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Animale – Il silenzio del mondo

Siamo in una galleria d’arte in cui sono esposte le opere del pittore belga René Magritte. Osserviamo i suoi quadri, ci lasciamo travolgere dai colori e dalle forme utilizzate, cerchiamo di intravedere un significato profondo in ogni particolare. Ci sforziamo a pensare una frase intelligente da dire alla persona che abbiamo accanto. Procediamo, opera dopo opera, fino ad arrivare alla sua produzione finale. Qui ogni quadro ci ruba la parola, il pensiero, abbiamo dimenticato l’esistenza del tempo e dello spazio che abitiamo: i soggetti ci restituiscono il silenzio del mondo.

Lo stesso silenzio che ha diviso Giuseppe (omonimo dell’autore di cui vi parlerò, ma attenzione: non è una storia autobiografica) e suo padre Sergio, lo stesso che ha marciato nelle loro vite fino a invaderle.

I due non si parlano da anni, il primo vive a Bologna e il secondo era tornato nelle natie terre siciliane. Un ictus costringe Sergio e il suo corpo in un letto di una clinica, così Giuseppe decide di partire in direzione Giardini Naxos per raggiungerlo.

L’arrivo comporta la vista di un padre stato tale solo nel periodo dell’infanzia, un uomo colto e riconosciuto da tutti che ora spesso non ricorda nulla ed è spaesato, una figura forte e imponente che  ora è disarmata. Il professore, come tutti lo chiamavano, innamorato perso di sua madre che in un momento di perdita del senno l’ha picchiata e lei, non molto dopo, li ha abbandonati. Il silenzio tra i due continua a perpetuare e Giuseppe osserva le condizioni di ogni parte del corpo del padre: quelle ormai legate all’immobilità e quelle che a fatica provano a resistere. Con il passare dei giorni i due iniziano a relazionarsi e Sergio, forse per la prima volta, parla a cuore aperto al figlio. Riaffiorano ricordi d’infanzia, di quello che facevano insieme, ricordi allegri della loro famiglia, della nonna Annina, figura femminile fondamentale. In un via vai dalla clinica piano piano si ricompone il puzzle delle loro esistenze: due uomini simbolo della loro generazione, diversi tra loro (Sergio agisce, è attivo nel presente, Giuseppe invece rimane fermo a guardare il mondo circostante e gli eventi accadere) ma entrambi abbandonati, soli, sconfitti.

Così nella loro diversità scoprono di essere più simili di quanto credevano, soprattutto nell’origine del loro dolore.

Giuseppe Nibali in Animale, il suo romanzo d’esordio pubblicato da Italo Svevo Edizioni nella collana Incursioni, come Magritte ci regala immagini nitide, precise, capaci di trasmettere la forza emotiva che racchiudono. Lo fa tramite una scrittura estremamente visiva e immersiva, in cui ogni parola è stata calibrata, scelta con cura e in cui sono i gesti a parlare. Tutto questo è influenza del linguaggio poetico da cui proviene l’autore.

Per tutto il romanzo il protagonista prova a distaccarsi dalla realtà guardando video di ogni tipo su internet. È come se fossero un pulsante, nonostante le immagini e i suoni, che accende il silenzio nella mente.

Nella struttura dei capitoli la scelta di mini racconti (sono i video guardati dal protagonista e le tre storie raccontate dal padre), che apparentemente non c’entrano nulla con ciò che accade, riescono a dare maggiore potenza alla narrazione e a mettere in risalto il punto chiave del capitolo (stesso meccanismo usato da Philip Ridley nel racconto Una scarpa di sette centimetri e mezzo). L’immagine iniziale dei lupi che ululano apre il cerchio narrativo – e simbolico – chiuso nell’ultimo capitolo dal ritrovamento del corpo di un lupo morente.

Come il pittore belga, Giuseppe Nibali è capace di restituirci quel silenzio intimo che è parte dell’uomo.

Marina Longo

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