Santa Muerte – Storie al di qua del muro

Qualche settimana fa, è stata scattata una fotografia sul confine tra il Messico e gli Stati Uniti che ha fatto il giro del mondo, scuotendo (momentaneamente) le coscienze dal torpore dell’indifferenza e sollevando non poche domande sul fatto se fosse giusto o meno condividerla. Nella fotografia, troviamo due corpi vicini, riversi nell’acqua e nel fango, a faccia in giù. Immobili come sassi. Un padre e una bambina salvadoregni. Sono Oscar Alberto Martinez e Angie Valeria, sua figlia, morti nel tentativo di attraversare il Rio Grande. Nel 2016, Marcus Sedgwick, famoso scrittore per ragazzi, pubblicò il suo libro Santa Muerte – in Italia pubblicato solo quest’anno grazie alla curatissima casa editrice Pelledoca – che comincia così:

Non molto distante da qui, appena più in là dell’orizzonte della nostra immaginazione, c’è una ragazza che galleggia nel fiume. Si muove con l’acqua, che sussurra fra i giunchi sulla sponda. Ha le braccia aperte, le gambe divaricate e minuscoli pesciolini le nuotano intorno alle dita dei piedi. […] Quando la polizia la troverà, sela troverà, quando scriveranno il verbale, sescriveranno il verbale, diranno che è annegata, solo un altro mojado, un’altra “sporca clandestina”, annegata mentre tentava di attraversare il fiume.

Parole che continuano a risuonarci ancora oggi. Spietate.

Di fronte ad avvenimenti del genere, a fotografie del genere (come non pensare alla foto del piccolo Aylan?), mi chiedo: è giusto raccontare ai ragazzi di queste vite interrotte, di questi corpi che avevano un nome, una famiglia, un passato, dei sogni, delle paure, dei difetti, degli amori, delle speranze? Come possiamo, nel quotidiano, intrecciare una nuova narrazione che non sia quella dell’odio, ma un’altra, che possa mostrare loro – senza avere la presunzione di capire – ciò che milioni di persone nel mondo stanno vivendo? Con delicatezza, in punta di penna, tenendosi da un lato. Mettendosi al servizio di.

Alla prima domanda rispondo, ovviamente, sì. Sì, ma senza più indorare alcuna pillola, raccontando le cose come stanno. Alla seconda, rilancio proprio parlandovi di questo libro qui, Santa Muerte.

Ci troviamo ad Anapra, uno dei quartieri più poveri della città messicana di Suarez, un “luogo fatto a metà”, un “pensiero abortito”. Poco oltre la città, oltre una recinzione incompleta che affonda nella sabbia e che basterebbe aggirare, c’è l’America. El Norte. La Terra promessa. In questa città dimenticata dagli dèi, Arturo fa quello che può per sopravvivere, tenendo la testa bassa, aggirandosi quasi invisibile tra le baracche in lamiera, evitando le bande di narcos e la violenza. Ha mai pensato di fuggire?

In qualunque notte dell’anno, potrebbe radunare quel nulla che possiede: un coltellino pieghevole a cui tiene molto, con un grazioso teschio Catrina sul manico, un mazzo di carte per giocare a calavera, il cappellino rosso degli Angels tutto sporco. Potrebbe mettersi la giacca, e potrebbe andare e cominciare una nuova vita.

Non lo fa. Non l’ha mai fatto. Qualcuno ci prova, di tanto in tanto, e ci ha pensato anche lui, naturalmente. Ma ha pensato anche alle cose che sente di notte. Le cose che sente dopo che Western Playland è andato a dormire. […] E tutti hanno visto quel che resta di notti come queste, l’indomani. Bambini ritti in mezzo ai corpi, a osservare in un modo che riesce solo ai piccoli.

In mezzo a questa desolazione e miseria umana, Arturo vive a metà, si arrabatta, finché un giorno, dopo una lunga assenza, non bussa alla sua porta Faustino, il mio amico d’infanzia, suo fratello. Ma di fronte, non ritrova più amico di una vita, ma uno sconosciuto con nuovi tatuaggi – nuove condanne – e vede che non è solo: insieme a lui, c’è Eva, la sua ragazza, che tiene tra le braccia un bambino. Sono nei guai, perché Faustino lavora per il cartello della droga e ha ricevuto dei soldi dal capo della banda, El Carnero, per nasconderli. Ma lui ha fatto qualcosa d’impensabile: ne ha presi una parte per pagare un trafficante per portare Eva e il piccolo oltre il confine. Ora ha solo 36 ore per trovare la cifra e fare la sostituzione prima che se ne accorgano e Arturo è l’unico che può aiutarlo: ci sarà una partita di calavera con in ballo un sacco di soldi e lui dovrà vincere non solo per la vita del suo amico, ma per quella della donna e di suo figlio. Per la sua stessa vita.

Arturo si rende conto, all’improvviso, che non sono più bambini. E sa bene che quella partita a carte non sarà solo una partita a carte: la hora de la hora è vicina. Da questo momento, il romanzo precipita, frenetico, allucinato, pagina dopo pagina, in un conto alla rovescia in cui la posta in gioco si alza sempre di più, in cui lo stesso Arturo deve fare una scelta: capire da che parte stare, che uomo vuole essere. E onnipresente in questa folle corsa contro il tempo, c’è sempre lei, puro osso e occhi di carbone, la Signora Scheletro, la Sorella Bianca, la madre dei diseredati, dei miseracci, dei banditi, degli ultimi, regina di un culto religioso non ufficiale diffuso nell’America latina.

La Santísima Muerte, che concede e toglie. Che non perdona mai.

Si scansa con cautela e alza lo sguardo su Santa Muerte in persona, Santa Morte. La Flaquita, la Magra. È stampata su uno striscione di plastica affisso al muro della casa, proprio sopra la soglia. La plastica è stata in pieno sole per anni; i neri sono diventati grigi, il globo verde del mondo è indebolito e sfinito. Sopra di lei, a semicerchio, si riesce ancora a intravedere una scritta: No temas a donde vayas, que haz de morir donde debes.

Non preoccuparti di dove andrai, morirai dove devi morire.

Sono rimasta positivamente scioccata da questo romanzo, dalle sue frasi killer, per la scomodità di certi temi. Mentre lo leggevo, faticavo a rimanere ferma: una parte di me sentiva qualcosa ribellarsi dentro, qualcosa che voleva uscire fuori e spaccare tutto. Costringere le teste ad alzarsi, gli occhi a guardare, le orecchie ad ascoltare. Un’altra parte gridava: finalmente. Finalmente un libro così, che non ha paura di chiamare le cose con il loro nome. È un romanzo consigliato per i ragazzi delle superiori e sì, penso che, in classe, gli insegnanti dovrebbero proporre storie come questa: ci raccontano di realtà che, anche se distanti, ci riguardano da vicino, e lo fa con una lingua impeccabile, mettendoci di fronte a lei, alla Dama Poderosa, la Hermana Blanca: chiede anche a noi da che parte vogliamo stare, perché domani è già qui, ed è ora di prendere una decisione.

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