Titanio di Stefano Bonazzi

La semplicità del male – Titanio di Stefano Bonazzi

È da poco passato Halloween, la notte dei fantasmi che ritornano sulla terra, la notte dei mostri, del terrore. La notte dove il sentimento della paura è concesso, lo spavento è giustificato e divertente.

I mostri e i fantasmi però abitano i tremori di tutti, possono accompagnarti per una vita intera. A volte sono di dimensioni accettabili, li riusciamo a tenere a bada. Altre volte no. Il male che si portano dietro è così grande che la resistenza alla fine risulta inutile. Per rimanere interi bisogna farsi divorare, lasciare che si impossessino di ogni centimetro del tuo corpo, che si nutrano di ogni tua cellula. Quando questo accade il risultato è che diventi mostro anche tu.

Si chiama sopravvivenza.

Stefano Bonazzi con grande autenticità ne parla nel suo incredibile romanzo Titanio, per Alessandro Polidoro Editore.

Il male è semplice. La cosa più semplice del mondo.

Così dice e ripete a sé stesso per tutta la narrazione il tredicenne Fran – diminutivo di Francesco ma anche di Francesca -, durante gli incontri con l’educatore Alan presso la comunità dove attualmente si trova. Fran ha commesso un crimine, si è macchiato di una colpa più grande del suo corpo d’adolescente. Questa colpa però è una conseguenza del male subito, dell’ambiente e dei mostri che lo circondano.

Prima di entrare in comunità Fran viveva con i suoi genitori nel quartiere Ciambella, pensato come residenziale poi abbandonato a sé stesso. Occupato abusivamente da tossici, da persone ridotte in miseria, da clandestini, nella Ciambella vige un sistema di leggi valide solo lì dentro. Regole atte a difendere il potere di pochi e ad alimentare la miseria dei più. Qui il ragazzo è costretto a spacciare, subisce violenze, attorno ha solo mostri colpevoli di mali orribili. Il vento, il palazzo, i libri e Stella sono le uniche anime amiche.

Un ambiente, quello della Ciambella, che non concede una via di scampo.

Stefano Bonazzi

Nella storia Fran non è l’unico personaggio principale. Ci sono Alan, l’educatore che lo interroga, e un uomo paralizzato in un letto all’interno di un luogo non identificato ma di certo non un ospedale, accudito quotidianamente da un’infermiera.

Vari fili collegano e annodano i personaggi: il non riconoscersi, la diversità contrapposta alla normalità, il sentirsi all’interno di una gabbia e il conseguente desiderio di fuga.

Questi personaggi l’autore li restituisce al lettore in modo naturale e complesso attraverso la consapevolezza del ritmo, immagini chiare, un linguaggio pulito e preciso e saltando da un punto di vista all’altro. Quest’ultimo elemento è sfruttato con abilità: in prima persona Fran parla con l’educatore ma al tempo stesso si racconta a noi (ciò è segnalato dall’assenza di virgolette); nel medesimo modo Alan ci confida i suoi pensieri; infine le pagine dedicate all’uomo senza nome sono in terza persona appoggiata: siamo nella sua testa, sulle sue spalle, siamo i suoi occhi.

I tre punti di vista s’intersecano per formare un’unica tragica, forte narrazione.

La storia è una lama che entra nel petto, affonda lentamente fino al colpo finale e dilania il cuore.

Bonazzi riesce a regalarci un pezzo di realtà che spesso non vogliamo vedere ma c’è, esiste e ha un respiro proprio.

Marina Longo

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