A colpi di tweet: l’intervento del web nella logica del conflitto (I)

20 febbraio, Piazza Maidan, Kiev. «Sto morendo» . Il messaggio dalla piazza è questo e niente altro.
A scriverlo è un’infermiera, Olesya Zhukovskaya, sul suo profilo Twitter. Non si sa nulla della giovane ma il tweet, in brevissimo tempo, fa il giro del mondo. La gente commenta – o retwitta, divulga, i media si interessano, compaiono foto, si cerca chi è. Spunta così l’immagine di lei mentre viene soccorsa, sanguinante ma col telefono in mano per scrivere il messaggio. Era appena stata colpita al collo da un proiettile mentre prestava aiuto come infermiera volontaria.
Gli scontri in Ucraina sono iniziati da due mesi, tra il governo Yanukovich e i filoeuropeisti che ne chiedono la destituzione: Kiev è un campo di battaglia, dove nessuna delle parti risparmia l’uso di armi da fuoco. Ci si uccide a vicenda e i media documentano attentamente con foto e video, ma nulla è così folgorante come quel messaggio di morte in diretta. Infatti, assieme alla foto di Piazza Maidan prima e dopo le rivolte, questo tweet è il vero simbolo della rivoluzione civile ucraina, il riassunto di ciò che stava accadendo: ci sparano addosso.

Impatto mediatico del messaggio. Sin dall’inizio era stata una guerra combattuta anche tramite Internet, ma nulla come le sue parole hanno reso quel caos reale. Inutile parlare di migliaia di feriti e decine di morti quando la coscienza umana funziona ancora a kilometri: più si è lontani meno si sente l’orrore. Infondo, oltre a Shevchenko, a noi poco tocca l’Ucraina. Olesya diventa la voce della piazza, non di quella di Kiev però, bensì della piazza del web.
Peccato che non sia molto fotogenica e il suo volto non rimanga impresso nella memoria, ma per il resto è perfetta per i media: donna, appassionata, aiuta i feriti tra i manifestanti come volontaria e soprattutto è giovane e usa il web per farsi sentire. La notizia viene ripresa da tutti i siti d’informazione e quotidiani online che ne parlano, mostrano le foto. Il Messaggero la chiama Olesya, come se la conoscessimo da sempre, per Il Corriere è invece l’Infermiera, mentre Ansa rimarca il fatto che sia giovanissima. In poche ore circolano conferme e smentite sulla sua morte. Il giorno dopo, però, la stessa giovane, ancora su Twitter, rassicura tutti e fa sapere d’esser viva e tutto quindi è finito al meglio.

Ma la potenza di quello che aveva scritto è devastante: sin dall’inizio c’erano state accuse di violenze della polizia sui manifestanti, ma questo messaggio enfatizza il tutto. L’intero mondo si indigna e sodalizza con la giovane vittima. Molto più dei video degli scontri o l’enumerazione precisa delle vittime, il tweet di Olesya ha spinto il mondo a vedere Yanukovich come un mostro e a chiederne la caduta. Il «giovane angelo bianco» – come è stata definita su LINKIESTA – è diventato il simbolo di una libertà repressa, di lotta alla tirannia.
Nei giorni successivi però si scopre di più sulla giovane: l’angelo bianco non è poi così bianco. La ragazza infatti è affiliata a Pravil Sektor, partito paramilitare di estrema destra dai risvolti neonazisti, molto attivo in quei giorni. Il peso che una scoperta del genere potrebbe avere non coincide con la realtà dei fatti: la notizia passa quasi inosservata. È vero che nessuno si sia impegnato a specificare chi fosse esattamente Olesya dati i suoi schieramenti politici, ma è anche vero che la ragazza sia stata colpita alla gola mentre prestava soccorso ai feriti – impossibile non notare la croce rossa sulla casacca – e che quindi rimane comunque una testimone reale di una violenza avvenuta. Il Manifesto lo scrive a grandi lettere e il giornalista che firma l’articolo lascia inteso un interrogativo su questo simbolo della rivolta e su una fonte che lascia sospese numerose domande. Chi sono i filoeuropeisti che protestano contro un governo antidemocratico? Si sa davvero tutto su di loro? Cosa sta accadendo a Piazza Maidan?
Resta il fatto che il web ha già assimilato quel tweet ed Olesya è diventata una quasi martire per tutti: la potenza che solo la rete è in grado di dare a due semplici parole è difficile da limitare.

Sviluppo e utilizzo del web nel giornalismo. Il web per la sua immediatezza ha reso, fin dai suoi primordi, l’informazione repentina e accessibile come nemmeno la televisione era riuscita a fare: ciò che compare in un sito ha come fruitori potenziali tutti i prodotti elettronici con connessione Internet e tutti i cervelli che li adoperano. Molto prima di un giornalista di professione, il singolo può informarci e renderci partecipi di eventi che lui vive in presa diretta. Olesya ne è l’esempio lampante. In un’era in cui si vuole il tutto subito, basta una parola o un immagine a veicolare una notizia, anche più efficacemente di lunghi articoli.
È la struttura stessa del web che lo necessita: il modo con cui si naviga e si ricerca informazioni è veloce, dinamico e basato sull’immediatezza. Diventa così importante per i navigatori la notizia esposta, non i suoi approfondimenti. Si vuole avere conoscenza di ciò che accade nel mondo subito, si vuole la diretta dal globo.
Questa necessità di immediatezza la si ha sempre avuta, sin dalle origini del giornalismo: basti pensare a La Stampa che a fine Ottocento usciva in tre edizioni giornaliere per permettere ai propri lettori di avere notizie quanto più aggiornate possibile. Con la televisione, il processo di immediatezza è aumentato ancor più grazie al telegiornale sino ad arrivare alla creazione – la BBC fu la prima – di canali dedicati alle news ventiquattro ore no-stop frammentando così la notizia in tanti piccola aggiornamenti.
Questo ha permesso di poter informare chiunque nel giro di pochissimo tempo, ma ha causato uno scioglimento dei ghiacciai giornalistici rendendo la notizia un puro scambio di informazione: non si ricerca più la notizia documentata e accertata, completa. Basta sapere, non conoscere.

Qual è allora il futuro del giornalismo?

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