«Un’ora di lezione può cambiare la vita»

Come un’eroina tragica che tenta di scampare alla morte, un peso sulle spalle sempre più incombente, crede che sia difficile guardare avanti. È, di certo, più facile voltarsi indietro e ricordarsi com’era ai tempi dei nostri antenati: oggi è questo lo squallido presente della Scuola. Non soltanto a causa delle continue riforme che – anche se, magari, involontariamente – la stanno distruggendo, ma anche per via di studenti distratti o di professori incompetenti. Eppure, la scuola, è quella struttura in cui ci si dovrebbe formare, quel luogo in cui si dovrebbe essere educati alla vita, oltre che all’etica e alla morale, quel posto in cui si realizza il cosiddetto studium. Forse spesso ci si dimentica dell’etimologia di questa parola latina e la si ricollega a qualcosa di meccanico e di obbligatorio, ma il sostantivo studium significa tutt’altro che noia o obbligo. Se avete un minuto da perdere, prendete un dizionario di latino, uno qualsiasi, può andare bene quello della nonna, vecchio e impolverato, oppure quello del vostro cuginetto alle prese con le prime versioni. Qui ci atteniamo al dizionario IL (Castiglioni-Mariotti), aprendolo e giungendo alla lettera S, ricerchiamo il significato del sostantivo studium, ii, n., e ci soffermiamo alla prima enumerazione di parole: 1) Applicazione, zelo, diligenza, cura…fin qui ci si poteva arrivare, ma ecco che le parole seguenti sono addirittura più belle e intense: passione, amore, ardore, desiderio. Questa dovrebbe essere la funzione della scuola: aprire il soggetto alla cultura come luogo di «umanizzazione della vita», rendere possibile l’incontro con la dimensione erotica del sapere. Di erotica dell’insegnamento ne parla Massimo Recalcati nel suo saggio, edito da Einaudi (2014), L’ora di lezione – Per un’erotica dell’insegnamento. E forse, potrà sembrare strano alla società segnata dai tabù, ma l’eros è insito nel sapere, nello studio, come abbiamo visto sopra nella ricerca della sua etimologia.

Quello che oggi possiamo notare è come la scuola sia affetta da un morbo che, dalle scuole primarie all’università, contamina il luogo della formazione. Oggi si tende a riciclare un sapere che tende anonimamente alla ripetizione annullando la sorpresa, l’imprevisto, il non ancora sentito e il non ancora conosciuto, rendendo impossibile l’evento della parola. Demotivati gli insegnanti, il cui compito non viene adeguatamente riconosciuto, immotivati gli studenti, troppo impegnati ad apprendere qualcosa non per passione, ma per obbligo e per essere valutati da un numero, la nostra scuola oggi arranca ed è povera. La piega che sta prendendo distrugge i sacrifici sia di persone che hanno una predisposizione all’insegnamento, sia di giovani che nuotano in un mare di dubbi per il loro futuro. Riflettiamoci un attimo, già il binomio “Scuola dell’obbligo” non porta all’annichilimento? 

Per fortuna, almeno una volta nella carriera scolastica, accade l’incontro. Anzi, l’Incontro. Se un professore riesce a riaccendere il desiderio in 5/6 alunni in una classe composta da 20, a fine giornata entrambi (il professore x e l’alunno y) potranno ritenersi soddisfatti. Ma vediamo un po’, attraverso un percorso definito, come è cambiata la scuola, com’era ieri, com’è oggi, come potrebbe essere domani.

La scuola di ieri: La Scuola-Edipo
Probabilmente non ci sarebbe altro paragrafo, se non questo, che spieghi tutto ciò che rappresentava la figura del Maestro ieri. Il passo è tratto dal romanzo Cuore di Edmondo de Amicis, pubblicato dalla casa editrice Treves nel 1886. 

Gratitudine
Rispetta, ama il tuo maestro, figliuolo. Amalo perché tuo padre lo ama e lo rispetta; perché egli consacra la vita al bene di tanti ragazzi che lo dimenticheranno, amalo perché ti apre e t’illumina l’intelligenza e ti educa l’animo; perché un giorno, quando sarai uomo, e non saremo più al mondo né io né lui, la sua immagine ti si presenterà spesso alla mente accanto alla mia, e allora, vedi, certe espressioni di dolore e di stanchezza del suo buon viso di galantuomo, alle quali ora non badi, te le ricorderai, e ti faranno pena, anche dopo trent’anni; e ti vergognerai, proverai tristezza di non avergli voluto bene, d’esserti portato male con lui. Ama il tuo maestro, perché appartiene a quella grande famiglia di cinquantamila insegnanti elementari, sparsi per tutta Italia, i quali sono come i padri intellettuali dei milioni di ragazzi che crescon con te, i lavoratori mal riconosciuti e mal ricompensati, che preparano al nostro paese un popolo migliore del presente. Io non son contento dell’affetto che hai per me, se non ne hai pure per tutti coloro che ti fanno del bene, e fra questi il tuo maestro è il primo, dopo i tuoi parenti. Amalo come ameresti un mio fratello, amalo quando ti accarezza e quando ti rimprovera, quando è giusto e quando ti par che sia ingiusto, amalo quando è allegro e affabile, e amalo anche di più quando lo vedi triste. Amalo sempre. E pronuncia sempre con riverenza questo nome – maestro – che dopo quello di padre, è il più nobile, il più dolce nome che possa dare un uomo a un altro uomo.
TUO PADRE

Un tempo, la parola dell’insegnante era pari a quella del pater familias, dotata di peso simbolico e di autorità a prescindere dai contenuti che sapeva trasmettere (Recalcati, 2014). La scuola-Edipo si fonda sulla potenza della tradizione, sull’autorità del Padre, sulla fedeltà al passato. Edipo, il giovane che uccide il padre Laio e sposa la madre Giocasta, vive nel rispetto colpevole della Legge e nella sua trasgressione.

Nella scuola-Edipo, dunque, il sapere trasmesso esprime una fedeltà cieca nei confronti dell’autorità del passato e l’insegnante è un degno sostituto del Padre. Come si legge sopra, è il padre di Enrico, protagonista del libro Cuore, a parlare della figura del maestro e dell’importanza che bisogna attribuirgli. Quasi come se tra insegnante e genitore venisse stipulata un’alleanza: la scuola è il primo luogo in cui il bambino si allontana dal nucleo familiare, così il genitore/educatore passa il testimone all’insegnante che si impegna a continuare e rinforzare l’arduo compito dell’educazione. Tuttavia, nell’ambito tragico, Edipo non è soltanto colui che vuole trovare l’assassino del padre (scoprirà soltanto dopo che è lui stesso l’assassino del padre, n.d.a), ma è il simbolo del conflitto tra vecchia e nuova generazione. Nelle contestazioni studentesche del ’68 e del ’77 (di questo ve ne ho parlato a proposito di Alice disambientata), si realizza la tragedia edipica: i figli si ribellano ai genitori, gli allievi agli insegnanti. Schiacciati da un peso disciplinare, gli insegnanti e gli allievi lottano per il diritto a cambiare, a trasformare, il conflitto può essere generativo e non solo distruttivo, scrive Recalcati. Gli studenti e i professori che si ribellarono, infatti, lo fecero per evitare che la scuola fosse vista come un’istituzione disciplinare che distribuiva un sapere morto. E così, dalla figura di Edipo, si passa ad un’altra figura archetipica greca: Narciso.

La scuola di oggi: Scuola-Narciso
Il passaggio dalla Scuola-Edipo alla Scuola-Narciso si concentra sulla rottura del patto tra insegnante e genitore. Quest’ultimo, infatti, diviene alleato del figlio, lasciando il maestro o il professore, che dir si voglia, in disparte. È come se i genitori fossero portati a difendere i figli per garantire loro un successo nella vita senza traumi. Narciso rappresenta la figura che esige l’abolizione dell’ostacolo e ciò porta il genitore a disdegnare qualsiasi fallimento del figlio.

Paola D'Aulerio legge L'ora di lezione

Paola D’Aulerio legge L’ora di lezione

«Nella Scuola-Narciso prevale la specularità: è la ragione per cui, come abbiamo detto, il rapporto tra le generazioni si è rotto dando luogo all’attuale confusione immaginaria tra genitori e figli che finisce per isolare il corpo docente, vissuto come corpo estraneo, come corpo nemico soprattutto quando genera frustrazione nei figli-Narcisi.»

A loro volta, gli insegnanti, tentano di diventare confessori d’anime. Lo stesso Recalcati parla di un professore da lui conosciuto che si vantava di tralasciare i programmi ministeriali per dedicarsi a intercettare i segni di disagio esistenziale dei suoi allievi. Ovviamente, è necessario fare attenzione: non si critica il fatto che l’insegnante si interessi alla psicologia dei suoi alunni e ai loro problemi al di fuori della sfera scolastica, tanto quanto il fatto che venga tralasciato l’insegnamento. Gli alunni diventano amici dei professori, gli danno del tu, si pongono al loro livello e non riconoscono più cosa significhi essere l’insegnante, svalutando questo ruolo.
Tutto, così, è concatenante: il rincorrere un silenzio e un’attenzione che sembrano impossibili da raggiungere, gli esami all’università che non possono superare un certo numero di pagine, i voti considerati ingiusti dai figli che mobilitano le proteste accorate dei genitori, i provvedimenti disciplinari che sembra facciano parte di un passato archeologico, la parola che smarrisce ogni peso simbolico e viene sopraffatta da una cultura delle immagini, che tende a favorire un’acquisizione passiva e senza sforzo.

La scuola delle tre i (impresa, informatica, inglese), approdata qualche anno fa come tentativo di innovazione, ha ridotto la scuola a un’azienda del fare, relegando qualsiasi sapere a livello pragmatico. In questo tipo di scuola, la parola perde senso, diventa astratta, si allontana dal suo nesso con la vita. E questo lo si nota concretamente non soltanto dalla riduzione dei programmi di studi, ma anche dal fatto che il sapere viene riciclato. Se l’insegnante vuol sentirsi ripetere ciò che ha spiegato in classe e non permette un allargamento del sapere, un orizzonte più ampio, si riduce anche il suo compito che diviene aziendale, quasi come se fosse una macchina che deve distribuire strumenti utili.
In questo, non si è certo aiutati dal progresso tecnologico: se ci si riflette, oggi gli studenti sono propensi a percorrere la via breve. Se, prima, erano necessarie delle ore per fare una ricerca e occorreva consultare le enciclopedie, al giorno d’oggi basta un semplice click su un qualsiasi motore di ricerca per permettere di copiare una versione o ricopiare (cambiando le parole, se si è astuti) qualche tesina trovata qua e là online. La dimensione dell’esperienza si perde in questa massa di sapere prêt-à-porter, sempre a disposizione, che, di fatto, genera anoressie mentali, rigetto della ricerca del sapere nel nome di una sua acquisizione senza sforzo.

Il ruolo degli insegnanti, dunque, subisce una proletarizzazione economica e sociale (basti pensare ai tagli alle risorse delle politiche scolastiche) e d’altra parte, gli insegnanti devono far fronte a un ruolo educativo che si ingrandisce di fronte alla crisi familiare. Ai professori non viene riconosciuto più il loro valore inestimabile, né in campo culturale, né in quello economico: da ciò scaturisce uno smarrimento fondamentale dell’identità.

Eppure, non si può guardare soltanto il lato negativo. In questa triste situazione, è necessario proiettarsi nel futuro con la pretesa di migliorare, ispirandosi a due modelli, sempre provenienti dall’antichità classica: Socrate e Telemaco.

La scuola del futuro: Scuola-Telemaco & Socrate, insegnante modello
Il compito della scuola è quello di educare. Se riprendiamo il vocabolario di latino usato poco fa, possiamo leggere l’etimologia di educare, che proviene dal latino educere: estrarre, condurre fuori, trarre alla luce. Un significato che si accosta ad un altro verbo prossimo ad educere ovvero seducere, il cui significato è condurre in disparte. Riccardo Massa, filosofo dell’educazione e pedagogista, ha insistito su questo punto in cui l’educazione e la seduzione si incontrano. L’insegnante ha il potere di trasformare l’oggetto del sapere in oggetto del desiderio, come fa Socrate-maestro con Agatone-allievo nel Simposio di Platone. Socrate arriva in ritardo al banchetto simposiale e non appena giunge, Agatone gli chiede di sedersi vicino a lui. Questo perché Agatone-allievo concepisce il sapere come un liquido che da un contenitore (Socrate) possa passare a lui. Ma ricevere in questo modo il sapere è un’esperienza passiva e Socrate si rifiuta di incarnare l’eromenos (l’oggetto amato) per considerarsi, al contrario, un erastes, puro amante del sapere.

Massimo Recalcati presso Alma Mater Studiorum Bologna

Massimo Recalcati presso Alma Mater Studiorum Bologna

«Sarebbe bello, Agatone, se la sapienza fosse tale da scorrere dal più pieno al più vuoto di noi, quando ci tocchiamo l’un l’altro, come fa l’acqua nelle coppe, che dalla più piena scorre nella più vuota attraverso un filo di lana. Se infatti le cose stanno così anche per la sapienza, è un grande onore per me lo star sdraiato accanto a te: credo infatti che potrò essere riempito, da te, di molta e bella sapienza. La mia infatti è probabilmente qualcosa di poco valore, o è controversa e dubbia come fosse un sogno, mentre la tua è scintillante e possiede un grande futuro, quel futuro che da te è ancora giovane così intensamente ha brillato e tanto lucente è apparso l’altro ieri».

Socrate sa che al centro del sapere vi è un vuoto e che il sapere non può essere chiuso. Scrive Lacan:«La sua essenza, l’essenza di Socrate, è – infatti – quel vuoto, quell’incavo», che si oppone all’illusione scolastica che vuole fare esistere il sapere come un tutto-pieno. Questo significa che il sapere del maestro non è mai ciò che colma la mancanza, quanto ciò che la preserva. (Recalcati, 2014)

Ogni alunno deve, quindi, ricercare il proprio sapere, compiere un percorso personale perché il sapere non avviene per travaso. Ogni insegnante deve, a sua volta, trasformare l’eromenos in erastes, la passività dell’amato nell’attività dell’amante.

«Non è questo il movimento essenziale che caratterizza il lavoro di ogni insegnante degno di questo nome? Aprire vuoti nelle teste, aprire buchi nel discorso già costituito, fare spazio, aprire le finestre, le porte, gli occhi, le orecchie, il corpo, aprire mondi, aprire aperture impensate prima. Non è questa la materia di cui è fatta l’erotica dell’insegnamento?»

L’alunno modello per un insegnante come Socrate sembra essere non Narciso, bensì Telemaco, il figlio di Ulisse nell’Odissea. Il figlio-Telemaco, scrive Recalcati, non vuole la pelle del padre, né si limita a contemplare la propria immagine, ma esige che ci si liberi dalle pulsioni incestuose incarnate dai Proci (che hanno devastato la sua casa e quella dei suoi genitori) in vista di un nuovo patto tra le generazioni.

Telemaco è un personaggio attivo che parte alla ricerca del padre, non una figura melanconica dell’attesa. La scuola-Telemaco, di conseguenza, è quella scuola che vuole restituire valore alla differenza generazionale e alla funzione dell’insegnante come figura centrale nel processo di «umanizzazione della vita». L’obiettivo principale è quello di situare il desiderio come ricerca della propria eredità e dare nuovamente vigore alla parola, senza più confusione di ruoli né immedesimazione reciproca come accade nella Scuola-Narciso.

Chi ha letto o studiato l’Odissea lo sa: non ritornerà l’Ulisse carismatico e vittorioso, ma soltanto ciò che resta di lui, un resto del padre. È per questo che non è possibile ritornare al passato e avere a disposizione la Scuola-Edipo in cui l’ideale è quello dell’insegnante-padrone che sa dire l’ultima parola sul senso della vita, ma quello dell’insegnante-testimone che sa aprire mondi attraverso la potenza erotica della parola e del sapere che essa sa vivificare.

Il famoso Incontro, quello fra insegnante e allievo in cui l’insegnante dà spunti di riflessione e capacità di ampliare il sapere, si basa sulla parola (dell’insegnante) che testimonia non soltanto di sapere il sapere, ma anche che il sapere si può amare, si può trasformare in un corpo erotico.

Non resta, quindi, che continuare a perseguire quest’ultimo ideale di Scuola, perché nonostante le riforme, una parte del corpo docenti che si allontana dalla sua materia, una gran parte degli alunni svogliati, la Scuola è il luogo in cui un’ora di lezione può cambiare la vita, il posto in cui in ogni disciplina – dalla letteratura all’educazione fisica, dalla matematica alle lingue straniere – è possibile ricercare e (ri)trovare l’eros del sapere.

1. RECALCATI, L’ora di lezione – Per un’erotica dell’insegnamento, 2014, Einaudi

2. CASTIGLIONI, MARIOTTI, IL – vocabolario della lingua latina IV ed, 2007, Loescher

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