COP24, Katowice – Discutere di clima nella culla del carbone

Dal 3 al 14 dicembre la Polonia ha ospitato la ventiquattresima edizione della COP, l’annuale Conferenza della Parti sul clima riunitesi per discutere riguardo le modalità per rendere concreti gli impegni presi nel Paris Agreement, il principale risultato della COP21. Secondo alcuni è stata un successo, secondo altri le decisioni prese a Katowice non sono ancora sufficienti se vogliamo mantenere il riscaldamento globale entro una soglia limite dei 2° di aumento da qui al 2100. Impegni insufficienti specialmente se si tiene in considerazione l’ultimo Report dell’IPCC, nel quale si ribadisce la necessità di ridurre le emissioni del 45% al 2030 e di azzerarle entro il 2050 se si vuole raggiungere l’obiettivo del grado e mezzo di aumento massimo. Molti l’hanno definita la COP delle due velocità, una che delude in relazione ai diritti umani e all’equità, una che soddisfa o meglio, che accontenta, in riferimento all’approvazione del Paris Rulebook, il testo che racchiude i passi da fare al fine di implementare e definire le regole di attuazione dell’Accordo di Parigi.

Dopo due settimane di negoziati proceduti a rilento e con diversi momenti di stallo, i circa 200 Paesi che si erano impegnati quattro anni fa nella capitale francese, hanno siglato un patto che stabilisce il modo in cui i diversi Stati forniranno informazioni sui contributi nazionali per ridurre le loro emissioni, quali e quanti dovranno essere i fondi per le politiche climatiche e quali saranno i meccanismi di verifica degli impegni presi da parte dei vari firmatari. Bene, ma non è ancora abbastanza. I risultati, infatti, non convincono proprio tutti, anche se occorre riconoscere la presenza di effettive difficoltà tecniche tenendo presente il delicato contesto internazionale in cui i negoziati climatici hanno avuto luogo: Trump che annuncia l’uscita degli USA dal Paris Agreement (ancora non ufficialmente avvenuta), Bolsonaro che vince le elezioni in Brasile e pianifica la distruzione dell’Amazzonia, la Polonia che deve l’80% del suo fabbisogno energetico al carbone e progetta nuovi impianti e nuove miniere. Insomma, gli ostacoli sembrano essere ancora molti nonostante il tempo a disposizione per una decisiva e incisiva svolta energetica si riduca costantemente.

Secondo Patricia Espinosa, segretario esecutivo dell’UNFCCC, «Katowice ha mostrato ancora una volta la resilienza del Paris Agreement, una solida tabella di marcia per l’azione climatica. Da qui in poi la parola chiave sarà: ambizione». Più scettiche e caute, invece, le associazioni ambientaliste come Greenpeace, la quale sottolinea come a parte i progressi procedurali, non siano stati raggiunti chiari impegni collettivi per migliorare gli obiettivi nazionali di azione sul clima, i Nationally Determined Contributions (NDC): «è difficile parlare di successo, abbiamo solo evitato un clamoroso fallimento» afferma Greenpeace Polska. Anche Legambiente parla di risultati deboli «in forte contrasto con il grido di allarme lanciato dall’IPCC e con la crescente mobilitazione dei cittadini in ogni angolo del Pianeta». Al momento, infatti, i vari NDC farebbero aumentare le temperature mondiali di 3° rispetto a quelle preindustriali: un grado e mezzo in più che potrebbe fare un’enorme differenza per noi. A creare disaccordo tra gli Stati sono stati soprattutto i meccanismi di mercato per limitare le emissioni, come quello del carbonio mentre a deludere la società civile è stata specialmente la mancata inclusione di princìpi legati al rispetto dei diritti umani, spesso violati in occasione di eventi climatici estremi. Rispetto al testo di Parigi, vi è stata una drastica riduzione dei princìpi da tutelare e nessuna menzione diretta ai diritti umani, né alcun riferimento ai giovani o alla parità intergenerazionale. Buone notizie, invece, per l’implementazione del Gender Action Plan (GAP), uno strumento per l’avanzamento della parità di genere in ambito climatico e ambientale ideato in occasione della COP22 di Marrakech.

 

In sostanza, dunque, si confermano le due velocità a cui facevamo riferimento prima. Il faticoso arrancare delle stanze dei Governi e la vitale e vibrante determinazione nei corridoi della Società Civile, il cui sforzo collettivo è assolutamente indispensabile seppur troppo inascoltato. Più in generale ciò che abbiamo visto in Polonia sembra ben lontano da quello spirito di condivisione e partecipazione che aveva animato la COP23, permeata dai princìpi di apertura e solidarietà del Talanoa Dialogue. Forse, in Polonia, non si poteva fare di più. Non ci resta che attendere i prossimi appuntamenti dell’agenda climatica, anche se la sensazione è che l’attesa è un lusso che non possiamo più permetterci.

Phcredit: cop24.gov.pl, climatetracker.org

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