Fotografie che raccontano storie: intervista ad Anna Daverio

Ho sempre ammirato l’arte della fotografia, il sapere raccontare delle storie, trasmettere delle emozioni o dei messaggi, fare delle denunce sociali  con un solo colpo d’occhio. Per questo ho deciso di intervistare una fotografa anno 89: Anna Daverio.

Se tu pensassi a una citazione, quale sarebbe?

Penserei a una di Roland Barthes che gira attorno al concetto di cosa è per me la fotografia.

Un giorno, molto tempo fa, mi capitò sottomano una fotografia dell’ultimo fratello di Napoleone, Girolamo (1852). In quel momento, con uno stupore che da allora non ho mai potuto ridurre, mi dissi: “Sto vedendo gli occhi che hanno visto l’imperatore”. A volte mi capitava di parlare di quello stupore, ma siccome nessuno sembrava condividerlo e neppure comprenderlo (la vita è fatta di piccole solitudini), lo dimenticai.

Cosa ti ha portato da Pavia a una laurea in Pittura e Arti Visive per poi approdare alla fotografia?

Dal progetto “News from now-here” ©Anna Daverio

Ho sempre avuto una passione per le arti, in particolar modo per la pittura e la fotografia. Finito il liceo quindi è stato molto semplice scegliere un indirizzo artistico e aver frequentato un’accademia, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti, mi ha permesso di conoscere e studiare artisti e modi di fare arte diversi, penso ad alcuni performer che mi hanno fatto conoscere la connessione tra l’atto performativo, il contenuto, la comunicazione e l’immagine. Il rituale. Tutte cose che mi porto dietro.

Storie è una parola che ritorna molto nel tuo lavoro, è un punto cardine della tua ricerca. Hai dato avvio, grazie una collaborazione con un collega, a un progetto intitolato “Storie di Provincia” attraverso il quale hai raccontato la gente e i mestieri lontano dai grandi centri urbani. Il progetto è ancora in itinere?

Dal progetto “News from now-here” ©Anna Daverio

“Storie di Provincia” nasce come progetto a 4 mani sulla provincia di Pavia spinto dalla curiosità di conoscere quello che avevamo intorno a noi, la provincia, troppo spesso dimenticata. Le nostre storie avevano un file rouge, la tradizione e la voglia di fare, memorie e nuove prospettive. Abbiamo incontrato persone d’altri tempi e giovani legati alla loro terra. Io e il collega abbiamo preso infine strade diverse ma, si, è anche quella una cosa che mi porto dietro attraverso un progetto dal titolo “News from now-here”, un mondo che continuo ad indagare per due semplici motivi: la ricerca d’identità di una certa zona geografica, comprensiva delle sue mutazioni, e la conoscenza della terra che, bene o male, amo ed odio.

Poi è arrivato il tuo viaggio lungo un anno trascorso in Grecia. Hai potuto vedere con i tuoi occhi, anche attraverso quelli dei tuoi obiettivi, i segni di 8 anni di austerità e la profonda crisi dei rifugiati e dei migranti. Cosa sei riuscita a fotografare di tutti questi spaccati della società greca?

Il mio primo approdo in Grecia è avvenuto nel 2014, un po’ per caso. Dopo essere stata selezionata per il progetto “M.I.P – Move, Improve, Prove” con il supporto di Erasmus +, Fondazione Cariplo e Afol Sud, ho avuto la possibilità di trascorrere un periodo all’estero per sviluppare un progetto. Da lì è nato “Ergalia tou Mastora”, una serie di fotografie dove i soggetti erano i laboratori di artigiani greci, dove gli strumenti diventano simboli.

Dal progetto “Ergalia tou Mastora” ©Anna Daverio

Dopo questa prima esperienza mi sono totalmente innamorata di Atene continuando a frequentarla.

Dal progetto “Ergalia tou Mastora” ©Anna Daverio

L’anno scorso, poi, ho avuto la possibilità di svolgere un’internship nel dipartimento di Fotogiornalismo in un’agenzia press, la Athens News Agency. Finita questa esperienza mi sono fermata ad Atene come freelance. Dal 2014 al 2018 quindi è stato semplice sentire come il clima e le persone stessero cambiando in risposta a tutto quello che sta e stava accadendo, anche se direi che il momento clou, subito dopo il 2011, è stato quello che ha visto i greci impegnati nel famoso referendum di Tsipras. Parlando con le persone è emerso come un punto di rottura in cui è venuta un po’ meno la fiducia in un cambiamento. Da questi anni è nata una serie intitolata “Se krisi”.

Sei riuscita a fotografare dando una testimonianza e una denuncia del funzionamento precario e incerto del sistema di accoglienza della Grecia nel bel mezzo della crisi delle ONG, del problema vissuto sulle isole (per via dell’accordo della vergogna Turchia-Europa), quindi a Chios o quando sei stata in uno dei più grandi campi greci ad Atene, Skaramagas (anche detto Skaramangas o in greco Σκαραμαγκάς). Qual è la tua testimonianza?

Le situazioni sulle isole e sulla terraferma sono completamente diverse, non solo nell’organizzazione ma anche nella percezione che hanno i migranti. Prima dell’accordo c’era libertà di spostarsi sulla terraferma con una conseguente possibilità maggiore di sistemazioni adeguate. Dopo l’accordo, che impedisce il libero movimento dalle isole alla terraferma, le isole sono diventate delle vere e proprie prigioni, soprattutto perché le domande sono esaminate con sempre più lentezza. Chios, a 7 miglia nautiche da Çeşme, è uno dei punti più vicini di sbarco dalla Turchia. I primi anni d’emergenza le grandi ONG hanno lavorato nel campo allestito per rispondere all’emergenza ma dopo poco lo hanno abbandonato lasciando così la responsabilità dell’aiuto allo sbarco e dell’accoglienza solo alle autorità portuali e alle associazioni volontarie. Ne racconto meglio qui: instoriesda.wordpress.com.

Sulla terraferma, comunque, la situazione non è migliore. Skaramangas, uno dei campi gestiti dall’autorità marittima, era stato allestito in fretta e furia ed aveva un “custode” che avrebbe dovuto gestire il campo garantendo la sicurezza dello stesso. Dopo un po’, però, gli è stato revocato il compito e così si è venuta a creare una situazione complessa: da una parte un’autogestione dei residenti stessi che ha trasformato il campo in un piccolo paese provvisto di bar, bazar e parrucchiere, dall’altra un’assenza di controllo percepita dai richiedenti come pericolosa. Ho avuto la fortuna di seguire un gruppo di volontari seguiti dai loro coordinatori di “A drop in the ocean” che, ogni giorno, svolge attività di ricreazione e di insegnamento e fornisce spazi sicuri soprattutto a donne e bambini. Sono certa che il loro impegno e il loro supporto abbia aiutato molte delle persone che si trovano ancora in attesa di vedere la loro richiesta esaminata.

La situazione per i migranti è comunque molto difficile e mal gestita dalle autorità competenti. Qui una visione generale: instoriesda.wordpress.com/athens-another-protest-for-several-refugee-families-witnesses-a-distressed-reception-system/

Note

Se volete saperne di più e seguire Anna qui il suo profilo Instagram: @annadaverio

L’immagine di copertina fa parte del progetto “News from now-here” ©Anna Daverio

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