima indo-americana a essere stata nominata vicepresidente. Come senatrice ha lavorato per aumentare i salari minimi, rendere l’istruzione superiore gratuita per la maggior parte degli americani e tutelare i diritti dei rifugiati e degli immigrati.

Soprattutto per il sistema di giustizia, ha combattuto contro il sistema delle cauzioni, ossia il procedimento per cui puoi essere rilasciato in attesa del processo. Peccato che questo sistema di giustizia penale però punisca le persone per la loro povertà. Queste restano in carcere a spese peraltro dello Stato per aspettare di essere processati. Harris si è da sempre immersa nella battaglia per i diritti civili e la giustizia sociale, provando a cambiare le leggi e gli standard precostituiti.

Adesso sta lavorando con Joe Biden per il piano American Jobs con un piano di investimenti incredibile – è equiparato al New Deal progressista di Roosevelt seguito alla crisi del 1929.

«Can you think of any laws that give the government the power to make decisions about the male body?» (2)

La sua storia personale resta la fonte di ispirazione per affrontare i problemi prendendosi cura di chi non ha mai ricevuto attenzione. Quando viaggia per il Paese, vede nel popolo americano ottimismo. Soprattutto lo vede negli occhi dei bambini di cinque, sette e dieci anni, che avvertono un significato speciale nell’essere parte di un impegno comune agendo, come in marcia verso un futuro migliore. Così come i suoi genitori la portavano sul passeggino alle marce per i diritti civili – i suoi genitori si sono conosciuti mentre partecipavano a una manifestazione e si innamorarono ma erano molto giovani, la loro unione così non durò molto. Il padre, Donald J. Harris, è un’economista di origini afro-jamaicane e professore emerito presso la Stanford University. La madre di origini indiane, si laureò in medicina a 19 anni e lavorò come ricercatrice. Fu lei che si fece carico dell’educazione delle figlie, fu lei la figura più determinante nel rendere Kamala Harris e sua sorella Maya (avvocata e autrice, da sempre impegnata politicamente) le donne che sarebbero diventate.

«La mia sfida quotidiana con me stessa consiste nell’essere parte della soluzione, nell’essere una guerriera gioiosa nella battaglia a venire. La mia sfida per voi è di unirvi a questa impresa. Di alzarvi in piedi per i nostri ideali e i nostri valori» (3)

Kamala Harris con il padre Donald

Harris racconta nel libro la sua infanzia fino, dopo la facoltà di legge, a tutte le sfide e difficoltà che ha fronteggiato per la sua carriera. Da subito ha avvertito il peso dei problemi del sistema che ha sempre fronteggiato, fino alla realizzazione della sua ambizione di diventare procuratore distrettuale. Harris racconta di aver incontrato spesso persone gentili, aperte e desiderose di parlare dei problemi che le toccavano nella vita quotidiana e delle loro speranze per la famiglia e la comunità in cui vivevano. Al tempo stesso ha sempre saputo di lavorare per le vittime: sia quelle dei crimini commessi, sia quelle di un sistema di giustizia criminale che non funzionava affatto. Perché non tutti meritano di essere puniti, spesso hanno bisogno solo di aiuto. Come procuratore ha voluto un’impronta progressista per occuparsi di coloro che sono trascurati, nel prendere la parola per quelle voci che non vengono ascoltate, facendo luce sulla diseguaglianza e sull’iniquità che portano all’ingiustizia.

«Ero cresciuta circondata da persone che lottavano per i diritti civili e per una giustizia uguale per tutti. (…) Mia madre era una ricercatrice nel campo dei tumori al seno. Al pari dei suoi colleghi, sognava il giorno in cui sarebbe stata trovata una cura. Ma non si era fissata su quel sogno lontano; si concentrava solo sul lavoro che aveva davanti a sé. Il lavoro che ci avrebbe portati più vicino al risultato, giorno dopo giorno, anno dopo anno, finché non avremmo tagliato il traguardo» (4)

La sua autobiografia è sapientemente costruita su episodi di vita quotidiana, esperienze, riflessioni, riferimenti storici, persone, piccole e grandi lotte. Nel settimo capitolo Tutti i corpi ad esempio riesce a trattare alla diagnosi di tumore al colon della madre, un’esperienza che tocca a chiunque prima o poi, alla sua analisi del sistema sanitario americano – caratterizzato dalla disfunzione strutturale che priva milioni di americani dell’accesso paritario all’assistenza sanitaria, che è un diritto umano fondamentale. Ha cercato sempre di trarre una lezione dalla sua vita e dai suoi accadimenti. Il cancro – la malattia che la madre aveva dedicato la sua vita di studiosa a combattere – adesso stava aggredendo il suo corpo senza pietà. Di fronte al cedimento del corpo della donna che le aveva insegnato più di tutti, aveva imparato che il declino non è né fluido né stabile, aveva imparato la paura e la tristezza.

Sicuramente si può dire che ha realizzato nella propria vita il cambiamento che ha cercato con la sua voce e le sue azioni. Ed è quello che consiglia a tutti nella sua autobiografia. Si può essere migliore di ciò che siamo aldilà dei giudizi, del conto in banca, della propria etnia o genere. Harris è forse la personificazione del sogno americano, quello dei suoi genitori arrivati in America per cercare diritti e migliori condizioni di vita. Lei è forse la personificazione dell’aver abbracciato l’ordinarietà delle cose, assicurandosi che le soluzioni funzionino realmente per le persone che ne hanno bisogno. Ha fatto in modo che le parole contassero davvero, ha combattuto assiduamente battaglie che valeva la pena di sostenere. Ha imparato che poteva essere la prima, non l’ultima.

Note

(1) Questa citazione è di un tweet, postando un video in cui ricorda la madre e il suo arrivo negli Stati Uniti, Harris ha scritto: «Sono qui oggi grazie alla donne che ci sono state prima di me e che mi hanno preceduto». E ha voluto ricordare le «generazioni di donne afroamericane, asiatiche, bianche, ispaniche, native americane» che hanno fatto la storia del Paese. Donne che «si sono battute per l’uguaglianza e per la libertà» e che «continuano a combattere per i loro diritti».

(2) La domanda Kamala Harris è stata posta al candidato alla Corte Suprema del presidente Donald Trump, Brett Kavanaugh.

(3) Kamala Harris, Le nostre verità, La Nave di Teseo, 2021, pag. 345

(4) Ivi, pagg. 92-93

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