Dalla critica al capitalismo sfrenato, alla sfida di Occupy Wall Street, fino alle nuove politiche eco-rivoluzionarie, le parole d’ordine dell’opera di Naomi Klein sono la giustizia sociale e il rispetto delle risorse naturali, da quindici anni è, infatti, una delle colonne ideologiche della sinistra internazionale e dei movimenti anti-globalizzazione.
Canadese, di Montreal, Naomi Klein nasce l’8 maggio 1970 da una famiglia da sempre politicamente impegnata e pacifista, la madre è una regista di documentari e il padre un medico. I suoi genitori si trasferiscono dagli Stati Uniti in Canada durante le proteste contro la guerra del Vietnam, come rifiuto alla politica estera degli Usa. L’esperienza giornalistica della Klein nasce negli anni dell’università, durante i quali diventa direttore del magazine Varsity e successivamente viene apprezzata per numerosi articoli scritti per varie testate giornalistiche.
Il successo dell’intraprendente giornalista arriva però con il suo monumentale saggio, No Logo pubblicato a soli 29 anni, con il quale vende in brevissimo tempo più di un milione di copie, diventando uno dei testi fondamentali per capire il nuovo movimento No Global.
Pubblicato in Italia dalla Rizzoli, No Logo non è soltanto un’inchiesta giornalistica, ma una documentata denuncia lunga più di 500 pagine, nella quale la critica alle operazioni di marketing dei brand internazionali più influenti sul mercato globale si trasforma nella rivelazione dei meccanismi che soggiacciono allo sfruttamento e all’organizzazione del lavoro nei paesi del Terzo Mondo. Il fenomeno del branding e la tendenza all’omologazione culturale sono letti dalla Klein come il più radicale cambiamento del capitalismo negli ultimi trent’anni: l’interesse delle multinazionali non è più la produzione delle merci, ma la proposta di una serie di valori ideali e immateriali da collegare al marchio. L’investimento sul marketing è direttamente proporzionale al risparmio sulla produzione, che viene spostata in paesi con manodopera a basso costo e pochissimi controlli sulla qualità del lavoro e dei prodotti. La seconda parte del suo più famoso saggio ci mostra invece la storia degli “attacchi” a queste politiche e gli esempi di come si possono contrastare tali poteri.
La continua partecipazione della Klein ad eventi, manifestazioni e meeting contro il capitalismo e la globalizzazione la portano ad essere una delle più influenti figure dei movimenti di contestazione contemporanei. Dal “Reclaim the streets” alla Jamming culture, fino ai più recenti movimenti Green, Naomi Klein ha mostrato sempre più la stretta connessione tra la sua attività di giornalista e scrittrice e il suo appoggio ai movimenti no-global.
Oggi sono passati più di quindici anni dalla pubblicazione del suo primo lavoro, ma sulla scia di No Logo Naomi Klein ha indagato nelle sue opere successive molti dei fenomeni che influenzano la politica contemporanea e le dinamiche del mercato.
Per alcuni le sue tesi sono anarchiche, per altri troppo radicali, come quelle presentate nel suo secondo libro, Shock Economy, che nel 2007 la consacra come portavoce della protesta contro le speculazioni del capitalismo e le politiche economiche incentrate su un liberismo sfrenato. In Shock Economy, Naomi Klein amplia le prospettive aperte con le sue opere precedenti: secondo Naomi solo in situazioni di shock come le guerre, la caduta di un precedente sistema sociale e istituzionale e i contesti generati da effetti climatici disastrosi causati ad arte o avvenuti spontaneamente, sono la scintilla che innesca programmi economici che prevedono una crescita veloce di libero mercato senza controllo e senza diritti, con un cambiamento strutturale della società.
Sulla scorta dell’economista della Scuola di Chicago, Milton Friedman, è quello che è accaduto al Cile di Pinochet dopo il colpo di stato militare e la caduta di Salvador Allende; è la svendita dei servizi pubblici a New Orleans dopo l’uragano Katrina; è anche il crollo del Muro di Berlino, la “privatizzazione” dell’Ex-Jugoslavia e la guerra in Iraq. Klein mostra come l’economia dello shock sia una prassi consolidata, e come gli avvoltoi del liberismo e della privatizzazione dei servizi pubblici non perdano occasione per mettere le mani sui modelli economici di un paese non appena si presenta il pretesto, lo shock causato da una catastrofe è l’occasione che fa abbassare la guardia alla popolazione e consente l’instaurarsi di regimi sociali nuovi.
«E quando la crisi colpisce […] è fondamentale agire in fretta, imporre un mutamento rapido e irreversibile prima che la società tormentata dalla crisi torni a rifugiarsi nella tirannia dello status quo»
Anche in Italia di “dottrine dello shock” ne sappiamo qualcosa, basta volgere uno sguardo indietro ai nostri anni ’70, alle nostre stragi di stato, per renderci conto di come questi traumi siano serviti, non per imporre nuovi regimi economici, ma per sedare movimenti sociali che mettevano in pericolo lo status quo di un potere tradizionalista. Il potere dello shock, della tortura e della guerra è travolgente e disorientante per le vittime, impedendo loro di vedere gli interessi e i programmi che ci sono sotto. L’opera della Klein è importante proprio per questo: ci mostra il funzionamento di questi meccanismi del potere che, al di la dei singoli casi, si mostrano come modelli adeguati a spiegare una grossa fetta di eventi della storia contemporanea.
Una rivoluzione ci salverà è il terzo saggio della scrittrice canadese e corre sugli stessi binari sui quali è cominciato il suo lungo viaggio intellettuale e politico sul tema capitalismo-diseguaglianze-ambiente.Il nuovo saggio è la continuazione del lavoro iniziato con No Logo e continuato con Shock Economy e intende mettere in comunicazione l’aspetto economico con quello ambientale e sottolineare come «la preoccupazione per il cambiamento climatico non riguarda solo la temperatura che sale e le sue conseguenze, noi viviamo in un sistema che rende ancora più brutale un ambiente squilibrato1».
Il suo nuovo saggio va ad alimentare un dibattito politico già fervente e, non a caso, il suo arrivo in libreria coincide con l’inizio del meeting sul clima dei 197 paesi aderenti all’Onu, e proprio quel giorno New York ha visto per le strade quasi mezzo milione di persone che manifestavano.
Questo ultimo libro della scrittrice e attivista canadese, è un’attenta e documentata riflessione sulla crisi ambientale che l’umanità sta vivendo. Secondo l’autrice siamo prossimi al superamento di un limite che potrebbe gettarci in una situazione ecologica dalla quale non sarà più possibile uscire. Ovviamente lei non è la prima a lanciare questo allarme, ma le si deve certo il merito di aver intrecciato tra loro temi che vengono tenuti distanti dagli attivisti per l’ambiente: la crisi ecologica è inevitabilmente connessa allo sfrenato sfruttamento delle risorse operato senza scrupoli da una grande fetta del mercato globale.
Anche se molti temi trattati possono apparire pleonastici, il testo risulta interessante anche per una certa autocritica alle scelte operate negli ultimi anni dal mondo degli attivisti ambientalisti, i cui principi ideologici sono stati spesso manipolati per i interessi di quegli stessi poteri che causano disastri ambientali. A questo si deve anche aggiungere una troppo scarsa partecipazione popolare ai movimenti ambientalisti, anche a causa dell’isolamento ideologico in cui si confinano i movimenti.
«…le forze di polizia possono dichiarare guerra a una protesta, possono imparare a contenerla, possono costruire recinzioni sempre più alte. Ma non c’è nessun recinto, alto quanto si voglia, capace di contenere un vero movimento sociale, perché è dappertutto»
Come giustamente sostiene l’autrice «la nostra terra non è fatta per il capitalismo» e la nostra società vive con l’ossessione della crescita economica continua (soprattutto in occidente dove ormai è sotto gli occhi di tutti che la crescita economica non è sinonimo di occupazione e benessere), il che è insostenibile a lungo termine e non esistono le risorse per permetterlo.
Il disinteresse delle istituzioni e della finanza globale può essere controbilanciato, secondo la Klein, solo da una rivoluzione che parte dai singoli, dai movimenti e dalle scelte etiche, aperta a tutti e che ha come primo obiettivo la consapevolezza.
1A. Carlucci, Cambierò il mondo, intervista a Naomi Klein, in D-Repubblica del 09/01/2015.