Mondi di poesia: la poetica dell’esistenza di Wislawa Szymborska

Ho iniziato a leggere Wislawa Szymborska per caso. Mi imbattei in Nulla due volte accade di passaggio, leggendo la poesia distrattamente, con qualche curiosità. Dopo quella prima lettura, mi sono ritrovato a pensare continuamente a quei versi che ripetevo sottovoce, sulla punta della lingua, come un mantra. E più ci ripensavo, più avevo la netta sensazione di essere in debito con Wislawa, come se avessi interrotto un suo discorso a metà, e mi sentivo terribilmente in colpa; e potevo soddisfare questo mio malessere solo in un modo: avere tra le mani Vista con granello di sabbia, e cominciare a leggere.

Ed ecco che più leggevo, più avevo l’impressione di non poter smettere. Il dialogo intimo che si crea tra poeta e lettore, in questo caso era più forte, più personale, svincolato dalla differenza di lingua tra i nostri mondi (e in questo mi sento di ringraziare le splendide traduzioni di Marchesani). Wislawa Szymborska è poetessa indefinita, di difficile collocazione, che fa della semplicità e del verso libero i capi saldi della sua poetica.

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In occasione del discorso per l’assegnazione del premio Nobel, il 7 dicembre 1996, Wislawa sente di dover parlare di Poesia, e lo fa nella maniera più umile possibile:

In un discorso, pare, la prima frase è sempre la più difficile. E dunque l’ho già alle mie spalle… Ma sento che anche le frasi successive saranno difficili, la terza, la sesta, la decima, fino all’ultima, perché devo parlare della poesia. Su questo argomento mi sono pronunciata di rado, quasi mai. E sempre accompagnata dalla convinzione di non farlo nel migliore dei modi. Per questo il mio discorso non sarà troppo lungo. Ogni imperfezione è più facile da sopportare se la si serve a piccole dosi.

Oggi, l’umanità sembra vergognarsi dei propri poeti; i quali preferiscono definirsi semplicemente “letterati”, in una tendenza opposta agli eccessi mostrati dai poeti di inizio secoli, che facevano della propria condizione un vanto.

Ma fino a non molto tempo fa, nei primi decenni del nostro secolo, ai poeti piaceva stupire con un abbigliamento bizzarro e un comportamento eccentrico. Si trattava però sempre d’uno spettacolo destinato al pubblico. Arrivava il momento in cui il poeta si chiudeva la porta alle spalle, si liberava di tutti quei mantelli, orpelli e altri accessori poetici, e rimaneva in silenzio, in attesa di se stesso, davanti a un foglio di carta ancora non scritto. Perché, a dire il vero, solo questo conta.

Spiegare cosa sia l’ispirazione è argomento scivoloso per i poeti, chiamati a spiegare qualcosa che loro stessi non riescono a capire. In ciò sta la risposta elusiva di Wislawa Szymborska: l’ispirazione non è privilegio esclusivo dei poeti o degli artisti in genere, essa è qualcosa di indefinito, che nasce da un incessante “non so”.

Per questo apprezzo tanto due piccole paroline: «non so». Piccole, ma alate. Parole che estendono la nostra vita in territori che si trovano in noi stessi e in territori in cui è sospesa la nostra minuta Terra. […] Anche il poeta, se è un vero poeta, deve ripetere di continuo a se stesso «non so». Con ogni sua opera cerca di dare una risposta, ma non appena ha finito di scrivere già lo invade il dubbio e comincia a rendersi conto che si tratta d’una risposta provvisoria e del tutto insufficiente. Perciò prova ancora una volta e un’altra ancora, finché gli storici della letteratura non legheranno insieme con un grande fermaglio queste successive prove della sua insoddisfazione di sé, chiamandole «patrimonio artistico».

Quindi, iniziamo questo nostro viaggio nella Szymborska, cercando di abbracciare, usando come filo conduttore le sue poesie, il suo pensiero poetico; se ci riusciremo in minima parte, sarà comunque un successo.

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Grande Numero (Wielka liczba) è poesia che colpisce subito per la franchezza e la semplicità delle parole, perlomeno ad una lettura disattenta. In realtà, come spesso accade soprattutto con i testi della Wislawa, è possibile notare già ad una seconda lettura un substrato emotivo tessuto tra le parole del discorso, che riesce a spaziare su un mondo profondissimo di cui ci è mostrata soltanto la superficie. Krystyna Dąbrowska, ha definito questa caratteristica di Wislawa come «puzzling phenomenon» ed ha osservato come il linguaggio apparentemente semplice della poetessa sia raffinatissimo e idiosincratico, controllato da un freddo e fresco intelletto. Lo stile è dunque introverso, discreto e delicato allo stesso tempo, quasi come se Wislawa non volesse disturbare, nella sua infinita modestia. Umiltà, dunque, che è carattere fondamentale e fondante della sua poetica, assieme all’attenzione verso gli stessi umili, che hanno un ruolo da protagonista.

In questo modo prendono forma poesie come Monologo per Cassandra (Monolog dla Kasandry) e Pietà, pur trattando argomenti molto differenti tra loro (la prima ha come protagonista Cassandra trionfante per aver avuto ragione, la seconda la madre di Nikola Vapcarov, poeta bulgaro ucciso dai nazisti a Sofia), sono comunque due esempi utili alla nostra trattazione:

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Gli umili dunque, sono protagonisti: da una parte Cassandra, trionfante per aver avuto ragione, eppure sconfitta, perché tutto ciò a cui teneva sta bruciando; dall’altra una madre devastata che alimenta, nonostante il dolore di una ferita sempre aperta, il ricordo del figlio.

Eppure, il parallelo tematico tra queste due donne, è molto forte: entrambe sono state rivalutate dalla storia, eppure non possono dirsi soddisfatte. E poco importa che uno sia personaggio di fantasia e l’altro reale, in Wislawa questi due mondi collimano, al punto che può capitare che delle ragazzine vengano rapite e portate a Troia e fatte divenire nuove Elena (Un attimo a Troia), o che ci si ritrovi a parlare di una giornata specifica (16 maggio 1973) pur non ricordandola affatto. Potremo dire, allargando il discorso sulla Szymborska, che mondo reale e mondo ideale finiscono per coincidere ed ogni legge fisica finisce per piegarsi alla volontà fresca dell’autrice.

Il tempo, che è considerato forza superiore alla morte stessa, in Wislawa si dilata, fino a quasi perdere di valore nelle poesie Non occorre titolo e Nulla due volte. La prima, è poesia molto più recente (dalla raccolta “La fine e l’inizio” del 1993), e non è altro che una lunga riflessione sul tempo e sulla sua consequenzialità; e questa riflessione, di fatto delegittima l’importanza dell’evento, inteso come “qualcosa” a cui prestare maggiore attenzione. Anche se non succede niente, il mondo non avrà minori particolari, minori dettagli. È la presenza della propria individualità a dare importanza. È per questo che una cosa così effimera come una farfalla, acquisisce maggior valore di tutte le altre farfalle, proprio in virtù di quel legame intimo che viene ad instaurarsi tra l’animo del poeta e l’ambiente che lo circonda. Non importa dunque né il dove, né il quando, ma soltanto ciò che è percepito. In Nulla due volte, poesia agli antipodi temporali nella produzione della poetessa (appartiene alla raccolta Appello allo Yeti, del 1957), Wislawa pone l’attenzione sull’irripetibilità del momento; ogni evento è unico, prezioso e non accadrà di nuovo.

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Ed ecco come in Nulla due volte notiamo di sfuggita l’altro grande tema della poesia di Szymborska: la morte. Essa è ultima tra gli ultimi, maldestra e spesso in ritardo (Sulla morte, senza esagerare), fatta di luoghi comuni e stereotipi (Funerale), inevitabile e portatrice di rassegnazione (Le lettere dei morti). poesia-sulla-morte-senza-esagerareMa in Nulla due volte, ed è qui, credo, la straordinarietà di Wislawa, essa esce sconfitta: la morte “malvagia ora” esiste, ma come tutte le cose deve passare, e passerà; come a dire, la morte è inevitabile ma è solo un brevissimo momento in rapporto a tutta la sua vita, e non si ripeterà mai. 

Di fatto, tutta l’opera di Wislawa ricorda un inno alla vita, alla semplicità delle cose, al supremo valore della fantasia. Wislawa Szymborska è tutto questo, e molto altro ancora, e fornisce, con la più totale libertà e spontaneità, tutti gli strumenti per interpretare il suo mondo; sta al lettore, o per meglio dire alla sua sensibilità, coglierne la profondità. Clare Cavanagh, che ha tradotto le poesie in America, in occasione della morte della poetessa avvenuta nel 2012, dirà:

I believe I was very fortunate to have encountered such a poet thanks to Stanisław Barańczak. Thanks to Szymborska I see the world through different eyes because she described the world in such a way that one cannot look at it as before.

È proprio questo il punto: Wislawa descrive il mondo in un modo unico, con una tale sensibilità che è difficile rimanere indifferenti. Tutto ciò che cade sotto il suo sguardo è trasposto in un universo poetico che non fa fede a nessuna scuola, ma è personalissimo di Wislawa Szymborska. Qualsiasi soggetto può divenire mezzo per l’intervento poetico: un quadro del pittore fiammingo Pieter Brueghel il Vecchio (le due scimmie di Brueghel), una conversazione (piccole parole), un foglietto illustrativo di un tranquillante, persino una pietra (Conversazione con una pietra).

Il mondo di Wislawa è inaspettato, meraviglioso, di una bellezza che rapisce e conquista, costellato di riferimenti artistici e citazioni. Szymborska si confessa e confessa, perché quello che si viene a creare è un rapporto biunivoco, dove il lettore diviene parte della poesia e viceversa; è straordinaria l’empatia che le parole di Wislawa sono in grado di suscitare, e sorprende ancora di più la semplicità e l’immediatezza del linguaggio. Leggere Wislawa significa viaggiare con lei.

Ed è viaggio che non delude.

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