Boyhood: odissea nell’infanzia

Ci sono storie che sul grande schermo risultano difficili da raccontare, per i motivi più differenti: tra questi può venire in mente principalmente il genere onirico, poiché muoversi in un mondo che non segue le logiche leggi newtoniane è sì affascinante, ma altresì confusionario, a tratti ingestibile, e soprattutto ricco di metafore e riferimenti più o meno vacui che uno spettatore distratto e disinteressato si farà scivolare sulla pelle come acqua tiepida.

Anche la storia che qui viene raccontata è, a mio parere, tra le più difficili e delicate da trasporre, ma per motivi diametralmente opposti: questa è l’ordinaria storia di un ragazzo del Texas, narrata lungo l’arco di più di un decennio della sua vita, dai 6 ai 18 anni d’età. Niente metafore, nessuna edulcorazione o evento epico se non -quella che sembra- la pura obbiettività di ciò che accade davanti a noi ogni giorno della nostra vita, che sia un avvenimento risalente la giornata di ieri, quella di domani, quella che vivremo tra 5 o perfino 50 anni.
Noioso? Fortunatamente no, perché nelle mani giuste -quali sono quelle di Richard Linklater, il regista e sceneggiatore- ciò che ne deriva è un ritratto di un’epoca, precisamente quel primo decennio del nuovo millennio che corre dal 2002 al 2013, il ritratto di una famiglia e delle sue dinamiche spesso rocambolesche e sempre sul ciglio di diventare qualcosa di nuovo, diverso, man mano che i bambini crescono, si cambia casa, la madre si risposa e i genitori non si parlano; ma il tutto, alla fine, ci appare anche come una grande riflessione sul passare del tempo e, dal connubio di queste cose, ne deriva un vero ed attinente spaccato della gioventù, di come il protagonista la affronta (o la vive passivamente?) e di come sua madre, sorella e padre si muovono e vivono di conseguenza con lui. Tutte situazioni in cui ogni spettatore difficilmente non potrà non specchiarsi, anche se probabilmente non sempre, nelle quasi tre ore di film, ci ritroveremo ad indicare lo schermo e dire “Quello è successo anche a me, quel personaggio mi somiglia”, non c’è alcun dubbio che questo film sia qualcosa che attinge e dipinge in modo estremo la nostra vita, quella che ognuno di noi ha vissuto e continua a vivere da genitore, nonno, fratello, sorella, madre o padre.ellar-coltrane

Come una foglia nel vento, raramente ci capita, nei primi anni della nostra vita, di aver un’incisiva capacità di cambiare il corso degli eventi che accadono, ci limitiamo piuttosto a seguire la marea mentre insegnanti, sorelle, fratelli e soprattutto genitori prendono decisioni per conto nostro: la nostra personalità si plasma lentamente, e nonostante le scelte che prendiamo ci vengano quasi spontanee, è difficile capire se siamo noi stessi gli artefici del nostro destino, se siamo guidati da scelte al di fuori del nostro controllo o, in alternativa, potremmo chiederci se siamo già da bambini quello che diventeremo in età adulta. Niente in questo film darà una risposta semplicistica a questa domanda, permettendosi semmai di porla e lasciare a noi il verdetto, poiché più giusto e veritiero così, piuttosto che sorbirsi innesti preconfezionati di idee banali sulla vita ed il suo inesistente significato.

4download.php Guardare i cartoni animati alla tv, subire i dispetti della sorella maggiore, gestire una madre arrabbiata con cui è difficile (se non impossibile, per un bambino) discutere, giocare ai videogame, entrare in una nuova classe scolastica dove non si conosce nessuno e sentirsi tutti gli occhi puntati addosso, tagliarsi i capelli e vergognarsi di nel nuovo taglio, guardare immagini pornografiche da un giornalino rubato o dal pc con un amico, fare i gradassi con gli amici mentendo spudoratamente sulle proprie conquiste amorose, origliare i genitori mentre litigano parlando di te, comprare il primo libro della propria vita, andare un weekend in campeggio con il padre, fare un viaggio da soli con la propria ragazza e sentire il brivido che l’autonomia da sulla propria pelle, tornare a casa tardi e farsi scoprire leggermente ubriachi, guardare tua madre flirtare con un altro uomo, rinfacciarsi a vicenda con la propria ex tutti gli errori di una relazione finita, scoprirsi ad amare ancora, trovare una passione artistica, sentirsi abbandonati, incompresi, felici: vivere. Non esistono momenti in cui è possibile racchiudere un intero periodo della nostra vita, soprattutto se caotico e dinamico come quello dell’infanzia, e se questo film, a mio modesto parere, in parte ci riesce è perché libero di quei clichè che siamo abituati a vedere nei film più ordinari e più convenzionali.

Schermata 2015-01-02 alle 21.58.12L’occhio cinematografico del regista si muove nell’infinito mare di queste vite, di cui vorremmo continuare a sapere anche dopo la fine del film, quando gli inevitabili titoli di coda prendono il sopravvento e ci accorgiamo che la storia è giunta al suo termine: siamo ormai adulti e pronti ad affrontare il mondo la fuori; abbiamo paura, siamo speranzosi, ci attende l’ignoto, ci saranno ancora altre gioie e dolori, ma ciò che è certo è che faremo tesoro di tutto quello che abbiamo imparato vivendo fino ad ora, magari per migliorare in futuro e scoprire qualcos’altro, tutto ciò che desideriamo.

La colonna sonora ci accompagna sempre in modo perfetto, così come il più bel effetto speciale che si potesse pensare di usare: il tempo stesso.

-Allora qual è il senso?
-Di cosa?
-Non so, di ogni cosa, di tutto.
-“Di tutto”? Mi chiedi qual è il senso…non ne ho la minima idea! Così come nessun altro al mondo: stiamo tutti improvvisando. La cosa bella è quando riesci a provare qualcosa: è questo ciò a cui ti devi aggrappare.
Quando invecchi, finisci per non sentirlo più.

Un film girato nell’arco di dodici anni, che vede gli attori invecchiare e crescere per davvero, non esiste una magia più efficace ed affascinante -con il rispetto per i make-up artists di tutto il mondo-. Ma concentrarsi sul fatto che il film sia stato girato lungo tutto questo ampio arco di tempo e continuare a citare questo dettaglio come maggiore impresa in cui il film sia riuscito è, a mio parere, un atteggiamento errato che la maggior parte dei critici ha nei confronti di quest’opera: la grandezza del regista e degli attori si riesce a vedere piuttosto nell’essere riusciti a portare avanti, per un periodo di tempo considerevole, una serie di scene che, nel complesso, hanno creato un film capace di tenere sempre coerente la sua atmosfera e i suoi temi, così come nello stile visivo, nei personaggi e le rispettive psicologie, che si evolvono in modo perfettamente coerente, realistico e mai confusionario, ma altresì per l’essere riuscito ad inquadrare questo ben preciso periodo storico e il rapporto di bambini e adulti che crescono ed evolvono con la loro società: uso di telefonini e social network, videogiochi e tante altre, sono delle inevitabili novità di questi ultimi decenni, e non citarli come parte integrante della storia sarebbe stato un errore, poiché tutti noi ne siamo stati inevitabilmente toccati ed influenzati.

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Il film si discosta dalla celluloide e cerca di raggiungere il più possibile il mondo reale, creando quasi un “fittizio documentario”, una paradossale definizione per questo film, che però risulta stranamente vera e veritiera, così come il film in ogni suo meandro e momento, dall’inizio alla fine.

Il regista riesce a confondere ed ammaliare con uno stile lineare e coerente, ma al contempo dispersivo, zigzagante e dinamico, muovendosi nel mondo di un bambino, ragazzo ed essere umano che cresce con noi, come noi.

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