Arriva HI HERE, l’app per i rifugiati che combina interazione con integrazione

Da un lato, ci siamo noi con le idee ancora parecchio confuse riguardo la situazione dei rifugiati: viviamo il loro arrivo come ce lo propongono i media, prima a ondate, poi tra una notizia e l’altra, senza altre informazioni certe se non quella che stanno arrivando − e che noi non sappiamo bene cosa fare. I dati a cui possiamo accedere sono estremamente ridotti e in genere presentati da una sola delle parti in causa: la nostra, quella del Paese che li riceve. Dall’altro, c’è il significato che «crisi» ha per i rifugiati stessi: il loro arrivo drammatico e spesso disorganizzato, il fuggire da una condizione pericolosa per raggiungerne (se tutto va bene) una ancora più precaria. Nel mezzo, c’è HI HERE.
Ideata da Martina Manara e Caterina Pedò con la collaborazione di un team di laureati internazionali, HI HERE è una App che sta per nascere: renderà più facile per i rifugiati connettersi tra loro, trovare informazioni utili alla loro permanenza, interagire con le autorità e le ONG locali.

Il 26 marzo è partita ufficialmente la campagna di crowdfunding per finanziare il progetto, ma l’idea comincia già a prendere forma nell’estate 2015, quando Martina, durante il Master Msc in Pianificazione Regionale e Urbana (London School of Economics), conduce una ricerca sui sistemi italiani di ricezione dei rifugiati (CARA e SPRAR), a cui ha partecipato anche Caterina, raccogliendo dati sul campo. In quest’occasione, le ragazze hanno avuto modo di intervistare un centinaio di rifugiati nella provincia di Foggia, rendendosi conto dei bisogni più urgenti di chi arriva in cerca di asilo senza risorse proprie. Per esempio, la maggior parte ha utilizzato i propri risparmi per acquistare uno smartphone, in modo da rintracciare i propri cari o cercare nuovi contatti attraverso Facebook e altri social, connettendosi agli hotspot Wi−Fi.

Tutto ciò che voglio è capire gli spazi della realtà e le forze che danno forma alla realtà: forze economiche, sociali e politiche che si manifestano qui e ora, in questo spazio e in questo tempo. (Martina Manara)

HI HERE si propone di aiutare i rifugiati proprio in questo: superando le barriere geografiche che l’accoglienza dispersa causa, permetterà loro di ricreare la rete di conoscenze e di supporto che si era interrotta durante il viaggio.  Allo stesso tempo, permetterà di continuare la raccolta dati sulle strutture che li ospitano grazie al loro contributo, dando valore al “monitoraggio dal basso” e alla loro interazione, oltre che integrazione.
Tramite la campagna di crowdfunding verranno raccolti i fondi per completare la programmazione dell’App, in modo che sia presto (giugno 2016) scaricabile gratuitamente, mentre già in maggio la versione test di HI HERE sarà disponibile nelle città di Trento, Parma e Foggia.

Martina Manara e Caterina Pedò

Martina Manara e Caterina Pedò

Avete individuato tre fattori che aggravano la crisi dei rifugiati, rendendola tale anche per loro: isolamento, mancanza di informazioni, difficoltà a far sentire la propria voce. Prima di cominciare la ricerca nell’estate 2015, avevate già idea che le difficoltà potessero riguardare anche questi aspetti?
Dal 2014 l’aumento dei flussi in entrata è stato tale che ci aspettavamo di trovare un sistema di accoglienza congestionato. Tuttavia, l’entità delle problematiche che abbiamo riscontrato era molto superiore alle nostre attese. Soprattutto − e questo è forse il risultato più inatteso della ricerca − abbiamo scoperto che gli stessi problemi d’isolamento, disinformazione e mancanza di voce possono presentarsi in egual modo tra i richiedenti asilo dei centri di accoglienza e del sistema SPRAR. Questo risultato è interessante perché il sistema SPRAR di accoglienza diffusa nasce con il proposito di promuovere empowerment e integrazione, attraverso la ricezione di richiedenti asilo e rifugiati in appartamenti e strutture di capienza ridotta nelle aree urbane, dove dovrebbero essere erogati servizi tesi all’inclusione sociale. Per questo, direttive EU e UNHCR auspicano che il sistema di ricezione dispersa sostituisca la lunga permanenza dei richiedenti asilo nei centri di accoglienza CARA, spesso sovraffollati e privi di strutture e servizi idonei a processi di inserimento del richiedente asilo nel territorio di accoglienza.
Invece, relativamente al caso studio preso in esame, abbiamo riscontrato gli stessi problemi. Per esempio, abbiamo conosciuto realtà di richiedenti asilo collocati in piccoli contesti rurali, senza servizi né mezzi di trasporto capaci di garantire facile accesso alla città. Abbiamo incontrato associazioni che effettivamente non riescono a garantire i servizi previsti da uno SPRAR, non per loro mancanza, ma perché il contesto socio−economico non è idoneo a programmi di integrazione sul lungo termine, come programmi di alfabetizzazione e progetti formativi o di tirocinio per i richiedenti asilo. Non meno importante, quasi tutti i richiedenti asilo intervistati non hanno accesso a informazioni sul diritto d’asilo, a causa di barriere linguistiche e della complessità del sistema burocratico. Molti ignorano lo stato della loro richiesta, che eppure è decisiva delle loro sorti. Certo, siamo a conoscenza di altre realtà virtuose e progetti SPRAR ben funzionanti in tutta Italia; quello che possiamo dire a seguito delle nostre osservazioni è che in determinati contesti anche i beneficiari SPRAR possono incontrare seri problemi, ben oltre le nostre aspettative iniziali. HI HERE sarà uno strumento utile soprattutto in questi contesti, a supporto dei rifugiati, ma anche delle associazioni che operano nell’accoglienza.

il mosaico dei sostenitori di HI HERE

il mosaico dei sostenitori di HI HERE

Trovo abbia un grande valore che sottolineiate più volte la mancanza di (e quindi la vostra volontà di investire su) empowerment dei rifugiati, come individui e come membri di una comunità. Uno dei modi migliori per fronteggiare il senso di precarietà è creare: mettere a parte del progetto gli stessi interessati è un passo importante; siete emozionate per l’apporto che daranno a HI HERE?
HI HERE si può definire soprattutto un social network. La App mira infatti a creare una rete di informazione e supporto sul tema dell’accoglienza, mettendo l’utilizzatore (lo user) al centro e rendendolo parte attiva. Da qui il nome delle App, che in parte richiama il saluto inglese «Hi there» − «Hey, là»: l’abbiamo pensata come un mezzo per permettere ai rifugiati di dire «Hi there» − «Hey, qui ci sono anche io».
Durante le interviste ci siamo rese conto che richiedenti asilo e rifugiati soffrono della mancanza d’interlocutori e di spazi appropriati per dare voce alla loro presenza. Il rifugiato, quindi, è al centro di HI HERE e questo è indispensabile per tre ragioni. Primo, attraverso HI HERE lo user potrà ritrovare i contatti di altri rifugiati e ricostituire una comunità di persone accomunate dall’esperienza della fuga e dell’insediamento in Europa. Questo è essenziale come fonte di supporto morale e pratico, perché molto spesso i richiedenti asilo si trovano a fronteggiare le stesse problematiche. Secondo, attraverso HI HERE, richiedenti asilo e rifugiati cesseranno di essere ricettori passivi di accoglienza. Per esempio, potranno essere loro stessi organizzatori di attività d’intrattenimento e d’integrazione, che potranno poi condividere con altri richiedenti asilo, le organizzazioni e le comunità locali su un’apposita pagina della App. Inoltre, la sezione informativa in cinque lingue darà a richiedenti asilo e rifugiati i mezzi per comprendere e rendersi più autonomi rispetto al diritto d’asilo e le procedure burocratiche. Da ultimo, HI HERE nasce per dare voce ai rifugiati. È il momento di demistificare le numerose leggende e raccontare il sistema di accoglienza per quello che è veramente, con i suoi grandi meriti, ma anche le sue falle. Chi è più idoneo a fare questo che i rifugiati stessi? Finalmente, loro potranno raccontare la propria esperienza di accoglienza. Il team di HI HERE avrà il compito di redigere dei report, che serviranno ad aumentare la trasparenza del sistema di accoglienza e a perfezionare alcune sue lacune.
Ovviamente i rifugiati non saranno gli unici user. Se l’obiettivo è migliorare le condizioni vitali nei territori in cui avviene l’accoglienza, anche le ONG e le persone locali avranno il loro spazio nella App. La comunicazione e l’informazione sono essenziali per distruggere alcuni luoghi comuni e facilitare l’integrazione.

Una ricerca non è finita finché non porta all’azione e al cambiamento. (Caterina Pedò)

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