L’ostetrica di Auschwitz: nel regno della morte lei donava la vita

Stanisława Leszczynska nasce a Łódź, in Polonia, nel 1896, svolge la professione di ostetrica. I bambini sono la sua passione più grande e in ognuno di essi le sembra di vedere il volto di Gesù: è conosciuta da tutte le madri in dolce attesa, è molto richiesta e a volte le capita di non dormire per giorni tanto è il lavoro che deve svolgere. È donna tenace, carismatica, ma dal cuore grande e caritatevole.

Nel 1917 si unisce in matrimonio con Bronisław Leszczyński, un tipografo dall’animo nobile come il suo: la coppia avrà quattro figli, tre maschi e una femmina.

Dopo l’invasione tedesca della Polonia, nel 1939, l’ostetrica, assieme al marito e ai figli, decide di aiutare gli ebrei del ghetto della città, fornendo loro cibo e documenti falsi ma, nel febbraio del ’43, vengono scoperti e arrestati dalla Gestapo: solo il marito e un figlio riusciranno a scappare.

La donna riesce a portare con sé, dentro un tubetto di dentifricio, alcuni documenti scritti in tedesco attestanti il suo lavoro come levatrice, così, assieme alla figlia, che aveva iniziato gli studi di medicina, vengono destinate al campo di concentramento di Auschwitz, e viene assegnato loro il compito di prestare assistenza alle partorienti.

Prima di Stanisława, il compito di ostetrica era svolto da Sister Klara, che, coadiuvata dalla meretrice Pfani, aveva il compito di vegliare e aiutare le donne durante il parto. Klara, proprio come prevedeva il regolamento di Auschwitz, anziché operare come ostetrica, svolgeva il ruolo dell’infanticida: compito in cui era piuttosto esperta dato che prima di approdare al campo di sterminio stava scontando una pena detentiva inflittale proprio per il medesimo reato. Una volta venuto al mondo il neonato veniva strappato alla madre e affogato in un barile colmo d’acqua, dopo di che il corpicino sarebbe diventato cibo per i ratti. Il rito era sistemico, fatta eccezione per i bambini con gli occhi azzurri o con particolari tratti somatici: questi erano dirottati all’orfanotrofio di Naklo, per essere adottati da coppie tedesche che non potevano avere figli.

Nel 1943 si ha un’inversione di marcia: Klara si ammala e viene sostituita da Stanisława e la figlia. Anche loro ricevono l’ordine perentorio di uccidere i neonati appena nati: la levatrice però, contro ogni possibile aspettativa, non esegue l’ordine, e, dotata solo di un paio di forbici, qualche medicinale e poche bende, si dirige in sala parto, che altro non era che una fatiscente baracca, con al centro una stufa, vicino cui fa disporre le partorienti.

Stanisława invita le puerpere a scambiare con le altre deportate parte della propria razione di pane in cambio di lenzuola e asciugamani: con grande altruismo e sacrificio, lei stessa aiuterà le donne, rinunciando numerose volte alla sua razione. La figlia la appoggerà sempre senza riserve.

Nonostante le condizioni igienico sanitarie pessime e sprovvista degli strumenti adeguati, l’ostetrica farà nascere ben tremila bambini, nessuno dei quali morirà durante il parto o a seguito di esso e, nonostante la minaccia della camera a gas, li battezzerà tutti di nascosto, versandogli un po’ d’acqua sul capo e pronunciato parole di rito. Il primo bambino che fa nascere lo chiama Adam, alla prima bambina dà il nome Ewa.

Stanisława per via del suo carattere dolce e premuroso viene soprannominata dalle deportate “Mamma” e “Angelo della bontà”: è una donna fortemente credente e per non far perdere la speranza alle altre donne le invita a raccogliersi attorno a lei per pregare.

La donna si appunta tutti i nomi dei bambini che fa nascere, ma dei tremila venuti alla luce grazie al suo talento, la metà verranno affogati da Klara una volta rientrata in servizio, altri mille moriranno di stenti e di fame, alcune centinaia verranno spediti all’orfanotrofio: i piccoli vi arriveranno con un tatuaggio sull’avambraccio, poiché Stanisława nutre la forte speranza che un giorno quel simbolo possa far ricongiungere madre e figlio. Sono circa trenta i bambini che non vengono separati dalla propria madre e che riescono a varcare i cancelli del campo di sterminio una volta spalancati.

Nel 1970, quei bambini, ormai cresciuti, incontreranno la levatrice e le esprimeranno la loro immensa gratitudine raccogliendosi accanto a lei: se erano vivi e se erano riusciti a scampare all’orrore di Auschwitz, era solo merito suo: Ewa, le consegnerà un mazzo di fiori a nome di tutti i fanciulli sopravvissuti.

Stanisława, una volta terminata la guerra, si ricongiungerà ai figli e riprenderà a svolgere la sua professione, con la passione e la determinazione di sempre.

Il quaderno segreto contenente i nomi dei bambini fatti venire al mondo, darà vita al suo ”Rapporto di un’ostetrica ad Auschwitz” mentre Bronisław, uno dei figli, la ricorda con queste parole:

Quando una persona viene svegliata di fretta, spesso fa in tempo a trovare soltanto una scarpa. Quando chiamavano mia madre, di notte, spesso andava in giro con una pantofola sola.

Stanisława Leszczyńska morirà l’11 marzo 1974 a causa di un cancro, esprimendo il desiderio che il suo corpo venga vestito con l’abito di terziaria francescana, segno della sua grandissima fede.
Neanche vent’anni dopo la Congregazione per le Cause dei Santi concede il proprio nulla osta per iniziare il processo di beatificazione.


http://www.santiebeati.it/dettaglio/94685
https://it.aleteia.org/2017/03/15/ostetrica-auschwitz-salvato-tremila-bambini-ebrei/
http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=2629

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