Per vivere più femministə: libri, podcast, arte, musica, newsletter e fonti per allargare gli orizzonti e aprire le menti. Oggi leggiamo una lettera d’amore scritta negli anni da una madre alla propria figlia trans: è Una storia d’amore. Lettera a mia figlia transgender di Carolyn Hays, in Italia per add editore.
Ho pensato a lungo – un anno intero – se inserire Una storia d’amore tra gli articoli dedicati al femminismo: ha un taglio molto diverso dagli altri libri e saggi che ho incluso finora e di cui vorrei parlare in futuro, poi ho capito come e perché potesse essere giusto farlo. L’ho capito dopo aver assistito alla presentazione di Storia transgender. Radici di una rivoluzione con Susan Stryker, Antonia Caruso e Hanay Raja da Nora a Torino. Perché la storia personale di questa famiglia si intreccia con quella storico-politica degli USA, da Obama a Trump fino a Biden – e perché la vita delle persone trans è sempre più un terreno di lotta politica: al momento sono diciotto gli Stati che hanno leggi o le stanno vagliando per bloccare e vietare la transgender healthcare per ə minori; ad aprile è passato alla Camera il “Protection of Women and Girls in Sports Act”, che vieta alle donne transgender di competere nelle squadre sportive femminili nelle scuole e università che ricevono finanziamenti pubblici; in Alabama è stata approvata una legge per non parlare di identità di genere in classe; la deputata Zooey Zephyr non potrà partecipare ai lavori della Camera del Montana e nemmeno percorrere il corridoio che porta all’aula perché i suoi colleghi Repubblicani l’hanno esclusa «per motivi di decoro»; il Tennessee è il primo Stato – ma altri quattordici hanno presentato altrettanti progetti di legge – a mettere al bando gli spettacoli drag .
Questo solo negli Stati Uniti, ma da noi quattro agenti hanno appena pestato una donna trans in pieno giorno a Milano (e non può essere negato perché filmato, al contrario di quanto succede spesso) e si avvicina l’anniversario del suicidio di Cloe Bianco, motivato dall’odio transfobico di cui era costantemente vittima; intanto ILGA Europe ha prodotto il ranking 2023 in cui l’Italia è di nuovo fanalino di coda e continua l’aggiornamento del report sugli omicidi transfobici – e basta una rapida ricerca su Google per rendersi conto che il nostro Paese è sconsigliato allə viaggiatorə queer.
Siamo alle soglie di giugno, il mese in cui dobbiamo difenderci ancora di più dal rainbow washing e dal corporate pride. Perché, quindi, leggere Una storia d’amore potrebbe farci bene?
Per due motivi principali, credo: perché la transizione è anche un fatto di comunità e perché è il momento di fare i conti con la nostra transfobia.
Nel suo discorso durante la Christopher Street Liberation, Sylvia Rivera usò questi termini: “Dobbiamo essere visibili. Dobbiamo far vedere al mondo che siamo numerosi”.
Una storia d’amore, p. 202
Carolyn Hays è uno pseudonimo: non conosciamo l’identità dell’autrice e della sua famiglia, ma con questo libro ci permette di entrare in casa loro e spalancarne gli armadi: lo scheletro più ingombrante è quello che rivela il colpo alla porta con cui si apre la storia. Il colpo è battuto dagli assistenti sociali, chiamati da qualche delatore perché lə treenne di casa ha atteggiamenti troppo femminili per essere un maschio, la porta è quella di una buona famiglia borghese normale, che crede di aver già portato a termine il proprio percorso democratico e femminista durante gli anni universitari dei genitori (una scrittrice e un allenatore di calcio) e di essere quindi al sicuro dall'”essere come loro“, gli adepti della destra trumpiana razzista e omofoba. Sorpresa, però: nulla è dato, soprattutto quando è una cosa di famiglia.
«Sembra assurdo che potessimo essere transfobici mentre ci battevamo per difendere il tuo diritto di essere transgender. Ma lo eravamo» (p. 142): il lavoro a cui questa famiglia è chiamata e che seguirà nelle pagine e negli anni non è solo verso l’esterno – la protezione e il supporto della figlia nella sua affermazione, l’attivismo locale e quello politico – ma soprattutto verso l’interno. Ognunə di loro – madre, padre, sorella, due fratelli – inizia a fare i conti con sé stessə, le proprie aspettative e i pregiudizi, i propri desideri e le credenze.
Messa sotto lo sguardo indagatore e accusatorio delle istituzioni, della società e del vicinato, Carolyn inizia a fare quello che faccio anche io quando devo trovare delle risposte: inizia a leggere e studiare. Prima si guarda indietro, ripercorrendo la storia dei movimenti queer e trans, poi inizia a consultare le proposte di legge e gli atti, a vagliare le campagne elettorali, a scrutinare le decisioni politiche a livello locale e internazionale, a controllare quali scuole offrano le migliori soluzioni per la propria figlia, quali college siano davvero inclusivi.
Quella sotto cui si trova questa famiglia intera è una doccia gelida, è la scoperta amara che la lotta non è finita, che «la cultura americana», come la chiama Hays, non sostiene e celebra tuttə ma solo «alcune individualità» (p. 175), che tanto la sinistra quanto la destra vogliono avere a che dire su un corpo che non corrisponde alla norma binaria ma che vuole esistere, che la vita trans è un tema politico ma che viene trattato come tema elettorale. È il disincanto, anche, che può permettersi una buona famiglia borghese cattolica della East Coast – e che a volte, nella lettura come nella vita, è difficile da digerire.
“Le donne trans oggetto di discriminazione sono più a rischio di avere problemi come alcolismo, povertà, di restare senza una casa, di non avere accesso a una valida assicurazione. Tutte queste questioni hanno un impatto sul loro stato di salute generale, al punto che è difficile raccogliere dati senza tenerne conto.”
Una storia d’amore, p. 306
Spaventoso: un gruppo di persone subisce un trattamento così terribile dalla nostra cultura che non è possibile studiare in modo neutro la loro salute?
E poi ci sono le altre famiglie, biologiche o acquisite, fattuali o elettive: quello che scopre Carolyn Hays è che la transizione è un (f)atto di comunità. In questo caso specifico, la figlia si è sempre sentita femmina – è sempre stata femmina: è il resto della famiglia, dei vicini, dellə compagnə di scuola, di chi insegna a scuola non solo a lei ma anche alla sorella e ai fratelli – sono tuttə loro che hanno davvero dovuto attraversare la transizione e farne i conti, scoprendo le proprie posizioni, rivelandole a sé stessə e al mondo, dovendo mutare la loro percezione e la loro costruzione di questa piccola persona, che invece non si è mai trasformata, ma ha aspettato di essere riconosciuta dalla comunità.
“La natura ti ha creata femmina?” ti chiese lei.
Una storia d’amore, p. 228
“No. Mi sono creata femmina io.”