Verso Nord, alla ricerca di un posto da chiamare casa

Andare verso nord è un’azione molto ricorrente quando si tratta di cinema o letteratura americana. In quella direzione cavalcavano i pistoleri senza nome, senza passato e senza futuro dei film western di un tempo – o, perlomeno, così rispondevano alla domanda su quale sarebbe stata la loro prossima destinazione. Così come a nord puntavano i cowboys letterari, come quelli del mastodontico Lonsome Dove di Larry McMurtry, cercando nei pascoli inesplorati del Montana quello che il Texas non era più in grado di garantire alla fame dei loro bovini.

Anche Shane, il cavaliere della valle solitaria, andava a Nord
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Se il sud è sempre stato sinonimo di fuga, un movimento verso il basso che implica l’attraversamento di un confine geografico e morale, il nord, dove la montagna cede il passo al deserto, l’aria sembra più buona e il clima più favorevole, ribalta la metafora e permette l’ascensione verso una terra promessa dove ritrovare sé stessi, scacciare l’inferno sotto i piedi e ricominciare da capo una vita alla deriva. Come quella di Allison, la protagonista di Verso Nord, opera seconda di Willy Vlautin che va a completare l’offerta di Jimenez Edizioni dedicata all’autore americano.

Allison ha 22 anni e seri problemi di alcolismo: bere fino a svenire, e passare più tempo possibile in uno stato di incoscienza, è il corollario a un’esistenza fatta di scelte sbagliate, un lavoro da cameriera e una gravidanza indesiderata che Allison non vuole confessare a nessuno. Né alla madre, svampita e indifferente, né alla sorella, sedicenne che progetta di abbandonare la scuola per vagabondare in Messico – a sud – con un generico Junior, né tantomeno a Jimmy, padre del nascituro in equilibrio precario tra i fantasmi della sua infanzia e l’amore verso Allison. Uno che, tra una dose di speed e una tirata contro i messicani, viene divorato dai rimorsi e le promette di portarla a nord, per salvarla da Las Vegas e da un presente che porta solo lacrime e sangue.

Ma a nord Allison ci andrà da sola, mossa da quella creatura che porta in grembo e che rappresenta in tutti i sensi l’inizio di una nuova vita. E pazienza se la fuga comporterà grossi sacrifici e durerà solo i 700 chilometri a nord-ovest che dividono Las Vegas da Reno: perché quel che conta è rimettersi in carreggiata, anche appoggiandosi su nuovi compagni di strada con ferite altrettanto aperte e gambe altrettanto instabili.

Sono tanti gli scrittori che hanno raccontato – e ancora raccontano – l’America dei losers, i reietti delle periferie distrutti nel fisico e nell’anima, ma pochi lo sanno fare con la grazia di Willy Vlautin. Nel mettere in scena l’altra faccia del Nevada dei casinò, diametralmente opposta al kitsch rutilante e pettinato a cui siamo abituati, le sue pagine diventano istantanee dalla pancia del paese allo stesso tempo impietose e cariche di pietà, ossimori mai giudicanti ma con una morale ben definita. Nella vicenda di Allison ci sono la violenza, il dolore, la perdita, la disperazione, la schizofrenia del voler reagire e poi mollare, ma mai la morbosità del dettaglio. Quasi a volerle dare il suo spazio, la giusta distanza per non stringerle la mano e insieme non abbandonarla. Come lei tutti i personaggi di Verso Nord sono accartocciati su loro stessi, a tentare di chiudere la voragine che li dilania continuando a farsi del male, e l’onestà del libro sta proprio nel provare a comprenderli senza compatirli, tenendosi alla larga da qualsiasi formula consolatoria che ci garantisca che tutto andrà bene.

Reno, Nevada
<a href=”http://Ken Lund from Reno, Nevada, USA, CC BY-SA 2.0 http://Ken Lund from Reno, Nevada, USA, CC BY-SA 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0>, via Wikimedia Commons

Nell’immediatezza delle sue 200 pagine, Verso Nord, come una vera e propria fiaba contemporanea, si presta a diverse chiavi di lettura: è un libro sul corpo e su quanto le sue lacerazioni, volontarie e non, ridefiniscano chi siamo; è un libro sulla ricerca delle radici, vere o surrogate che siano; è un libro che parla del bisogno di tutti noi di avere un posto da chiamare casa. È il risveglio dopo una sbronza colossale, quando i contorni sono sfumati e il malessere bussa alla testa, ma non ne sei cosciente finché non metti i piedi per terra e corri a vomitare. È un viaggio verso la speranza sospeso tra sonno e veglia, realtà e sogno. O incubo.  

Perché è l’incubo americano dei survivors che Vlautin vuole raccontare, quello che la morale comune a stelle e strisce si tappa il naso per non annusare e non affrontare. Per l’autore non ci sono vincitori e vinti, solo donne e uomini che sopravvivono, alla ricerca di punti di riferimento che facciano loro da stella polare. E chi se ne importa se, a indicar loro il nord, sarà il più scassato dei Burger King, o il fantasma di un vecchio attore dagli occhi azzurri che viene a regalare perle di saggezza negli stati di semi(n)coscienza.

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