Uvaspina

Di violenza e voluttà. Uvaspina di Monica Acito

C’è l’Italia e c’è Napoli. Non è un discorso da neoborbonici, sia chiaro. Ma Napoli più di ogni altra cosa è riuscita a creare una mitologia di sé, superiore a quella nazionale. La musica e la poesia modellano una lingua ricca, colta, deliziosamente armonica. Gran parte dell’immagine che diamo all’estero viene da là, benedetta da Partenope.

Ma lungi dall’essere un’opportunità, scrivere da Napoli, di Napoli può essere un grande rischio, un gioco a perdere. Troppo sconfinato il numero di cartoline, l’immaginario che sconfina nello stereotipo, il rischio di autoassoluzione, l’auto-incantamento. E i precedenti illustri, non ultimo l’ingombrante saga dell’Amica geniale.

Ecco, questo è il panorama dove si muove Monica Acito. Ho avuto la fortuna di assistere ai primi vagiti di Uvaspina, ora romanzo e caso editoriale in Bompiani, quando ancora era un progetto di fine anno alla Scuola Holden. Mi ricordo qualcosa che agiva nelle viscere, ruvido e secco in quel breve estratto in una mattinata di giugno.

Monica Acito
Monica Acito

Minuccia prese il fratello di forza: afferrò le mani di Uvaspina e se le portò sulla pancia, sul basso ventre, sulle tettine, sul culo, “tanto tu sei femminiello e ti piace Peppe Spalice di quinta, mi devi solo dire se sono chiatta!”

Minuccia gli prendeva la mano e se la infilava nell’ombelico, se la passava sui fianchi che sembravano già quelli della Spaiata, e poi sulle ferite dello strummolo.

La lingua di Acito ha qualcosa di estremamente fisico, insieme voluttuoso e violento. Sembra accogliere e sputare insieme, unisce desiderio e violenza che sono da sempre fratelli di sangue, e non possono che esserlo qua, nella città degli eccessi. Come sono eccessivi i protagonisti di questa storia: PasqualeRiccio, che rimane tutto attaccato e appiccicoso come il personaggio, e La Spaiata, icona che apre il romanzo con una teatralità ricercata. Un vuoto figlio di notai il primo e meravigliosa forcellara in decadenza la seconda, una coppia che ha perso i suoi punti d’orientamento e si attacca a dei figli che non capiscono. Sono Uvaspina, che si fa spremere come il frutto da cui prende il nome, che scopre la sua omosessualità con pena e cocciutaggine, che vive per essere l’agnello sacrificale di Minuccia, lo strummolo, che lo ama e sogna di annientarlo, che è demoniaca e fragile, che vuole farsi donna e rimarrà sempre bambina.

E lo stile, i luoghi, le figure di questo romanzo si fanno mitografia, i personaggi diventano maschere e allo stesso tempo archetipi di un pantheon nuovo e personalissimo. Acito ha imparato la lezione dei grandi del passato più o meno prossimo e se ne è affrancata, creando un nuovo panorama di lingue, accenti, sapori.


Uvaspina è un romanzo di emozioni forti, lancinanti, che ti portano ad amare e odiare ad ogni pagina i personaggi coinvolti, è un viaggio nel golfo da fare rigorosamente in apnea, è una storia che ti spreme come l’uvaspina, e quando te ne accorgi, beh, sei già fregato.

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