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È stato un anno da cani: intervista a Carlo il cane e madonnafreeeda

Come Carlo il cane e madonnafreeeda si sono conosciutə è scritto nella prefazione di Un anno da cani (Ventura Edizioni, 2023), il racconto disegnato di mesi un po’ così in cui Carlo, che è solo un cane, ripercorre in trecento pagine quello che ci è successo, e ci ha ferito, quest’anno. Perché ci siamo trovatə tutt’e tre a bere del caffè overpriced (ma buono) a Firenze è questa intervista.

Nato come inside joke tra la persona dietro Carlo il cane e i suoi amici, in cui le vignette parlavano la loro lingua e raccontavano le loro storie, oggi è un profilo Instagram da più di 7mila follower con una copertura da 60mila: un megafono potente, stizzito, puntuale e arrabbiato di tutte quelle cose che chi si occupa di comunicazione e informazione altrimenti lascerebbe andare in favore di una storia più sensazionalistica, e che mantiene alta l’attenzione sulla «normalizzazione del vocabolario bellico e violento, che rende meno atroci i significati delle parole che utilizziamo».

Carlo il cane fa questo: dare luce a qualcosa che altrimenti è l’ennesima notizia, l’ennesimo articolo, l’ennesima cosa che passa, fissare in una giornata una cosa, creare un legame con un’altra, far vedere come sono collegate – perché, come dirà in quest’intervista, «la mia è una rassegna stampa, ma non sono né pelato né sionista».

Voce social(e) e cartelloni

Vorrei partire proprio dalla prefazione, in cui madonnafreeeda scrive che siete un cane – solo un cane – e un gatto alla finestra, e chiedervi se è questo che fate attraverso i vostri profili: osservare da un punto di vista diverso, non personalizzato, quello che succede.
Carlo il cane: Questo progetto è nato perché avevo bisogno di dire delle cose, ma non potevo essere io a farlo sia per non ostacolare la loro diffusione sia per evitare di essere tacciato di essere la solita zecchina. Un cane disegnato che parla degli stessi argomenti di cui parlerei io, ma è incredibilmente carino, è un escamotage: ora è questo il metodo che funziona e ho deciso di cavalcarlo.
madonnafreeeda: Sicuramente aver fatto politica, militanza e attivismo aiuta tanto, ci dà un’analisi delle cose molto diversa. Sono un gatto alla finestra perché – oltre a essere una gattopersona – spesso le cose di cui ci occupiamo sono fisicamente lontane da noi: è un privilegio poter guardare dalla finestra, da lontano, non essere esposta alle intemperie o agli sgomberi. Tutte cose che commentiamo e su cui facciamo informazione.
CC: E dobbiamo sfruttare il privilegio che abbiamo.
MF: Usiamo questi spazi non per sollazzo, far ridere o avere nutrimento per il proprio ego. Ultimamente vengo invitata a degli eventi senza che mi venga nemmeno detto su che temi sarà l’incontro, ma solo perché sono io, perché solo con il mio nome è sicuro che porterò gente: per esempio, mi hanno invitata a parlare di violenza di genere in un liceo, ma non sono pedagoga o operatrice di un centro antiviolenza . A me va benissimo essere vetrina: non voglio però essere personaggio.
CC: Il fatto che sono solo un cane è anche un modo per evitare il «ma tu che ne sai di X e Y, perché ne parli» e un po’ perché io voglio essere la cosa più lontana possibile da “Io, professione mitomane” e “Giornalisti che non scopano”. Io non so niente, non sono un esperto, non ho un dottorato, non ho più tempo per fare attivismo. Fare attivismo oggi è un privilegio, soprattutto in termini di tempo che ci si può dedicare. Poter dire quello che si vuole senza temere di perdere il lavoro. Quello che possiamo fare è essere megafono.
MF: Senza che ci facciano sentire, però, cartellone pubblicitario.

Meta è un’azienda che risponde ai bisogni del mercato e di chi ci investe: rimanerci dentro e comunque fare attivismo o informazione, quanto è frustrante, quanto divertente – perché puoi piegare e aggirare le regole –, quanto è un patto a cui scendete ogni giorno?
CC: Spesso noi pensiamo al modo in cui parliamo solo in modo adattivo, mentre per stare su queste piattaforme abbiamo iniziato a criptare i nostri messaggi, invertendo i caratteri o sostituendoli: in linguistica ci vogliono anni per capire come muta un linguaggio – e noi lo stiamo facendo senza nemmeno accorgercene. Dover comunicare all’interno di questa struttura ci ha modificati, abbiamo trovato un modo per rompere le regole e per romperle assieme, è un linguaggio di comunità. C’era il periodo in cui Meta non riusciva a leggere la scrittura a mano e noi scrivevamo, poi ha iniziato e noi abbiamo cambiato le lettere, poi le abbiamo sporcate, interrotte. Lei, per questo, è in shadowbane da una vita.
MF: Le ho provate tutte: da Prenestina a Portogallo, ma ormai basta che inizi per P.
CC: È come una metro che non vogliamo pagare e che ci porta dappertutto – e i tornelli sono facilissimi da saltare.

Parlare da cani

Credo che uno dei motivi per cui i tuoi contenuti piacciano così tanto, oltre a quello che Carlo ha da dire, è il modo in cui lo rappresenti: a volte nel primo frame lo spazio è molto equilibrato e pulito, in quello successivo il testo non riesce a contenersi, invade tutto, è come urlato.
CC: È una cosa a cui faccio attenzione, anche quando scelgo quanto stringere l’inquadratura [i Carli sono tutti disegnati a mano e poi fotografati con lo smartphone]. Il Carlo dell’altro giorno, per esempio, l’ho fatto al buio, male, in poco tempo, eppure è uno di quelli che ha avuto più diffusione e risonanza. Perché sì, il modo in cui scrivi, anche graficamente, restituisce senza dubbio il tono di voce. Per Un anno da cani ho ridisegnato i primi Carli per uniformare lo stile, ma ho lasciato alcune parole scritte male: tutto quello che non riesci a decifrare in questo libro è perché è volutamente così.

Una volta che hai messo in fila i Carli per fare questo libro, hai notato dei temi ricorsivi o degli accadimenti che si sono sviluppati nel corso dell’anno?
CC: Ci sono stati, sia in ambito politico sia in ambito sociale sia di politiche sociali, ma mi è sembrato che quest’anno, più che altri, le parabole di questi accadimenti siano durate il tempo in cui occorreva direzionare l’occhio di bue dell’attenzione. Questo libro è il tentativo anche di ricordarci quando velocemente dimentichiamo. Quando uscì la notizia del voto contrario di Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia alla Commissione Europea per la Convenzione di Istanbul, sembrava la cosa peggiore che potesse capitarci, eppure ce ne siamo dimenticati finché non è stata rimessa la luce sulla sequela di femminicidi che stava accadendo: quel voto aveva una valenza chiara. Oppure: il 21 febbraio Meloni ha dichiarato che avrebbe fatto guerra alle occupazioni e all’abusivismo, non ci devono stupire quelli che stanno accadendo in questi giorni – anzi, il fatto che stia accadendo a dicembre e faccia freddo è il segnale più forte.

Insieme

Carlo il cane come segno grafico è neutro: questo secondo me lo rende più approachable, sento – sentiamo – che stia parlando per noi quando e come noi non riusciamo.
MF: Ieri una persona mi ha detto sorpresa “Ma come, Carlo il cane è un uomo?!”.
CC: Credo di non averne mai fatto mistero, dato che uso i pronomi maschili. Ma in questo sono un po’ paraculo: se voglio attaccare uso il genere maschile, se sto parlando genericamente uso schwa, tre, u. La retorica sull’inclusività – o la superiamo o la superiamo.

Ma soprattutto: perché Carlo ha gli stivali?
CC: Perché volevo trovare un segno grafico distintivo e perché non so disegnare.
MF: Come fare una persona con i guanti tondi perché non si sanno disegnare le mani…
CC: …e infatti quando le zampe davanti sono alzate sono a manubrino.
MF: Una volta gli ho chiesto, per un post in collab, di disegnarmi come un gatto, e mi ha detto che non sapeva farlo!
CC: A questo proposito, ci tengo a dire una cosa: se non fosse stato per una bolla di donne e persone socializzate donne, questo progetto non sarebbe mai esistito. Contrariamente alla narrazione che viene fatta dell’uomo medio dal quale le donne si rendono inavvicinabili, per le quali non potremo mai redimerci, quasi l’80% delle persone che seguono e condividono i Carli sono donne, nonostante io tocchi più temi e spesso trasversalmente. Sto dicendo grazie, è lungo e contorto, ma sto dicendo grazie.

Grazie a Carlo il cane e madonnafreeeda per il tempo, la pazienza, l’impegno e la voce.
Per sapere dove come quando si parlerà di Un anno da cani in presenza, seguite @carlo_ilcane.

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