“Speak”, il graphic novel sul coraggio di trovare la propria voce

Credo che, insieme, parole e immagini riescano ad andare un po’ più in là di quello che farebbero se prese singolarmente. Quindi, cosa succede quando si ha tra le mani una storia  dall’effetto potenzialmente esplosivo, e la si adatta a un nuovo linguaggio, il fumetto? Quando si accompagna un testo lacerante con delle illustrazioni in bianco e nero, realistiche ed evocative al tempo stesso?

Nel caso di Speak. Il graphic novel la risposta è: qualcosa di assolutamente unico. Si tratta dell’adattamento dell’omonimo un romanzo di culto, pubblicato nel ’99 da Laurie Halse Anderson, da parte dell’illustratrice canadese Emily Carroll (Editrice Il Castoro, 2019).
Di solito, quando c’è di mezzo una traduzione o un adattamento, ciò si teme è che si perdano delle sfumature dell’originale: ma qui, per me, questo non accade, anzi. Da questa unione ne esce un graphic novel imponente (ben 193 pagine!) e superbo nella sua freschezza e immediatezza.

Ma veniamo alla storia.

Benvenuti a Merrywheather.

È il primo giorno della prima superiore, e Melinda Sordino, una ragazza di tredici anni, è pronta (o quasi) per cominciare la nuova avventura: ha sette quaderni nuovi, una gonna che odia e mal di stomaco. Fin qui, sembrerebbe tutto normale, giusto? Sbagliato. Perché in quella fatidica estate prima dell’inizio delle superiori, durante una festa, a Melinda accade qualcosa di terribile, tanto da chiamare la polizia: quando arriva però il momento di parlare, di confessare quella cosa, si blocca. Vorrebbe urlare, ma dentro di lei non ci sono parole: solo silenzio e un buco nero, che risucchia energie, sentimenti, tutto.

Tavola di Speak di Emily Carroll

© Emily Carroll

E ormai è troppo tardi, il danno è fatto: per i suoi futuri compagni di scuola, lei è e sarà la ragazza che ha chiamato la polizia alla strepitosa festa di Kyle, rovinando tutto quanto, poco importa ciò che le è accaduto. Da quel momento diventa un’esclusa. Melinda la strana. Melinda la depressa.

I giorni passano, sommandosi l’uno sull’altro, e l’unico obiettivo di Melinda è di arrivare alla fine, invisibile, senza altri danni. Si trascina inerte, nascondendosi in uno sgabuzzino che nessuno usa, mordendosi le labbra fino a farle sanguinare, mentre attorno a lei la vita va avanti, uguale: i genitori litigano, i voti peggiorano, la sua ex-migliore amica, Rachel, fa finta di non conoscerla, i professori fingono, come al solito, di interessarsi al bene degli studenti e poi invece se ne fregano, ci sono quelli “giusti” e gli esclusi, i bulli e le vittime, e tutto ruota attorno alle apparenze. Così, ogni giorno. Casa-scuola-casa. Ci sono giorni sopportabili e giorni invece peggiori, e questi sono quelli in cui Melinda incontra, tra i corridoi della scuola o per strada, lui.  Il mostro di quella notte, alla festa. Allora lei fugge, si nasconde per non vomitare, e cerca forme di dolore più piccole per controllarsi.

Parlare è sempre più difficile.
Ho la gola dolorante e le labbra tagliate, come se avessi una strana laringite spastica.
So di essere un casino.
Voglio confessare ogni cosa.
Cedere la colpa, la rabbia e l’errore a QUALCUN ALTRO.
Dentro di me è rinchiusa una bestia che mi lacera le costole.

L’unica nota positiva è rappresentata dalle lezioni di Arte, in cui sente di poter lasciarsi andare. A inizio anno, però, il professore consegna alla classe uno strano compito: ognuno riceve un foglietto con scritta una parola e lo scopo è di esplorare il suo significato. Sul biglietto di Melinda c’è scritto: albero. Ma come può disegnare un albero, se è proprio sotto un albero che è accaduta quella cosa? Se si sente come in letargo e attorno a lei è tutto freddo e ghiaccio?

© Emily Carroll

«Se il suicidio è un grido d’aiuto… questo cos’è? Un gemito? Un guaito?»: questo si chiede la ragazza. Ecco, come Melinda, spesso gli adolescenti si ritrovano ad affrontare situazioni semplicemente troppo grandi per loro, troppo spaventose o traumatiche, e incapaci di trovare delle risposte, o anche solo qualcuno con cui con-dividere il dolore,  scelgono il silenzio e la solitudine. L’immobilità.

Ma alla lunga ci si logora, e ogni scintilla di vita si spegne.

Speak racconta proprio di questo: la storia di una ragazza come le altre, a cui accade qualcosa che – purtroppo – potrebbe accadere a chiunque, e che viene isolata, bullizzata, tormentata, ignorata, non ascoltata da quelli che le stanno accanto. Ma alla fine, Melinda arriverà a capire che non si può tornare indietro e che certe cose, per quanto terribili, fanno parte di lei. Non si può fuggire, tanto meno dimenticare: l’unica cosa che si può fare è accettare il dolore e, poi, andare avanti. Ricrescere, come fanno le foglie di un albero dopo l’inverno.

Nella letteratura per ragazzi ci sono ancora molti tabù. Se ad esempio la morte, grazie a libri come Bunker Diary di Peter Brooks, è stata ampiamente sdoganata, altri persistono: uno di questi è ciò che riguarda il sesso, in generale, e la violenza sessuale e le conseguenze che causa. Perciò, è ancora più impressionante pensare come le parole di Laurie H. Anderson, pubblicate per la prima volta vent’anni fa, continuino a risuonare ancora così attuali.

Soprattutto in Italia, dove è difficile trovare opere – intese sia come libri sia come prodotti audiovisivi – che trattino di questa tematica, insieme ad altre come la questione del consenso, del senso di colpa e del bullismo in maniera così accurata, senza risultare semplicemente “troppo”. Se il libro e la serie tv Thirteen Reasons Why ha il merito di aver aperto uno spiraglio di luce e un possibile dialogo tra genitori-insegnati-ragazzi riguardo certi argomenti, Speak fa un passettino ancora più grande. Perché, se in Tredici compare un decalogo completo di problematiche – non ne manca una, soprattutto nella seconda stagione, che ci consegna un miscuglio di  cliché e stereotipi buttati un po’ a caso – e Hannah Baker non ci sembra un personaggio in cui possiamo immedesimarci, Melinda è reale.

© Emily Carroll

Noi siamo lei. Siamo il suo dolore, il suo silenzio. Siamo delle sopravvissute. Purtroppo, nel corso della nostra vita, quasi tutte quante noi – bambine, ragazze, donne – abbiamo avuto (e avremo) esperienze di violenza psicologica o fisica, più o meno gravi. Come Melinda, conosciamo la sensazione di “sporco” dovuta a uno sguardo non voluto, a una parola non cercata, a un contatto non richiesto. Sappiamo che, a volte, il “no” non è sempre “no”.

Grazie alle parole affilate di Laurie H. Anderson e alle magnifiche – a volte, orrorifiche – illustrazioni di Emily Carroll, che passa dall’ironia alla tragedia con una facilità disarmante, questo graphic novel dev’essere letto da tutti, ragazze e ragazzi, donne e uomini. Genitori e insegnanti. Perché parole e immagini, unite insieme, ci danno un nuovo strumento – così vero, onesto, capace perfino di strapparci un sorriso – per parlare di quelle verità che vorremmo ignorare, ma che sono lì, evidenti, e che ci riguardano da vicino. Basta accendere qualunque tv o aprire qualunque social network. E ho apprezzato tantissimo che la casa editrice abbia aggiunto, alla fine, una pagina con informazioni utili per chi dovesse trovarsi in situazioni di disagio, come il numero nazionale antiviolenza e  il link al sito del D.i.Re, Donne in Rete contro la violenza.

Come Melinda, possiamo trovare il coraggio di parlare. Ma a differenza sua, non dobbiamo farlo da sole.

 

Per le immagini si ringrazia Editrice Il Castoro.

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