Tributi alla terra

I bugiardi del clima di Stella Levantesi – caccia al negazionismo climatico

La letteratura ambientale attrae sempre più interesse da parte di giovanə e meno giovanə. Il desiderio di comprendere le contraddizioni del mondo in cui viviamo, infatti, passa anche dal narrarlo. Da qui nasce la rubrica Tributi alla terra, un nuovo spazio dedicato alla recensione di romanzi, saggi, fumetti (e molto altro) dove l’ambiente è protagonista in tutte le sue sfaccettature. Ogni mese, Tributi alla terra – titolo ispirato dall’omonimo graphic novel del fumettista Joe Sacco – vi terrà compagnia con nuove storie da leggere per (ri)conoscere le disfunzionalità del nostro tempo e provare a trasformarle prima di tutto con nuove parole e nuove immagini.

Se anche voi avete i brividi di fronte alla retorica del consumatore verde dello spot di ENI, se anche voi vi ponete qualche domanda quando il politico turno afferma che di fronte alla crisi climatica “siamo tutti sulla stessa barca”, se anche voi nutrite scetticismo di fronte alle dichiarazioni che vedono perfettamente compatibili la decarbonizzazione del sistema economico con il mantenimento dello status quo e il mito della crescita infinita, questo è senza dubbio il libro che fa per voi. Se, in particolare, desiderate fare chiarezza tra il mare di informazioni che ci giungono e che ci vengono nascoste in merito all’emergenza climatica, I bugiardi del clima. Potere, politica, psicologia di chi nega la crisi del secolo di Stella Levantesi (Editori Laterza, 2021) è proprio il saggio che dovreste leggere.

Stella Levantesi, giovane giornalista formatasi alla scuola di giornalismo della New York University e collaboratrice di numerose testate italiane e internazionali, ci regala un quadro ampio, preciso e dettagliato sulle bugie che accompagnano la narrazione della crisi climatica globale, approfondendo il ruolo fosco delle lobby del fossile nella grande macchina del negazionismo climatico. Attraverso un viaggio guidato tra epoche diverse, paesi geograficamente e culturalmente lontani tra loro e numerosissime fonti documentarie di prima e seconda mano, l’autrice si concentra sulla relazione tra potere, politica e psicologia di chi continua a negare una crisi ormai sotto gli occhi di chiunque. Se da un lato la scienza del clima è certa dell’esistenza del cambiamento climatico e della responsabilità umana nell’alterazione del sistema climatico, dall’altro ciò non è sufficiente per affrontare la bolla negazionista che è profondamente connessa a dinamiche di potere politico ed economico. La scienza climatica è essenziale per farci comprendere ciò che sta succedendo dal punto di vista tecnico-fisico ma il punto di partenza del libro è proprio che la scienza non basta: «La scienza è necessaria ma insufficiente per affrontare il negazionismo. Da una prospettiva sociologica, […] è davvero difficile rompere la bolla del negazionismo perché è troppo radicata, quindi ci sono tanti diversi fattori e il solo fatto di spiegare la scienza non risolverà il problema» (Intervista a John Cook, scienziato cognitivo e fondatore del sito web skepticalscience.com). Ma qual è questo problema? E da dove partire per affrontarlo?  

Oltre agli effetti allarmanti dell’estremizzazione climatica non ancora del tutto noti ma sempre più visibili, la criticità principale risiede nel fatto che il cambiamento climatico continui a essere negato, banalizzato, semplificato, mistificato e che tutto ciò venga fatto secondo «una decisione strategica volontaria, fatta di tattiche, manipolazione e politica» al fine di «impedire la formazione di un consenso per l’azione politica sul cambiamento climatico». Le motivazioni sono le più disparate, da quelle economiche dell’industria fossile – un esempio chiarificatore che Levantesi approfondisce nel libro è quello della ExxonMobil che sapeva tutto sul cambiamento climatico già prima della metà degli anni 80 e malgrado ciò ha insabbiato, manipolato e omesso informazioni preziose perché nemiche del profitto e della costruzione di un’identità statunitense basata proprio sul petrolio come valore fondativo – a quelle di personalità politiche e del business che non vogliono rinunciare al loro status – l’identikit del negazionista medio è quello incarnato dal maschio bianco e conservatore, un dato che i sociologi Riley Dunlap e Peter Jacques descrivono sotto l’espressione di white male effect, dinamica che spiega come l’uomo bianco, conservatore e non più tanto giovane (il sostenitore medio di Donald Trump, per intenderci) sia effettivamente il più preoccupato a perdere il proprio status quo privilegiato nella società (tendenzialmente derivante proprio dall’economia dei combustibili fossili). L’analisi di Levantesi fa luce su tre altri aspetti prevalenti del negazionista medio: l’allineamento tra tendenze misogine, posizioni xenoscettiche e xenofobiche e l’appartenenza a gruppi di estrema destra. Traete pure le vostre conclusioni.

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Quante volte abbiamo sentito politici sostenere che il riscaldamento globale non esiste perché in estate fa freddo o in inverno capita che vi siano nevicate eccezionali e ondate di freddo da record? Gli esempi non mancano neanche da noi come ci ricorda l’autrice riportando il titolo di Libero del maggio 2019: «Riscaldamento del pianeta? Ma se fa freddo». Al di là dell’evidente confusione sulla differenza tra clima e meteo, spesso sfruttata a beneficio dei negazionisti, questi slogan populisti non fanno altro che generare caos e dubbi in chi legge, contribuendo anche a ritardare l’azione politica necessaria a contenere i danni inevitabili, come sottolineato dall’ultimo report dell’IPCC[1]. Dietro il negazionismo c’è, infatti, la paura di lobbisti e partiti politici conservatori di perdere i loro privilegi e i loro benefici in favore di quella condivisione di risorse e redistribuzione della ricchezza che, invece, sarebbero centrali nella riorganizzazione della società da cima a fondo, nella costruzione di una reale giustizia sociale globale. Il clima, si legge chiaramente tra le pagine del saggio, è una questione profondamente politica, proprio come il negazionismo, finanziato dalle compagnie petrolifere e da fondazioni private, unicamente attento alla salvaguardia delle strutture globali del potere basate sui combustibili fossili che beneficiano alcuni gruppi a spese di altri (ENI ne è un esempio lampante). E anche se i giochi politici che sfruttano le parole a proprio favore distorcendo i messaggi e inibendo il cambiamento sono resi sempre più difficili di fronte a eventi climatici estremi sempre più intensi e frequenti, la diffusione di notizie false, fuorvianti, manipolate non è mai stata così semplice anche grazie ai numeri canali social e mediatici presenti oggi, twitter, youtube e facebook in primis.

Procedendo nella lettura de I bugiardi del clima veniamo a conoscenza di ciò che in parte sospettavamo già: la macchina negazionista è tentacolare, si nasconde ovunque, agisce costantemente con operazioni di greenwashing neanche troppo velate e va dove vanno i soldi. La strategia comunicativa che spesso impiega, inoltre, predilige l’esaltazione della responsabilità individuale (e del conseguente senso di colpa del singolo) – «Per cambiare le cose abbiamo bisogno di Silvia che a casa è sempre attenta a non sprecare acqua. Perché ENI + Silvia, è meglio di ENI», recita lo spot pubblicitario della multinazionale – e delle soluzioni tecnologiche come quelle di cattura e stoccaggio della CO2 come panacea, altra narrazione privilegiata da ENI e affini per continuare col business as usual[2].

«L’era della supremazia fossile finirà. Nel bene, perché cambieremo il sistema. Nel male, perché ci soffocherà tutti, fino alla fine»

La verità è che, per ragioni molto diverse a seconda del gruppo sociale considerato, il cambiamento climatico fa paura. C’è chi continua a sostenere che il mondo sia pieno di allarmisti e di catastrofisti proprio perché ha paura di dover rinunciare alla propria posizione privilegiata. E c’è chi, come il climatologo Jerry Mahlman, sostiene senza filtri che «non è necessario esagerare il problema del cambiamento climatico, [poiché] è già abbastanza grave di per sé».

La grande bugia, invece, è quella secondo cui non vi sarebbe più nulla da fare. Come emerge nella seconda parte del saggio, una delle strategie del negazionismo non è tanto quella di negare qualcosa di certo, quanto piuttosto quella di banalizzarlo o di ridurlo a qualcosa che non concede più margine risolutivo, qualcosa per cui saremmo già spacciati e che renderebbe vano qualsiasi tentativo di cambiamento strutturale nell’«era della supremazia fossile». Tutto ciò è falso e l’autrice lo enfatizza più e più volte tra le pagine del libro.

«Studiare la genealogia del negazionismo climatico ci permette di comprendere la matrice fondamentale della crisi climatica attuale. Non basta riconoscere le narrazioni false create dalle reti negazioniste, è necessario comprendere le motivazioni dietro le scelte dei negazionisti. Ma può essere pericoloso ragionare a senso unico. Alla base della crisi ci sono due aspetti: i problemi e le soluzioni. Spesso di fa l’errore di individuare solo gli aspetti negativi, con il rischio di portare le persone a sganciarsi dal problema e a disimpegnarsi. L’altro sbaglio è parlare solo delle soluzioni, senza affrontare le dinamiche della questione, facendo quindi venir meno l’urgenza immediata di cui il problema necessita»

Un primo passo sarebbe quello di rendere chiaro ed esplicito che «l’interferenza degli esseri umani negli ecosistemi alterano gli equilibri con conseguenze devastanti per l’ecosistema stesso e tutte le forme di vita sulla Terra, sapiens inclusi» e che c’è una componente ambientale nella soluzione a tutti i nostri problemi. Ad esempio, basterebbe iniziare a pensare che «la biosfera, come sistema totale di interazioni tra le forme di vita e i loro habitat (che per lo più non sono che altre forme di vita), è anche simile all’interno di una testa che sogna. Tutto in quella biosfera è un sintomo della biosfera. Non c’è un “fuori” che non sia relativo a una certa posizione all’interno di essa» per utilizzare le parole del filoso Timothy Morton. Basterebbe diventare ecologicamente consapevoli, ossia «comprendere un mondo in cui tutto quanto è pertinente con tutto il resto». La pandemia ha mostrato come poco altro finora che nulla è slegato, che affrontare la questione ambientale è anche affrontare e prevenire l’emergere di situazioni simili in un futuro non più così lontano. Malgrado la presenza cospicua del negazionismo climatico, nulla come la crisi ambientale dimostra più chiaramente il fallimento sistemico della società fossile e al tempo stesso la necessità di affrontare organicamente il cambiamento climatico come iperoggetto (Timothy Morton), come questione scientifica, politica, economica, sociale, cognitiva e comunicativa[3]. Solo in questo modo, mettendo insieme più che compartimentalizzando[4], sarà possibile «saldare i cortocircuiti delle dinamiche socioeconomiche alla base della nostra società, di cui la crisi ambientale è la prova incontrovertibile» secondo Naomi Klein.

Al settore dell’informazione è demandata una tra le sfide più impellenti. La comprensione di un fenomeno, infatti, passa soprattutto dal modo in cui lo si racconta. Il saggio d’inchiesta di Stella Levantesi, denso di informazioni, di riferimenti bibliografici di interviste a personalità più che autorevoli è un raro esempio di comunicazione a livello nazionale che tenta di ampliare il quadro e mettere insieme fatti apparentemente scollegati, rifiutando categoricamente proprio quella compartimentalizzazione propria delle strategie negazioniste. In poco più di duecento pagine, I bugiardi del clima riesce nel proprio intento: smascherare l’inganno di un negazionismo subdolo e multiforme, «ricominciare a dare valore ai fatti e alla scienza» e proporre nuove modalità di narrarli. I bugiardi del clima. Potere, politica, psicologia di chi nega la crisi del secolo è un libro da leggere lentamente e con molta attenzione, consigliato a chi già si interessa di clima ma soprattutto a chi di quanto appena raccontato ha raramente sentito parlare. Proprio perché c’è bisogno dell’impegno di tuttə.      


[1] Una conseguenza degli attacchi alla scienza del clima è la diretta tendenza di alcuni scienziati e scienziate ad arrotondare per difetto i risultati nei rapporti ufficiali. La tendenza, dunque, è a essere eccessivamente cauti e a sottovalutare i potenziali pericoli climatici.  

[2] A maggio 2020 ENI è anche stata coinvolta nell’avvio di un programma di formazione dei docenti delle scuole italiane sui temi della sostenibilità ambientale. La ragione secondo il Presidente dell’Associazione Nazionale Presidi? ENI è maestra perché ha probabilmente inquinato molto e quindi ha sviluppato delle competenze per contrastare l’inquinamento. Un paradosso che farebbe quasi ridere se non fosse per il fatto che è su questi paradossi che si basa il negazionismo climatico, osserva l’autrice.

[3] Dal punto di vista della comunicazione, ad esempio, smettendola di utilizzare il termine maltempo per indicare eventi di portata catastrofica sempre più frequenti e sempre meno eccezionali, meno locali, meno temporanei. In un’espressione, meno emergenziali. Consiglio la lettura di questo articolo: https://www.iltascabile.com/scienze/linguaggio-catastrofi-climatiche/.

[4] Collegando, ad esempio, la questione ambientale a quelle di giustizia – distributiva, delle mobilità, di genere, sociale, energetica, economica, sanitaria -, di autodeterminazione dei popoli, di antirazzismo, di decolonizzazione del sapere.

PhCredit: TheGuardian.com

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