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Pop Corno: La donna elettrica


Il 28 dicembre 2020 il cinema ha compiuto 125 anni: in quello stesso giorno del 1895, infatti, venivano proiettati pubblicamente i 46 secondi di quello che è considerato il primo film della storia, creato dai fratelli Lumiére. Io invece, di anni ne sto per compiere trenta e ho visto pochissimi film: Pop Corno è il mio pubblico tentativo di fare ammenda.


De La donna elettrica (2018) avevo sentito parlare bene da amici e le loro madri – non per modo di dire. Diretto da Benedikt Erlingsson, regista, sceneggiatore e attore islandese che all’Isola dedica la propria produzione e che con due pellicole l’ha rappresentata agli Oscar, La donna elettrica è il racconto delle imprese di Halla, moderna amazzone (il titolo originale suona infatti molto più come Una donna in guerra) ecologica e… ecoterrorista.

Arco, frecce e maschera con il volto di Nelson Mandela: quando Halla smette gli abiti di una donna di mezz’età single e non è una maestra di canto, si dedica all’attacco e alla manomissione del sistema elettrico della Corporation, l’azienda malvagia per antonomasia (in italiano “multinazionale”), che approvvigiona gli impianti metallurgici al centro di interesse internazionali. Non è sola: da un infiltrato nel governo ad amicizie fortuite con burberi contadini, fino alla gemella (impersonata dalla stessa attrice, Halldóra Geirharðsdóttir) che si trasforma in un’impensabile alleata nel momento perfetto, Halla trova sostegno e complicità per continuare le proprie imprese e poter sabotare le aziende straniere che vogliono insediarsi sul territorio islandese. Per Halla, si tratta di niente più che una svendita, che il governo camuffa da grande opportunità e che anzi invita i cittadini a dissociarsi dalle azioni dellə misteriosə terrorista.

Muovendoci con lei per l’entroterra islandese, riscopriamo un rapporto tridimensionale, sensoriale e quasi intimo con la natura e la terra, quando Halla la accarezza e vi affonda il viso, quando si infila in fessure per nascondersi dai droni del governo e indossa la pelle di animali in decomposizione per mimetizzare la propria forma e l’odore.

L’operazione di sabotaggio e tutti i rischi che comporta arrivano a minare anche il sogno di vita di Halla: quello di adottare una bambina. Dopo fughe, arresti e pericoli, tralicci che crollano e cuore in gola, biciclette e vecchi pullman, tra le cose che impareremo, oltre al fatto che se vogliamo cambiare le cose dobbiamo essere noi per primə a imbracciare arco e frecce, c’è anche il fatto che nessunə è escluso dal cambiamento climatico – come ci mostra il finale aperto.

La donna elettrica è però tutt’altro che un film disfattista e dark: dall’umorismo anche non per forza verbale – come nella rimessa in scena dell’assalto dei primati al monolite di 2001: Odissea nello Spazio – all’interazione con la musica, suonata direttamente in scena, che dà il ritmo a quanto accade e accompagna i personaggi dal cuore ai confini dell’Islanda, non ci sono mai momenti di disperazione totale. Halla è piena di risorse ed energie e il governo è finalmente rivelato per quello che è, un’ennesimo player nel mercato mondiale, che non tutela e conserva ma vende e investe: è quindi compito dellə singolə cittadinə ergersi a protettorə della terra che abitano, anche con arco e frecce, anche a costo della propria libertà.

Se anche tu sei convintə che non ci sia un pianeta b, dopo aver visto La donna elettrica ti consiglio di leggere qualcosa anche dalla nostra rubrica dedicata all’ambiente e la rubrica Tributi alla Terra.

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