Tributi alla terra

Blue Revolution – L’economia ai tempi dell’usa e getta e il potere delle idee

“Quello che hai per le mani sembra un libro come tanti. Ma ha una storia unica, che lo rende un po’ diverso e che vale la pensa di raccontare. È un fumetto. Ma è anche un’inchiesta, un contromanuale tra economia ed ecologia, uno spettacolo, l’avventura di un gruppo di amici, una start up con annessa app, un progetto di economia circolare”.

È con queste parole che lo scrittore Oliviero Ponte di Pino ci introduce alla lettura del fumetto Blue Revolution, l’economia ai tempi dell’usa e getta (BeccoGiallo, 2019), un testo nato da uno spettacolo teatrale pensato per unire tre storie che ruotano intorno a temi socio-ecologici sempre più pressanti: l’economia usa e getta, l’inquinamento da plastica degli oceani e l’alternativa possibile per una nuova visione del rapporto tra produzione, consumo e ambiente. Attraverso la sceneggiatura di Alberto Pagliarino, Nadia Lambiase, Paolo Piacenza (del progetto Pop Economix) e le illustrazioni di Benni, Blue Revolution si presenta come la materializzazione di un progetto di ricerca collettivo che si interessa di questioni complesse, urgenti e critiche, essenzialmente frutto di quella che potremmo definire un’idea distorta di economia. Ed è proprio da una riflessione sul potere delle idee che il fumetto si articola, mettendo in risalto come «spesso un’idea è talmente forte che ha il potere d’insediarsi nel nostro cervello e restarci per tutta la vita», alimentando valori e ideali che si tramandano di generazione in generazione. Ci sono idee che danno vita a un popolo, idee che possono arrivare ad uccidere, che ti spingono a scendere in piazza a manifestare, idee che cambiano radicalmente la vita di milioni di persone: è su queste importanti e profonde idee che si fonda il nostro piccolo pianeta azzurro, afferma il narratore-protagonista della storia.

Capita anche che idee geniali vengano facilmente distorte e impiegate per convincerci a fare ciò che non vorremmo, per manipolarci e indurci, ad esempio, ad acquistare ciò di cui non abbiamo bisogno, a consumare oggetti superflui nella vita di tutti i giorni e a gettarli una volta rotti perché tanto è più semplice comprarli nuovi che ripararli. È così che, tutt’altro che casualmente, nasce il concetto di obsolescenza programmata, quella strategia che nell’ambito dell’economia industriale definisce il ciclo di vita di un bene in modo da limitarne quanto più possibile la durata. È questa l’essenza dell’economia lineare che continua a caratterizzare gran parte dei processi economici del tardo capitalismo, fondati sulla trasformazione di materie prime grezze in prodotti che vengono gettati una volta raggiunto il termine del loro ciclo vitale (sempre più breve, appunto). Verrebbe da sorridere pensando che le basi di un’economia fondata sull’idea di un mercato capace di autoregolarsi siano nate da un fraintendimento, da una lettura superficiale che poi ha portato a una distorsione bella e buona. Ma tant’è, affermano gli autori del fumetto sulla base di diversi studi analizzati che ci mostrano come la celebre frase del filoso ed economista Adam SmithNon è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dalla cura che essi hanno per il proprio interesseNon ci rivolgiamo alla loro umanità ma al loro interesse personale – sia stata oggetto di una lettura approssimativa utile al consolidamento del pensiero neoliberista nel corso dello scorso secolo che ha visto, tra le altre cose, il diffondersi su larga scala dell’idea secondo cui la felicità del singolo è data dalla libertà di comprare prodotti sempre nuovi ed efficienti, a costo più o meno contenuto, realizzati con materiali che devono perciò essere infiniti e illimitati: «un materiale che non ci obblighi a fare i conti con le limitate risorse di questo limitato pianeta».

Avete capito, si?! Ma certo, stiamo parlando della plastica! Materiale leggero adatto agli usi più svariati, probabilmente il più diffuso al mondo, la prova tangibile della nostra esistenza come specie umana e delle nostre capacità di estrarre valore dalla trasformazione di sostanza organica stratificatasi e decompostasi nel corso di milioni di anni…e al tempo stesso la prova tangibile di un gigantesco fallimento. Sì perché quando diciamo che la plastica è ovunque, intendiamo dire davvero ovunque. Nei fiumi, nel suolo, nell’aria, negli oceani, nei nostri vestiti, e ancora nei pesci, nei pesci che mangiamo, nei nostri stomaci, nei tessuti placentari, quindi, nel sistema endocrino e ormonale dei nostri figli. Leggendo Blue Revolution scopriamo che la plastica è talmente ovunque e talmente tanta che Charles J. Moore, oceanografo e capitano navale, ha scoperto una gigantesca isola interamente composta da materiale plastico, quella che lui chiama Great Pacific Garbage Patch, un vero e proprio continente di plastica di 10.000.000 km2 (quanto l’Europa). Quindi, al contrario di quanto si ipotizzava, la plastica ci obbliga e come a fare i conti con la limitatezza delle risorse e l’interconnessione tra specie e ambiente. Tutto ciò che viene gettato via in qualche modo torna: la dolce paperella di gomma che finisce nell’oceano diventa un pericolo per l’umanità (e non solo). Inquietante, no?!

«Quindi è tutto inutile? Se neppure il capitano Moore che ha dedicato la sua vita alla salvaguardia degli oceani è riuscito a fermare questa piaga, significa che…è tutto perduto? La legge dell’avidità ha vinto? Aveva ragione Adam Smith? Oppure c’è ancora un barlume di speranza nell’animo delle persone?».

Naturalmente, non è tutto perduto. Si tratta solo di accendere i riflettori e puntarli su un’altra storia. L’associazione Pop Economix, un progetto no profit nato dall’incontro tra teatro, cultura economica e giornalismo ci è riuscita in modo brillante e divertente, realizzando uno spettacolo prima e un fumetto poi, in grado di parlare al pubblico in modo accessibile di temi complessi con l’obiettivo di far germogliare pensiero e agire critico nei confronti delle diverse scelte possibili. Grazie a una sceneggiatura ironica e mai banale e supportata da una ricostruzione storica e da un impianto teorico importante, Blue Revolution tenta di scardinare l’idea secondo cui alla linearità, all’avidità e al business as usual dell’attuale sistema economico non vi sia rimedio, presentando un esempio di ciò che significa, invece, agire secondo i principi sempre più diffusi di un’economia che fa della circolarità il proprio elemento chiave. L’esempio della start-up Terracycle, nata dall’idea potente di Tom Szaky, è al centro della seconda parte del fumetto, dedicata proprio al racconto di uno dei tantissimi esempi virtuosi che ci circondano ma che stentiamo spesso a notare. Terracycle, la più piccola e carina start-up d’America, si occupa di produrre fertilizzanti senza nessun additivo chimico bensì utilizzando niente di meno che…cacca di verme! Dando gli scarti di cibo ai vermi, infatti, il gioco è praticamente fatto: si ottiene un fertilizzante perfetto per far crescere piante sane e rigogliose. Da questa semplice idea, Tom e il suo socio Jon creano un modello virtuoso di economia circolare che oggi conta 125 dipendenti e circa 20 milioni di dollari di fatturato, 200.000 volontari in tutto il mondo e più di 7 miliardi di rifiuti raccolti. Per produrre, confezionare e quindi vendere il fertilizzante, infatti, la compagnia di Tom e Jon si serve della donazione di bottiglie vuote, contenitori e scarti di cibo da parte di comuni cittadini e aziende. Sebbene l’obiettivo ultimo sia quello di arrivare a usare meno plastica possibile piuttosto che affidarsi ciecamente al suo riciclo, spesso complicato, costoso e inefficace, l’idea di Tom e Jon ha innescato una spinta al tentativo di vedere le cose da un altro punto di vista, agendo di conseguenza contro quel business as usual che continua a governare le politiche economiche globali. Certo, TerraCycle non è la soluzione e non dobbiamo neanche aspettarci che lo sia – le logiche economiche all’interno delle quali l’azienda opera sono pur sempre quelle del libero mercato e una recente inchiesta ha dato seguito a una causa legale intentata contro la compagnia statunitense, accusata di greenwashing. Probabilmente, due anni dopo la pubblicazione di Blue Revolution, TerraCycle non è più l’esempio così virtuoso che si prospettava. Tuttavia, ciò non significa che pratiche di opposizione al sistema egemone e di creazione di un’alternativa reale siano inesistenti, per lo più corrotte o destinate a diventarle. Significa semplicemente che occorre scavare più a fondo e smettere di combattere questo sistema con le stesse armi che ha creato. Significa riscoprire che l’aiuto reciproco è ciò che ci guida e che ci caratterizza. Proprio come avviene nel mondo vegetale, al quale siamo più vicini di quanto immaginiamo:

«gli alberi, durante la loro evoluzione e pur non avendo una coscienza, hanno capito che insieme, si sta meglio. Una foresta è possente. Un albero da solo è troppo vulnerabile. Morirebbe. Oggi, come mai prima d’ora, dobbiamo cercare di preservare la vegetazione dall’egoismo dell’uomo. Perché senza la natura…la vita non può esistere». «…E allora, chissà se questa idea può funzionare anche in economia. Soldi e umanità, lo so, sembra quasi osceno da pensare. Eppure se ci pensate bene…è un’idea potente!»

Nel passaggio dal palcoscenico alla carta stampata, Blue Revolution si riconferma un bellissimo esempio di quanto l’informazione debba essere raccontata nel modo giusto, in modo innovativo attraverso nuovi canali pubblici ma sempre ben documentata. Da qualche anno, Pop Economix si impegna per dare vita a una (contro)informazione che sappia far riflettere, divertire, ragionare ed emozionare sui temi dell’economia, in particolare su quelli dell’economia circolare. Impresa affatto semplice che, tuttavia, Pop Economix porta avanti con consapevolezza, creatività scientifica e grande entusiasmo.    

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