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Desiderare la vita: La casa del Destino di Jessie Burton

Specchi che restituiscono un’immagine e nel farlo la distorcono – più nel tempo che nella forma: non ci interessa la fedeltà, ci importa il racconto che facciamo della realtà.
Specchi che ricoprono un salone in cui si dà una festa, durante la quale dare il meglio di sé per farsi notare e stringere legami propizi. Fingere, per una serata, di essere interessatə e interessanti, di voler essere proprio dove si è.
Finzioni come quelle che si fanno a teatro, dove l’abito giusto e il trucco possono trasformarci, un fondale dipinto diventa sufficiente per viaggiare, il ruolo si smette come un vestito una volta uscitə di scena.

Una festa, uno spettacolo: entrambi momenti sociali, a cui si partecipa anche per mostrare, ribadire e rafforzare il proprio status agli occhi dellə altrə e non solo per passare una piacevole serata. Apparenze da mantenere e preservare.

Di questo parla La casa del Destino (La nave di Teseo, 2023), il nuovo libro della scrittrice Jessie Burton, ma soprattutto ci parla di Thea e di Nella.

Questo è ciò che succede quando cominci a raccontare a qualcuno la tua storia. Diventi ingombrante, per te e per gli altri.

Jessie Burton, La casa del Destino, p. 226

La casa del Destino: il ritorno di Nella

Non è la prima volta che Petronella Oortman appare tra le pagine scritte di Jessie Burton. È la protagonista dell’esordio letterario di Burton, Il miniaturista (da poco in Italia nella trasposizione con Anya Taylor-Joy nel ruolo di Nella), quando giovanissima arriva ad Amsterdam in sposa a un uomo sfuggente.

Ora, in questo nuovo libro, Nella è sulla soglia dei quarant’anni, vedova e senza figli, vive nella stessa casa nel cuore di Amsterdam da diciott’anni con la storica domestica, il partner della cognata e la figlia di lui, che sta raggiungendo la maggiore età. Si chiama Thea, è figlia di Otto, servitore nero del marito di Nella, e della cognata di Nella: i due fratelli sono morti da molto tempo, Johannes annegato, Marin di parto, lasciando Nella e Otto senza la protezione di una delle famiglie più influenti di Amsterdam e con il chiacchiericcio e le malevolenze ad accompagnarli. Lasciandoli impegnati a mantenere le apparenze di una vita normale e rassicurante, a crescere una bimba senza madre e senza passato. Ed è con Thea che inizia questa storia.

La forza vitale di Thea è dirompente: ha diciotto anni, è innamorata, è desiderante e appassionata, riesce a immaginare un futuro per sé e per l’amato con un’energia che sembra sconosciuta a Otto e Nella, che si trascinano da un giorno all’altro in una routine solo apparentemente rassicurante. Gli argini costruiti con cura dai due nel corso degli anni, però, sembrano iniziare a mostrare le crepe dell’usura sotto la spinta della vita di Thea, che vuole conoscere il proprio posto nel mondo e nella storia della famiglia. Ben poco sa infatti di quanto sia successo molti anni prima, di sua madre e dello zio, perché Nella e Otto vogliono che cammini per Amsterdam ed entri a teatro o a una festa senza abbassare lo sguardo, ma tenendo testa e splendendo ben più di tutte le altre ragazze e donne della città.

Perché è arrivato il momento di sposarsi: un matrimonio di convenienza, possibilmente, non tanto per Nella e Otto, che hanno sempre meno risorse e sicurezze, ma per Thea. Perché non debba temere di rimanere sola come loro, di non avere denaro, di non sapere cosa vendere ancora per procurarsi abbastanza monete per un’altra cena, di non avere qualcunə a cui rivolgersi per aiuto, supporto, protezione. Thea, però, è innamorata e fermamente convinta che Nella non la possa capire – probabilmente a ragione: in Thea Nella si specchia, ma distorta. Anche lei ha avuto diciott’anni, con tutta la vita davanti, con un matrimonio in arrivo, eppure le loro vite non potrebbero essere più diverse. Nella invida l’ingenuità di Thea e le sue possibilità e, allo stesso tempo, la ama proprio perché ha ancora l’occasione di salvarsi da un futuro grigio e piatto, perché pur non condividendo né sangue né colore è la vita che ha cresciuto per diciotto anni.

Magari domani, pensa. Magari domani torno e le racconto dove sono stata.
Ma dov’è che è stata, esattamente? Nonostante sia stata in un solo posto, non saprebbe da dove cominciare per descrivere gli anni che costituiscono la struttura portante della sua vita.

Jessie Burton, La casa del Destino, p. 226

Nella non è l’unica a riapparire tra i capitoli de La casa del Destino: presto sui gradini iniziano ad apparire pacchetti indirizzati a Thea che contengono miniature elegantemente lavorate, che sembrano conoscerla nell’intimo – molto più di quanto la conoscano la zia, il padre o la domestica Cornelia. Anche Nella, diciotto anni prima, aveva avuto contatti con il miniaturista e le sue piccole opere, ma perché ora la miniaturista è tornata a seguire i movimenti della sua famiglia? Perché invia a Thea la riproduzione di Walter, il suo innamorato, di una casa e di un ananas? Quale puzzle deve comporre con questi oggetti?

Simbologia di un frutto

Proprio l’ananas è una delle immagini che ritorna più e più volte nel libro: per la prima volta alla festa a casa dei Sarragon, quando viene fatta assaggiare la marmellata e viene prospettato un grande piano di importazione e coltivazione, poi negli affari che Otto e Caspar Witsen (il botanico che doveva assistere Clara Sarragon nelle sue imprese) incominciano a imbastire a discapito della terra di Nella, e infine nella piccola opera che la miniaturista indirizza a Thea.

Una ricchezza di cui disporre a proprio piacimento, che può essere trasferita da un capo all’altro del mondo ignorandone i bisogni, piegando e modificando la nuova terra perché la possa crescere al meglio e privando quella originaria di un suo elemento costitutivo. Simbolo dell’imperialismo e del pre-capitalismo, non sono a livello economico ma, più profondamente, a quello sociale: così Otto, importato come una spezia perché potesse essere usato, così l’impero olandese – come tutti gli altri – si fondava sull’importazione e il commercio di beni dalle colonie, così Thea è un bene che può essere spostato.

Perché La casa del Destino non è solo la storia di una famiglia e di uno scontro tra generazioni: è un ritratto curato di una società, uno spaccato storico e culturale stilato da una mano sapiente che ci conduce sul palco e passeggia con noi tra gli oggetti di scena per mostrarci come non abbiano profondità, ci svela i sapienti trucchi della scenografia e ci porta dietro le quinte per vedere in prima persona cosa succede davvero oltre lo sfavillio di facciata.

A puntare la luce su tutto questo c’è la miniaturista, personaggio alter ego di Jessie Burton – non in quanto persona ma in quanto autrice. Guarda da fuori, come in disparte, ma non può esimersi dal provare a intervenire, per amore e per vocazione: posiziona indizi lungo il cammino dei suoi personaggi perché li colgano, per direzionare la loro vita, per suggerire una possibilità, per creare un imprevisto, aspettando paziente ma con un godo in gola che facciano la sola cosa giusta – tornare a casa.
Quella vera.

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