I sospiri della giovinezza

Quodlibet ha appena ristampato uno dei primi libri di Gianni Celati non più disponibile dall’edizione Feltrinelli del 1998: La banda dei sospiri. Riproposto nella sua veste originale, perché non si è voluto far caso alle correzioni – nel senso di una normalizzazione – fatte dall’autore per la pubblicazione di Parlamenti buffi (1989), il romanzo riscopre la sua carica espressionistica.

La storia di questo ragazzino, probabilmente tra i dodici e i quindici anni, alle prese coi suoi drammi scolastici, amorosi e soprattutto familiari, è qualcosa di estremamente triste nei suoi avvenimenti, ma ciò che direttamente emerge dalla pagina è una grandissima comicità (Carmelo Bene diceva che il buffo è la stampella del tragico). Il libro ha un inizio esilarante che è forse tra i miei più cari in letteratura: si descrive la convivenza forzata nella soffitta di due fratelli. Quello maggiore è fissato coi romanzi d’avventura – sembrerebbe di Jack London, Conrad e Verne – e obbliga quello minore, il protagonista, ad ascoltarlo. Ma allo stesso tempo non lo sopporta perché gli puzzano i piedi e non vuole stargli vicino.

Si susseguono senza un ordine preciso molti episodi della giovinezza del protagonista, chiamato Garibaldi solamente per il motivo fantasioso di correre sempre; alcuni più riusciti e altri meno, ma certamente caratterizzati tutti da un’inventività del linguaggio davvero strepitosa. Fino ad arrivare forse al vero capolavoro e nucleo del romanzo: la scena in cui il padre, chiamato Federico Barbarossa perché capace di ire e sfuriate memorabili, esce di casa dopo una litigata con la madre e una quasi zuffa col fratello maggiore, chiamato Michele Strogoff – questa volta certamente a causa della sua passione per i romanzi. Madre e fratello sono anch’essi assenti perché sfuggiti alla foga del padre. Barbarossa torna a casa dopo tre giorni con la barba lunga e furioso, «camminava con le onde», sta un po’ in disparte ma poi inaspettatamente si impossessa di Veronika Lake (qui ci si rifà all’attrice), che lavora nella sartoria della madre, e gode finalmente con lei dei «piaceri del divano». Al termine di questo evento, una temporanea pace potrà tornare in famiglia, grazie al fatto che la madre e Michele Strogoff sono ignari di tutto e Federico Barbarossa ha finalmente trovato il modo di sfogarsi.

Come si sarà capito, una delle cose che destano più stupore è la varietà dei soprannomi, probabilmente anche pretesto per non nominare direttamente coloro a cui ci si riferisce. Sulla faccenda dei nomi si è espresso Celati stesso in una intervista: «Quando ero sotto le armi, con gente che veniva da tutte le regioni, mi attirava molto scrivermi sfilze di nomi. Anche qui, i nomi ti davano il senso d’una umanità ibrida, con gente che viene da tutti gli angoli della nazione, e dove spesso un nome proveniente da una regione fa ridere qualcuno di un’altra regione. Come Dante nel De vugari eloquentia, dove dice che attraverso le regioni italiane trovi mille modi per dire le cose, e indica l’italiano come questa lingua plurima, ibrida, irriducibile ad un canone che copra tutte le regioni. Così i nomi. Mi attirava il suono, e l’eco che sentivo in un nome. Aloysio y Otero, un nome spagnolo che probabilmente ha circolato nel sud-Italia in altri tempi, e chissà come era arrivato al mio orecchio» (Il comico come strategia in Gianni Celati & Co., «Nuova Prosa», n. 59). Ecco una sorta di dichiarazione di poetica nascosta, che può valere per il nostro libro: plurima e ibrida è la lingua, irriducibile allo standard dell’italiano. Plurime e ibride sono le storie, condite di fantasia. E la verità è plurima e ibrida, fino ad assomigliare a una menzogna per assecondare il meraviglioso ma senza tralasciare il verisimile, perché a raccontare questa verità è un ragazzino: «Sono tutti fatti da me sentiti con le mie orecchie nell’età giovanile, e posso testimoniare».

Per capire ancora meglio La banda dei sospiri è imprescindibile un riferimento cinematografico, come Calvino disse bene in una recensione a Narratori delle pianure: «Romanzi (Comiche, Le avventure di Guizzardi, La banda dei sospiri, Lunario del paradiso) in cui il sottolinguaggio d’un personaggio tra onirico e stralunato intendeva presentarsi come l’equivalente scritto d’un modello extralinguistico, cioè la comicità delle slapsticks del cinema muto, tipo Ridolini, Harry Langdon, Buster Keaton». Altro elemento extralinguistico, che denota paradossalmente un libro la cui cifra risiede proprio nel linguaggio, è quello dei fumetti, su cui insistono il testo e la copertina dell’edizione di Feltrinelli. La recensione ad ogni modo si intitolava Da Buster Keaton a Peter Handke, come a riassumere in due nodi centrali la parabola della letteratura celatiana e per indicare soprattutto lo scarto tra le due maniere. Ma a ben vedere io credo che Peter Handke fosse presente anche ai tempi di Lunario del paradiso, libro molto simile a La banda dei sospiri. La vicenda di Gregor Keuschnig ne L’ora del vero sentire, in cui dopo un sogno violento – paragonabile al capitolo in cui Giovanni e Herr Schumacher assistono a un sordido spettacolo in una specie di bordello – il protagonista scopre che il vero sogno è la vita, è del tutto simile alla formazione di Giovanni nel Lunario: «Tu hai creduto alle visioni perché credi che i sogni siano realtà; nicht wahr, not true! È la realtà che è un sogno, glaubst du nicht?». Questa prospettiva è del tutto probabile visto che la pubblicazione del libro di Handke risale al 1975 e quella del Lunario al 1979.

Perciò non c’è un vero scarto, se non di tempo, tra la letteratura degli anni Settanta e degli anni Ottanta in Celati, come potrebbe sembrare a uno sguardo superficiale. «Il rovesciamento dall’interno verso l’esterno» che Calvino ha usato per parlare di Narratori delle pianure potrebbe più correttamente diventare il mondo interno dell’esterno dell’interno, titolo di un libro di poesie di Handke. L’interiorità e l’esteriorità sono presenti, anche se in modi differenti in tutta la letteratura celatiana. E anche in Verso la foce (il suo libro più esteriore) una sorta di interiorità era presente, per meglio dire si stabiliva una nuova zona a metà tra interiorità e esteriorità.

Per tornare al nostro romanzo, in un’intervista per la pubblicazione basca di Parlamenti buffi si fa questa domanda: «Sebbene siano finzione, mi pare che i tuoi libri fanno anche un’analisi della società: in La banda dei sospiri è la famiglia l’asse per capire la società, in Lunario del paradiso è uno straniero il protagonista della storia. C’è in questi libri un’analisi sociologica e antropologica?». E Celati giustamente risponde: «Le cose parlano da sole: la società, la famiglia, lo stato di vita da straniero. Ma questi non sono significati da spiegare, sono sintomi che ci portiamo addosso» (Gianni Celati, a cura di Marco Belpoliti e Marco Sironi, «Riga», n. 28). Ne La banda dei sospiri c’è effettivamente uno sfondo sociale e politico: De Gasperi, la democrazia cristiana… Ma si va fuori pista pensando che lo scrittore l’abbia inserito deliberatamente per proporre una particolare lettura storica – nel risvolto della prima edizione, riproposto in questa, troviamo un attacco ai «romanzi monumentali, con le loro acute interpretazioni della storia». È rassicurante talvolta pensare alla letteratura non sempre come a un’arte mimetica, bensì come a una zona franca, indipendente e inservibile rispetto al mondo da cui tuttavia inizialmente proviene (sempre Carmelo Bene diceva che ogni rappresentazione è una rappresentazione di Stato).

L’unico intervento che potrebbe sembrare giudicante – e che forse è per l’appunto la parte più debole del libro – coincide con l’entrata in collegio del «cugino magro». Qui si trova una rappresentazione sordida e meschina del mondo dei preti in colluttazione con De Gasperi (la cosa si trova molto anche nella riscrittura di Comiche del ’72-’73). Ma anche questo pezzo al limite con la coerenza e l’efficacia del libro è rivalutabile, nel senso che non si tratta di una rappresentazione. Il ragazzino racconta ciò che ha sentito raccontare e quindi subisce lo sguardo distorto e di parte di chi lo circonda, un mondo che osteggia De Gasperi. Non c’è un’ideologia, ma una specie di trascrizione dei racconti ideologici che circolavano al tempo, anche qui distorti perché a dirli è un ragazzino.

In fin dei conti La banda dei sospiri è semplicemente un libro sulla giovinezza: «Un periodo di stravaganze che vengono nella testa, e uno si preoccupa avendoci per esempio una faccia tutta storta con la bocca larga come un forno, perché si dice: come andrà a finire? E va a finire che si diventa lunghi mezzi scemi, sia per la tara di famiglia ereditata dal padre, sia per gli avvenimenti che succedono. E questo è il famoso sonno della giovinezza quando si fanno tanti sogni, e poi qualcuno riesce a svegliarsi e altri no».

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