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Virus, Milano, giovinezza: ecco l’Aida

Un virus si aggira per Milano, sconvolgendo le masse e le loro abitudini, colpendo indiscriminatamente giovani e anziani, costringendoli a cambiare il loro comportamento e a farli riflettere su cosa siano la condivisione e la società, su cosa poggino, a che prezzo si debba difenderle.
Non è il coronavirus, anche se ci sembra assurdo che possa non essere così, specialmente in questo 2021 che viene dopo quel 2020: il virus de L’Aida, l’ultima graphic novel di Sergio Gerasi per Bao Publishing, è un atto politico e sociale, che si diffonde a macchia d’olio per opera di un collettivo che si fa chiamare, appunto, The Virus.

Tutto inizia con i tentativi di Aida, la giovane protagonista borghese e riccia, insoddisfatta e confusa, di trovare soggetti per la propria tesi in fotografia («”Il grado zero della disperazione umana nell’era digitale” ovvero il tentativo di fotografare il punto più basso delle nostre vite distorte dalla modernità» ricorda Aida all’amica Ludovica). Aida si muove nel centro di Milano, con il suo profilo inconfondibile, ed è alle regole di questa parte della città che deve sottostare: benpensante, ben vestita, ipocrita e di facciata. Ma Aida fa fatica, si ribella con il silenzio, l’esclusione, facendosi del male e non riconoscendosi più – se mai si è conosciuta.

Ed è invece ai confini di Milano che si trovano i componenti di The Virus, un gruppo di ragazzə emarginatə e in fuga, che si sono appropriatə dello spazio sotto un cavalcavia e qui hanno costruito il loro campo base, dove progettano le prossime mosse della loro rivolta.
Attraverso manifesti e installazioni ibride tra digital e arte, The Virus cercano di scuotere le coscienze addormentate dei milanesi, farli ragionare attraverso lo shock, mostrare loro come siano ormai «anestetizzati, individualisti, ignoranti. E fondamentalmente poveri e soli. Questo è quello che siamo diventati. Tutti, intendo», come spiega Vasco ad Aida.

Da un QR code che promette più tempo e che in realtà manomette gli smartphone rendendoli inutilizzabili a migliaia di cuori galleggianti in Darsena che causano resse e cadute tra il pubblico che cerca lo scatto migliore, dal Duomo coperto da teloni che simulano onde con tanto di Madonnina con salvagente a centinaia di proiettori che mettono a nudo i passanti diffondendo i loro dati, dall’età alle ultime ricerche su Internet, dal conto in banca all’aspettativa di vita: The Virus non si ferma, invade e si propaga per Milano.

A parlare delle imprese di The Virus in televisione è, ci sembra quasi paradossale, proprio la madre di Aida: mezzobusto affascinante che si divide tra lavoro e amiche, con la figlia ha un rapporto più che complicato, quasi ai ferri corti. Mentre Aida si getta di petto nelle imprese del collettivo, infatti, la vita a casa è sempre più dura da affrontare: Aida dimagrisce a vista d’occhio, dorme male, non sta più con quelli che riteneva i suoi amici, cerca di uccidersi facendo overdose, ha visioni sempre più allucinate e confuse. Si sta perdendo e diventando sempre più aliena a se stessa, ed è per questo che si vota alle missioni di The Virus: per trovare, forse per la prima volta, uno scopo comune, un gruppo coeso, un significato.

Il gruppo di The Virus, a contrario della protagonista, vive la propria condizione in una maniera molto attiva e di protesta: la loro principale attività è quella artistica, una via di mezzo tra street art e azioni dimostrative.

Sergio Gerasi a Radio Città Fujiko

Il virus si propaga città dopo città, di Paese in Paese: la chiamata alle armi artistiche, digitali e tecnologiche viene condivisa e rilanciata, amplificata e resa sempre più potente. E non sarà solo Aida a risvegliarsi.

L’Aida di Sergio Gerasi è un fumetto per chi crede che: chi diventi dipende da dove ti cerchi.

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