La scultrice maledetta: Camille Claudel

Camille Claudel (Fère-en-Tardenois, 1864 ‒ Montfavet, 1943) vive la sua vita in un contesto straordinario e contraddittorio nella Francia della Belle Époque dove  la realizzazione dell’identità femminile era ancora molto difficile. La scultrice nonostante i vari ostacoli riuscì ad affermarsi ritagliandosi uno spazio d’azione inedito e non piccolo nell’arte – sono oltre cinquanta le opere che documentano l’intero arco della sua produzione – nonostante gli snodi esistenziali che la influenzarono fortemente: il problematico rapporto con la famiglia, il forte legame con il fratello Paul, che convertitosi diventerà esponente del cattolicesimo intransigente della società francese dei tempi, la storia d’amore e di odio con lo scultore Rodin e infine la malattia mentale, la torsione in se stessa – come nella statua dell’immagine di copertina – e l’internamento in manicomio.

Portrait-of-Camille-Claudel-by-Cesar2c-around-18842c-Copyright-Rodin-MuseumCamille Claudel si trasferì con la famiglia nella fervente Parigi nel 1881 a 17 anni per studiare all’accademia di arte Colarossi che aprì le porte alle donne in quegli anni. Il padre era un addetto alla riscossione delle imposte che tornava a casa solo nei fine settimana. La signora Claudel era di fatto il capo della famiglia che comprendeva Camille insieme al fratello Paul e Louise, la sorella minore. Camille ha con la madre un rapporto conflittuale: la diversità fra le due donne lascia forse un segno senza traccia sulla sua vita.

L’accademia frequentata da Camille si dedicava principalmente alla scultura, offriva alle donne le stesse possibilità degli uomini e lasciava agli alunni grande flessibilità del piano di studi. Poco dopo Camille decise di spostarsi in un atelier in Rue Notre-Dame-des-Champs, dove nel 1882 venne ad insegnare Auguste Rodin.  In quel periodo, il maestro stava lottando già da un quarto di secolo contro la scultura classicista del tempo. Dopo due anni sotto la direzione di Rodin, Camille modellava perfettamente il corpo umano soprattutto mani e piedi, divenne perciò una degli assistenti di Rodin, preparando argilla, gesso e armature o modellando mani e piedi dei soggetti scultorei. I loro lavori in effetti in quel periodo sono molto simili, ovviamente Rodin si è servito del genio di Camille come era normale ai tempi servirsi dei propri assistenti. Vero è anche che di Rodin in questo periodo abbiamo un’ampia produzione, di Camille quasi nulla.

"La Jeune Fille à la gerbe", Camille Claudel (1887), Musée Rodin

“La Jeune Fille à la gerbe”, Camille Claudel (1887), Musée Rodin

Acquerello di Rodin

Acquerello di Rodin

La loro conosciuta relazione amorosa, che nasce lavorando fianco a fianco, porta a quindici anni di un’affaire appassionata e burrascosa, dal quale Camille uscirà però sfibrata, sconfitta non solo umanamente ma anche come artista al punto da distruggere le sue stesse opere. Camille interrompe la sua relazione con lo scultore dopo essersi resa conto che tra loro non sarebbe stato possibile alcun matrimonio – Rodin resterà sempre legato a Rose Beuret sua compagna fissa da anni  che lo scultore non lascerà mai. Molto probabilmente da alcune fonti si evince anche la testimonianza di una gravidanza interrotta, sembra che proprio questo avvenimento abbia minato seriamente l’equilibrio della giovane donna. Un amore infelice, quello per Auguste Rodin, esclusivo, venato da gelosie professionali e soprattutto avvelenato dai pregiudizi della società, dalla lontananza e poi dall’abbandono di Camille da parte della famiglia Claudel nella solitudine e in condizioni economiche precarie.

"La Valse", Camille Caludel, (1895-1905), Musée Rodin

“La Valse”, Camille Caludel (1895-1905), Musée Rodin

Camille dimostra da sempre di avere un talento e un genio unici, ha assoluta padronanza del movimento, si pensi a una delle sue più famose opere La Valse (1895-1905) dove movimento e staticità sono in perfetto equilibrio. Per la committenza era chiara la figurazione di un amplesso e l’opera arriva a scandalizzare persino l’ispettore del Ministero delle Belle Arti.

Qui è un tutto perfetto di forza, avvitata su se stessa, spinta dal dinamismo della figura maschile che avvolge quella femminile legata e trattenuta dal vestito che scende a terra. Per l’artista è il tentativo di cogliere la vita nel suo movimento, nella trasformazione, nell’equilibrio precario di un legame tormentato. Quel che importa è che con il tempo, l’artista non vorrà raffigurare una sola figura, non si accontenta del personaggio ma vuole raccontare una storia, una narrazione completa. Un talento, quello di Camille, che la porta già a 12 anni a distinguersi dai suoi coetanei, prendeva ispirazione ovunque per i suoi disegni e le sue sculture in creta da vecchie incisioni a modelli anatomici utilizzando i suoi fratelli Paul e Louise come modelli.

Nella celebre foto di un fotografo di cui sappiamo solo il nome César scattata quando Camille aveva 20 anni nel 1884, oggi conservata nel Musée Rodin, Camille ci appare davvero come viene ricordata dal fratello Paul:

Questa splendida giovane, nel fulgore trionfale della bellezza e del genio. […]  fronte superba, sovrastante due occhi magnifici, di quel blu così raro da trovare altrove se non nei romanzi… quella grande bocca più fiera che sensuale, quel ciuffo potente di capelli castani, il castano puro, che gli inglesi chiamano auburn, che le cadeva fino ai reni. Un’aria impressionante di coraggio, di franchezza, di superiorità, di allegria. Di qualcuno che ha ricevuto molto, e lo sa.

"Buste de Rodin", Camille Caludel (1888), Musée Rodin

“Buste de Rodin”, Camille Caludel (1888), Musée Rodin

Camille aveva un difetto di zoppia e questo forse l’aveva spinta a cercare la perfezione nell’arte con un gesto impulsivo. Era molto legata al padre, che fu di fatto il suo più grande alleato fino alla sua morte nel 1913 – una volta morto forse l’unico alleato della sua vita venne internata in un manicomio.  Forse in Rodin vedeva proprio il padre, assente spesso per lavoro: nel Buste de Rodin lo scultore maestro dimostra molto di più dei suoi quarantaquattro anni, sembra un vecchio dalla folta barba, una figura paterna severa ma affettuosa.

Camille aveva uno stretto legame anche con il fratello Paul, fin da piccoli infatti la loro grande immaginazione dava loro una coesione unica. Lui, sebbene dopo i suoi studi di diritto intraprese la carriera diplomatica, si dedicò all’arte attraverso la poesia e la la drammaturgia, dopo la sua conversione al cattolicesimo nel 1886 divenne uno degli esponenti del cattolicesimo intransigente, quel cattolicesimo che provava riprovazione pubblica in nome di pregiudizi atavici per donne anticonformiste come Camille.  La religiosissima famiglia borghese di Camille reagì alle sue crisi facendola internare in una casa di cura per malati di mente a Montfavet, dove rimase per trenta anni fino alla morte. Camille secondo un giornalista dell’epoca, Paul Théodore Vibert, era stata internata in modo arbitrario per psicosi da persecuzione solo perché la sua famiglia si vergognava di lei e dei suoi comportamenti anticonvenzionali.

"L'Age mûr", Camille Claudel (1902), Musée d'Orsay

“L’Age mûr”, Camille Claudel (1902), Musée d’Orsay

In una lettera di Camille nel 1930 al fratello Paul scrive:

(…) sono 17 anni che Rodin e i mercanti di oggetti d’arte mi hanno spedita a far penitenza nei manicomi. Dopo essersi impossessati dell’opera di tutta la mia vita…
Il mio povero atelier, qualche povero mobile, qualche utensile che mi ero forgiata io stessa, la mia povera piccola casa eccitavano ancora la loro cupidigia! – L’immaginazione, il sentimento, il nuovo, l’imprevisto che nasce da uno spirito evoluto, tutto questo era loro precluso, a quelle teste murate, a quei cervelli ottusi, eternamente chiusi alla luce, per cui avevano bisogno che qualcuno gliela donasse. E lo ammettevano: “Ci serviamo di una pazza per trovare i nostri soggetti”.
C’è forse qualcuno che nutre almeno un po’ di riconoscenza per chi lo ha nutrito, che sa dare qualche risarcimento a colei che hanno depredata del suo genio? No! Un manicomio!
È lo sfruttamento della donna, l’annientamento dell’artista a cui si vuol fare sudare sangue…

Sono lontani oramai i ricordi delle sue esposizioni, dal 1883 al 1889 espone tutti gli anni al Salon des Artistes Français  per poi passare alla Société Nationale, l’esposizione concorrente fondata nel 1890. Le opere di Camille esprimono tutti i suoi stati d’animo, con argilla e gesso, dai momenti di gioia, di tristezza, a quelli di disperazione, fino all’afasia finale. Nel 1888 al Salon Camille espone Sakountala (l’abbandono) e forse rappresenta l’opera più bella, più intensa e carica di pathos che abbia mai realizzato.

"Sakuntala", Camille Claudel (1888), Musée Rodin

“Sakuntala”, Camille Claudel (1888), Musée Rodin

Sakountala è il nome dell’eroina di un dramma indù, rielaborato da Camille in varie versioni in terra cotta e bronzo, scolpito durante gli anni di relazione con Rodin, manifesta l’amore ritrovato con le due figure abbracciate disperatamente ma già corrose dall’inquietudine. La scultura ha molto successo al Salon e riceve una menzione d’onore. Tutto nell’opera esprime un profondo sentimento di tenerezza appassionata ma casta, un fremito e un ardore contenuto, quasi un lamento soffocato. Traspira il bello e il perfetto: impossibile non provare sentimenti di identificazione con queste figure che prefigurano la futura autobiografia della scultrice. Camille riesce infatti a dare espressione scultorea a tutti i movimenti dell’animo umano nelle sue opere e come se la totalità della sa produzione fosse il catalogo di un’esistenza: la sensualità, il desiderio, l’amore, la gioia, la determinazione, ma anche gli inganni della vita, l’umiliazione e la voglia di riscatto, la disillusione, la rabbia, la disperazione. Il vortice delle emozioni e la loro totale negazione sono in equilibrio in Sakountala. Come in tutta la sua produzione il senso straordinario del movimento e la sua tensione interiore: la vera Camille.

camille claudel 1988La storia biografica e anche artistica è oggi abbastanza nota e i francesi le hanno dedicato due film, uno nel 1988 con Isabelle Adjiani e Gérard Depardieu per la regia di Bruno Nuytten. L’altro nel 2013 con Isabelle Binoche, diretta da Bruno Dumont, è molto intenso sugli anni del manicomio dove resterà fino al 1943, anno della sua morte. Non creerà più  opere d’arte. È lei stessa a non volere che le vengano forniti i materiali per scolpire. Eppure scrive ancora lettere molto lucide alla madre (che non andrà mai a trovarla), al fratello e ad alcuni amici.

Proprio quest’anno, nell’anno del centenario di Rodin, a Nogent-sur-Seine – a sud-est di Parigi – è stato inaugurato il Musée Camille Claudel  per questa grande artista che ha sfidato le convenzioni sociali e ha cercato solo di essere se stessa in un mondo conformista che forse non era ancora pronto per capire e apprezzare il suo grande estro artistico. E che per questo l’ha nascosta ai suoi occhi di presunta ragione.

Bibliografia

Odile Ayral-Clause, Camille Claudel, 2002

Immagine di copertina

“Femme accroupie”, Camille Claudel (1884–1885), Musée Camille Claudel

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