Lavoro come sopravvivenza. Cristo fra i muratori di Pietro di Donato

Che tu sia benedetto Gesù. Ho lottato contro vento e freddo. Una volta ho sistemato le pietre al loro posto con le mie mani mentre l’Edificio cresceva. Ho guadagnato un po’ di pane per me e la mia famiglia.

da Cristo fra i muratori

Pietro di Donato, autore del romanzo Cristo fra i muratori edito da rfb, ha vissuto l’esperienza dell’emigrazione in America. Primo di otto figli abbandona gli studi per contribuire alla sopravvivenza familiare. La vicenda raccontata dallo scrittore è ricca di riferimenti autobiografici e ha inizio nel primo Novecento.

Geremio e Annunziata hanno mille sogni e mille prospettive. Sono due coniugi felici: sposati da tempo e con una prole numerosa sono sbarcati in America in cerca di fortuna e di soldi. Lui lavora come costruttore edile, un lavoro massacrante, svolto senza nessuna misura di protezione e di sicurezza. Ma è pur sempre un lavoro pagato e all’inizio del Novecento non rimaneva che emigrare all’estero per poter sognare un futuro diverso. Ma gli eventi della vita non seguono un binario lineare perché un tragico evento cambierà per sempre l’esistenza di questa famiglia. Non può esserci vita senza lavoro; il lavoro è sopravvivenza.

Lavorare significa avere il nutrimento necessario per andare avanti e non esistono possibilità di scelta per Geremio, costretto a “costruire” in mezzo a una moltitudine di miseria e di ostilità. L’uomo trascorre la maggior parte del tempo lavorando in modo precario. L’unica sua forma di consolazione, a cui rimane aggrappato fino alla fine, è la fede.

Annunziata si ritrova ad un certo momento sola con l’anima spezzata. Un turbinio di dolore che investe anche i propri figli. La donna è inerme davanti a tanta tragedia e nemmeno ai propri figli regala qualche parvenza di sorriso. In attesa dell’arrivo dell’ultimo nato toccherà al fratello Luigi l’incombenza di provvedere alla famiglia.

Il romanzo procede evidenziando la tragicità della condiziona umana in uno stretto dialogo degli opposti. Si alternano voci dissimili volutamente offerte alla mente del lettore attraverso un utilizzo soprannominale curioso: Vincenzo il Nasone, Nick lo Smilzo, Febbre Gialla, l’americana La storpia, Capodiporco, Julio il Grugno, capo Fausta,  i Donovan, i Farabutti, i Loban, i cenciosi, i debitori, il vecchio Santos, Dave il muratore ebreo, Frank lo scozzese, Barney l’irlandese, Tommy l’inglese, Hans il tedesco, Grogan l’americano vero, uomini appesi alle impalcature, in sospeso con la vita stessa, accomunati dalla stessa sorte.

Svanisce il mito americano: l’America, vasta e libera, terra tanto sognata dove tutto è possibile, dall’incontro sessuale momentaneo, all’improvviso arricchimento, all’infortunio impunito, ora è quel luogo dove regnano la solitudine, la povertà e lo sradicamento. In breve tempo si dissolvono i sogni a vantaggio di una drammatica sopravvivenza che porta inevitabilmente anche ad una tragica discendenza lavorativa.

Piccolo Paul mio se solo bastasse la volontà a cambiare il corso degli eventi. Come vorrei che i desideri del cuore bastassero a guarire le nostre pene, a far scomparire queste nuvole funeste da sopra la nostra testa con il sole del desiderio e dissipare con il sonno la paura e la fame.

da Cristo fra i muratori

Si tratta di uomini che condividono una sofferenza forte, drammaticamente segnata dalla fatica, dal rincorrere una qualche forma di benessere tra i mattoni e la calce.  Sono voci di uomini operosi che la necessità del lavoro rimette in moto e risveglia dai freddi invernali e dai torpori estivi.

I volti degli uomini ancora segnati dalla lussuria sfogata, gli aliti appesantiti da spaghetti e carne non digeriti, vino e aglio e tabacco acido, le espressioni assonnate, arcigne, le bocche scontente, i movimenti rigidi, le spalle curve e una lieve fragranza di carne abusata; il silenzio gelido come il mattino. Poi il fischio che segna l’inizio del lavoro e il muoversi innaturale e forzato di corpi e ossa nel rosso e grigio di mattoni e calce, fra le voci degli uomini, e il Lavoro che man mano li rimette in moto e li risveglia dal freddo.

da Cristo fra i muratori

È un’America lontana dal sogno italiano. Perfino il banchetto matrimoniale diventa una ghiotta occasione per cibarsi e per conversare sui motivi della ricerca di lavoro: un’esistenza che spesso coincide con la vita di altri emigrati italiani. Per questa famiglia inizia una ricerca disperata di aiuti e di sussistenza per farsi riconoscere alcuni diritti fondamentali.  È gente semplice, umile che cerca dignitosamente uno squarcio di verità giudiziale. Ma Giustizia e Risarcimento equivalgono allo stesso cantiere di morte.

Il romanzo, pubblicato negli Stati Uniti nel 1939, in un periodo di censura e limitazioni, viene alla luce rivisto con tagli notevoli nel 1941 e nel 1944.  Le vicende editoriali successive sono state molteplici. Oggi grazie all’attenta e curata traduzione a cura di Nicola Manuppelli e alla preziosa prefazione di Sandro Bonvissuto, si può leggere integralmente.

Il racconto  si snoda tra vita e morte, tra immagini molto crude che delineano gli effetti tragici di un lavoro senza sicurezza e l’attaccamento a valori ritenuti essenziali. Aleggia un destino di matrice verghiana, dove l’ineluttabilità degli eventi porta comunque e sempre ad una stessa fine. Cambiano i protagonisti, ma non gli eventi. Si intrecciano dolorosi ricordi e la tragicità di chi è chiamato a testimoniare.

E sullo sfondo ecco quel Dio tanto evocato e rincorso che osserva e tende la mano, che non giudica mai, ma che rimane compagno di consolazione anche in un futuro dai contorni incerti.

Mariangela Lando

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