Spunti per una riflessione su diritti sociali e Basic Income

Vorrei riportare all’attenzione di tutti una riflessione giusfilosofica sui diritti sociali e su come essi siano caduti in ombra, attraverso un processo di svalutazione, in questo periodo della storia. Si aggiunge in questo momento della loro evoluzione storica la crisi economica e finanziaria che condiziona inevitabilmente la loro aleatorietà. Tali questioni in relazione alla rete di protezione sociale, vera garanzia del Welfare State, non solo sono stati oggetto di mie ricerche ma sono ormai sempre più stringenti. Quella che è la proclamata universalità dei diritti si rende inefficace nella pratica all’interno dei diversi scenari dell’Unione Europea. Vorrei proporre dunque un punto di partenza per ulteriori e possibili questioni che riguardano la relazione tra capitale umano e inclusione sociale. Una delle problematiche fondamentali è quella della divisione, specie morale, all’interno del catalogo dei diritti umani tra i diritti civili e politici che sono considerati diritti di libertà, “economici”, di prima categoria e generazione, e i diritti sociali che sarebbero diritti di uguaglianza, “costosi” e di second’ordine e generazione. Tutti i diritti devono essere considerati rappresentanti di una libertà e un’uguaglianza reali a livello giuridico e costituzionale. I diritti, oggetto di svariate proposte teoriche, sono stati stretti ormai dentro vincoli e categorie che oggi sono delle “gabbie”. Diritto cardine e padre di tutti gli altri diritti sociali è il diritto al lavoro. Una qualsiasi democrazia considera la relazione tra lavoro e cittadinanza necessaria e convivente. I diritti sociali tendono essenzialmente all’uguaglianza mentre il mercato produce sicuramente diseguaglianza. È Thomas Humphrey Marshall che auspica la riuscita da parte dei diritti sociali come “eliminatori” di diseguaglianza sociale o auspica almeno che quelli possano modificarne la struttura. La cittadinanza, proprio in senso marshalliano, è indice di piena appartenenza ad una comunità. Particolarmente la negazione del nesso fra i diritti e tale appartenenza rischia di impoverire il patrimonio di valori politici della cultura democratica. La cittadinanza appartiene a quello spazio entro il quale vengono rivendicati e conquistati i diritti attraverso lotte incessanti. Il successo e il tracollo della stessa vita di ogni cittadino è eticamente dipendente dal successo o dal tracollo della vita comunitaria.

Thomas Humphrey Marshall

Thomas Humphrey Marshall, autore del celeberrimo “Citizenship and Social Class”

Il diritto al lavoro, se ignorato, comprometterebbe surrettiziamente il rispetto di diritti civili e politici come il diritto al voto (senza un diritto all’istruzione) o a quello alla vita (senza un diritto alla salute). Si verrebbe a sacrificare la base materiale della democrazia, significherebbe rompere il nesso tra libertà ed eguaglianza. L’obiettivo principale del mio lavoro di tesi è stato quello di riformulare un discorso giuridico e filosofico sui diritti umani, dunque, riportando al ruolo che spetta i diritti sociali all’interno di ogni democrazia. Altra questione da considerare è come il diritto al lavoro sia un diritto di inclusione alla cittadinanza attiva. È importante riportare in auge l’idea che la nostra società dovrebbe essere una società di simili anche di fronte a un pluralismo di bisogni che essa comporta. Ciò che deve essere ripensata è la capacità politica collettiva: ogni cittadino dovrebbe essere fornito del potere di agire, rivendicare, lottare per emanciparsi da situazioni di disagio e privazione sociale. Diseguaglianza, povertà e insicurezza impediscono l’effettiva e attiva partecipazione degli individui, anche se non lavoratori, alla cittadinanza. Allo stesso tempo per dare nutrimento al capitale umano presente in UE si rende necessaria una misura per ristabilire anche la relazione tra qualità della vita e lo stesso capitale umano. Di fronte alla crisi del diritto al lavoro, l’ipotesi che vorrei riprendere è quella elaborata da alcuni teorici e accademici: la teoria del Basic Income, un reddito di base. Il Welfare non si salverà dalla pressione della competitività, secondo il principale teorico, Philippe Van Parijs, se non si opererà sulle basi di un reddito di base incondizionato e universale, stando a una delle sue ultime teorizzazioni, chiamato anche Euro-dividend (circa 200 euro) erogato al mese a ogni residente che paga le tasse nell’UE e finanziato grazie alle imposte sul valore aggiunto del 19% modulabile sul costo della vita. Tale reddito permetterebbe di stabilizzare i sistemi fiscali dei paesi europei che oggi sono fortemente divergenti, inoltre andrebbe a sostenere i singoli sistemi sociali e li integrerebbe in un sistema di protezione continentale garantendo la possibilità di un equilibrio tra la giustizia sociale e il dinamismo economico. È perciò possibile applicare una teoria del genere oggi? Quel che è certo è che ci sono stati già esperimenti simili. In Alaska è esistito un dividendo, chiamato Alaska Permanent Fund, creato nel 1976 e versato ogni anno a ogni residente, a prescindere da età e dagli anni di residenza (il programma è diventato operativo nel 1982).

Philippe Van Parijs

Philippe Van Parijs, la cui opera più conosciuta è stata “L’Allocation universelle” (2005) scritta con Yannick Vanderborght

Il dividendo corrisponde a una parte del rendimento medio del fondo permanente costituito a partire dai ricavati dello sfruttamento del petrolio, senza finanziamenti tramite tassazione, diretta o indiretta. La formula, a prescindere dalla sue ragioni, resta sicuramente unica nel suo genere, ma è necessario ricordare che in Brasile nel 2004 venne istituita una Renda Básica de Cidadania a livello nazionale a partire dall’anno successivo in maniera graduale, a partire dai ceti più poveri. Persino in Italia, dove non c’è stata mai una proposta basata sull’universalità e sull’incondizionalità, si è dato avvio a una sperimentazione, il Reddito minimo d’inserimento (RMI), avviata nel 1998 e conclusa nel 2003 presso alcuni comuni italiani. Alcune regioni hanno approvato altre forme di sperimentazioni simili, come la Campania nel 2004 e la Basilicata nel 2014, istituendo un reddito minimo di inserimento per le fasce sociali più deboli. Necessario ricordare è il fatto che tali sperimentazioni si avvicinano o si sovrappongono al reddito di cittadinanza, che è diverso dal reddito di base, non essendo né universale né incondizionato, senza filtri economico-sociali. Il Basic Income, con tutte le sue concretizzazioni storiche, si dimostra una delle pratiche sperimentate in tema di lavoro flessibile in Italia, per quanto riguarda alcune regioni, e in Europa. In fondo, oggi, esistono molte altre forme di sussidi sociali, che potrebbero essere soppiantate dal Basic Income. La giustizia non è solo una questione di reddito, ma vuole anche garantire la possibilità di scegliere cosa fare della propria vita, che si tratti della scelta di dedicare meno ore al lavoro retribuito o della possibilità di avere un più facile accesso al lavoro. In altri termini, si tratta di garantire una libertà reale di fare, nel lavoro e anche al di fuori del lavoro. Il Basic Income darebbe maggior consistenza alla possibilità di accedere al lavoro e a quella di avere maggior potere di consumo. Il reddito di base, essendo universale contribuirebbe a combattere l’esclusione dal lavoro e in quanto incondizionato permetterebbe di scegliere il miglior progetto di vita per ciascuna persona. La proposta potrebbe essere valutata solo se maturassimo l’adesione a una comunità politica in cui la vita sia migliore grazie a una condivisa partecipazione a un progetto sociale democratico.

Cristina Celani

Bibliografia

Ansuátegui Roig, Francisco Javier, Rivendicando i diritti sociali, Roma-Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2014.

Baccelli, Luca, Il particolarismo dei diritti. Poteri degli individui e paradossi dell’universalismo, Roma, Carocci Editore, 1999.

Marshall, Thomas Humphrey, Cittadinanza e classe sociale, Roma, Biblioteca Universale Laterza, 2002.

Van Parijs, Philippe, Vanderborght, Yannick, Il reddito minimo universale, Cesano Boscone, Università Bocconi Editore, 2013.

Van Parijs, Philippe, No Eurozone without Euro-dividend, 2012 (http://ethics.harvard.edu/files/center-forethics/files/2012.no_eurozone_without_eurodividend.pdf).

Van Parijs, Philippe, Real freedom for all: What (if anything) can justify capitalism?, Oxford, Clarendon, 1995.

Van Parijs, Philippe, Vanderborght, Yannick, From Eurostipendium to Eurodividend, in «Journal of European Social Policy», 11/1, 2001.

Van Parijs, Philippe, Why Surfers Should Be Fed: the Liberal Case for an Unconditional Basic Income, in «Philosophy and Pubblic Affairs», 20, 1991.

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