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Jorge Semprún: un apolide in bilico tra due identità

Ci sono argomenti di cui si è parlato tanto, forse anche troppo, ma mai abbastanza. L’orrore della guerra e le stragi dell’Olocausto sono uno di questi. Vi avevamo già parlato di Jorge SemprúnOggi torniamo a parlare di lui per il nostro mese d’autore. 

Jorge Semprùn nasce a Madrid nel 1923, da una famiglia repubblicana dell’alta borghesia, e vive i primi anni della sua vita in un’abitazione vicino al parco del Retiro, in un ambiente colto e favorevole al bilinguismo. In casa, infatti, lui e i suoi fratelli imparano le lingue e parlano in tedesco con le istitutrici. Nel 1932 la prima delle tragedie che colpiranno la vita dello scrittore: la madre muore prematuramente. Appena quattro anni dopo, nel 1936, l’esilio.

Mentre la famiglia è a nord per le vacanze estive, la guerra civile ha il suo inizio e i Semprùn sono costretti a partire senza poter far ritorno nella capitale, e dopo una breve parentesi olandese, si trasferiscono a Parigi, dove un aneddoto porterà il giovane Semprùn a voler impararehttps://goo.gl/399m3j il francese così bene da non lasciare trasparire la sua provenienza straniera: entrato da un fornaio, gli viene rimproverato il suo accento, e viene etichettato con l’aggettivo “rosso”.

Si separa dal padre e inizia a studiare presso il prestigioso liceo parigino Henry IV, dove si afferma come il primo della classe. Si iscrive, poi, alla Facoltà di Filosofia e, grazie al suo francese ormai perfetto, diventa a tutti gli effetti uno scrittore in lingua francese.

Con la caduta di Madrid nel luglio del 1939, però, il giovane Semprùn sente nascere dentro di sé un senso di appartenenza alla terra che era stato costretto ad abbandonare repentinamente da ragazzino e inizia a frequentare la piazza del Panthéon, dove riscopre odori e sensazioni che lo fanno tornare ad un passato che era stato quasi distrutto: quello di Madrid, del quartiere di Salamanca e delle strade che era solito percorrere da bambino. È così, con queste rievocazioni, riaffiora piano piano quell’animo da “rosso spagnolo”, che lo porterà ad avvicinarsi al Partito Comunista e alla Resistenza francese e che gli costerà la cattura e la deportazione a Buchenwald nel 1943.

L’esperienza del viaggio di andata e di ritorno dal campo viene raccontata dall’autore in Il grande viaggio, mentre il periodo di prigionia sarà narrato in La scrittura o la vita.  È pscrittura o vitaroprio nei mesi passati a Buchenwald, infatti, che per Semprùn inizia la riappropriazione di un’identità da troppo tempo perduta, quella spagnola. Nel campo recupera la lingua nativa perché si trova imprigionato con i comunisti spagnoli. Anche lo stemma che gli viene appeso al petto è quello del rosso spagnolo. E paradossalmente, in un luogo in cui il fine ultimo è proprio quello della spersonalizzazione, l’autore riesce a riprendersi un’identità di cui andrà fiero e che, addirittura, riesce a fornirgli una spiegazione quantomeno plausibile del perché si trova in un posto simile, di quale “crimine” si è macchiato. E sarà proprio questo venire a conoscenza del motivo per cui si trova lì che gli darà la forza necessaria per resistere.

Il momento della liberazione, però, lo riporterà alla realtà, alla sua identità divisa tra due culture, lingue e mondi diversi. Come già accaduto da ragazzino, infatti, anche adesso, quando la guerra è ormai quasi conclusa e ai sopravvissuti sembra essere stata concessa la libertà, lui torna ad essere imprigionato, questa volta in un dualismo tra la propria identità d’origine e quella che si è creato nel corso degli anni. Non può ritornare al suo paese: la Spagna gli è vietata. Ecco, allora, che l’esperienza raccontata in Il grande viaggio diventa più che la semplice descrizione del trasporto in treno verso il campo o verso la Francia. È al contrario, il racconto di un percorso tutto interiore, che alterna momenti di sogno a attimi di realtà. In una temporalità sospesa e grazie a una descrizione paesaggistica in alcuni punti quasi fantastica, viene revocato un viaggio personale e universale allo stesso tempo: quello del passaggio dalla vita alla morte prima, e dalla morte alla vita dopo.  https://goo.gl/2pcT2o

Appena rientrato in Francia Semprùn cerca di riprendersi la propria vita, e lo fa impegnandosi affinché il Partito Comunista lo invii in missione nella terra che gli ha dato i natali. È così che nel 1953 inizia una nuova fase della sua vita: quella come clandestino, senza che la polizia spagnola arrivi mai a scoprire la sua vera identità. Inizia, così, un decennio di continui spostamenti che lo vedono attraversare diverse volte la frontiera francese per recarsi a Madrid, ogni volta con uno pseudonimo differente, tra cui il più importante è certamente quello di Federico Sánchez, a cui dedicherà anche una delle sue opere, dal titolo, appunto di Autobiografia di Federico Sánchez.

L’esperienza a stretto contatto con la patria, però, dura soltanto dieci anni, poiché nel 1963 viene espulso dal Partito per decisione dei dirigenti, con l’accusa essere un dissidente. Di nuovo, come già molti anhttps://goo.gl/H9yj53ni prima, l’autore si ritrova espulso dal proprio Paese e costretto ad una perenne condizione di esiliato. È in questa fase che va collocata tutta la riflessione sulla scrittura che costituisce il nodo centrale di La scrittura o la vita, ma di cui si rintracciano chiari segni anche in Il grande viaggio. Si accorge che la scrittura lo richiama a se stessa, lo forza a scrivere, costringendolo a ricordare i giorni di prigionia. La scrittura e il ricordo diventano delle forze incontrollabili, che riportano alla luce gli orrori vissuti nel campo. È così che il Semprùn politico cede il posto al Semprùn scrittore, con una breve parantesi dal 1988 al 1991, che lo vedrà tornare nelle questioni politiche, e quindi anche a Madrid, con l’incarico di Ministro della Cultura, durante l’ultimo governo socialista di Felipe González. Nuovamente, però, la fine dell’incarico lo costringerà a tornare a Parigi, dove resterà fino alla sua morte nel 2011.

E visto che tra i nostri mese d’autore passati vi avevamo presentato un approfondimento su Primo Levi  ( Primo Levi: una scrittura che ordina il mondo ), che come Semprùn, oltre che tanti altri, ha vissuto e ha scritto degli orrori della guerra da lui vissuti, è quasi un dovere quello di mettere brevemente a confronto queste due figure. Ed è lo stesso autore spagnolo ad autorizzare il paragone in un capitolo del suo libro La scrittura o la vita. In entrambi, infatti, la poesia svolge un ruolo di incredibile importanza. Semprùn, ad esempio, realizza una delle più forti descrizioni della vita del musulmano nell’ultimo romanzo sull’esperienza di Buchenwald, mettendone in luce la mancanza di volontà e l’incapacità di creare rapporti umani. Eppure, il musulmano della narrazione di Semprùn riesce a risvegliarsi e lo fa grazie alla memoria poetica.https://goo.gl/cmEQRo

La poesia, dunque, come sinonimo e mezzo di risveglio dall’apatia e via d’uscita allo sprofondare verso la morte. La scrittura stessa diventa passaggio, viaggio verso la riscoperta del proprio io e dell’essere uomini. Da qui l’immediato parallelismo con l’episodio de Il canto di Ulisse in Se questo è un uomo, che rafforza e conferma l’idea della poesia come per rimanere uomini, per ritrovare la propria ragion d’essere. Eppure, in questo comune ricorso alla poesia da parte dei due autori è da rintracciare anche una profonda differenza: strumento di astrazione, possibilità di fuga dalla realtà del campo per Semprùn, e mezzo per condurre dal caos all’ordine, per rischiarare, secondo Levi.

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