A Pesca Di Storie tra Palermo e Tunisi: dal progetto FuoriRotta a una raccolta di racconti

Quello che voglio raccontare stavolta è un viaggio prima di pensieri poi di corpi di quattro ragazzi (Giuseppe, Zakariya, Adriano e Orlando), incontratisi tra banchi universitari durante un laboratorio di scrittura collettiva con il professore Fulvio Pezzarossa dell’Università di Bologna.01-1024x685

Un arabo che parla italiano e tre italiani che non parlano arabo – così si sono definiti – si incontrano durante un laboratorio di scrittura e dalla loro collaborazione nasce il racconto “Un passo prima” (che potete leggere cliccando qui). L’invenzione narrativa parte dall’esperienza del birrificio Alta Quota di Cittareale. Chiedo subito a Zakariya – cui ho posto qualche domanda! – se esiste il protagonista del racconto, o è partito davvero tutto dalle ricerche dall’archivio trovato.

Com’è nata l’idea del racconto?

Siamo partiti della storia di Azhar un ragazzo afghano che è arrivato in Italia qualche anno fa ed è finito a lavorare in un birrificio di Alta Quota, che si trova nella Valle del Velino. E quindi siamo partiti da questi dati reali per poi immaginarci la sua realtà di profugo afghano che si ritrova in questo ambiente molto diverso da quello dove è cresciuto lui immaginando che non si stato molto facile integrarsi a lavorare per giunta in un birrificio. Tra le interviste che abbiamo trovato c’era un’intervista ad Azhar in cui racconta che una trup francese era arrivata apposta per fare un servizio televisivo su di lui e sugli altri ragazzi arrivati lì e volevano creare una narrazione molto artefatta con vari tappeti nel birrificio per pregare insieme a tutta una serie di luoghi comuni che in realtà poi hanno portato questi ragazzi a ribellarsi e non fare il servizio televisivo.

Ho notato che nel racconto Whaleed potrebbe dirsi l’alter ego, almeno per certi versi, di Azhar. Un suo pensiero è: <Vi deve bastare uno sguardo, Whaleed. Il dolore, la morte, gli urli, è tutto nei vostri occhi. È tutto quello che siete. Con Azhar gli sguardi non bastano più. Non so più chi è. Forse non lo sa neanche lui. Ricordati, Whaleed: fermati un passo prima. Un passo prima di dimenticarti chi sei.>

Ma so anche che Whaleed significa new born in arabo… nuovo nato.

Il nome è stato inventato. C’era solo il nome di Azhar (che vuol dire fiorire).
Questa voce è importante perché gli fa ricordare le urla, il dolore e la morte. Chi è davvero.

Da qui il viaggio alla ricerca di parole, quelle dei marinai palermitani, che si fanno veicolo ancora una volta di altro, ma di un altrove e di una alterità non troppo lontani/diversi da loro. A partire dal racconto, come avete poi avuto l’idea di partecipare al bando, quindi concretamente al progetto FuoriRotta 2016 (progetto incentrato su viaggi non convenzionali)?
Dopo la laurea volevamo scrivere un racconto, un libretto insieme. Giuseppe ha proposto agli altri l’idea di partecipare all’iniziativa. Il tempo era stretto per convincere tutti sul progetto. Giuseppe era partito da un’idea vaga, da alcune sue letture sul mondo della pesca e sul mondo arabo. Abbiamo trovato tantissime parole arabe usate nel mondo dei pescatori palermitani. Orlando più di tutti era sfiduciato. Alla fine abbiamo deciso e inviato la candidatura. Con sorpresa siamo stati menzionati per il crowfunding, non ce lo aspettavamo (ndr menzione speciale)!

Poi il viaggio che inizia il 3 Agosto: chi da Roma, chi da Bologna alla volta di Napoli e da Napoli verso Palermo…
Sì, siamo stati lì sei giorni e poi l’8 agosto siamo partiti per Tunisi e siamo tornati il 15/16 Agosto.

Avete trovato quello che cercavate?
Abbiamo raccolto tante storie e vogliamo scrivere una raccolta di racconti da pubblicare. Rispetto a Palermo avevamo maggiori aspettative, ma il mondo della pesca sta morendo. I pescatori che cercavamo erano quelli che desiderano fare questo mestiere e che lo fanno da generazioni. La situazione precaria della pesca è tale perché le cooperative si sono aggiudicate gran parte del commercio… Appena siamo arrivati ci hanno raccontato che i pescatori iniziano a lavorare alle due di notte al porto delle Isole delle Femmine. Allora siamo andati là, partendo da Mondello… Abbiamo viaggiato a piedi, per 9 km… di sera. Siamo rimasti la notte ad aspettare i pescatori, però ci hanno mandato via dicendoci che lì di pescatori non ce ne sono. Anche alla Dogana non abbiamo trovato molto. Essendo partiti con molte aspettative, eravamo delusi all’inizio del viaggio… Ma poi, pian piano siamo riusciti a superare la disperazione e i primi ostacoli, finendo, soprattutto durante gli ultimi due giorni, a trovare tanti racconti e storie.

 

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«Dal porticciolo dell’Isola delle Femmine, alle prime luci dell’alba, con lo sguardo assorto verso un orizzonte ancora sgombro, attendi l’arrivo dei pescatori. Ma la distesa calma e piatta che hai davanti non è un deserto, e loro non sono i Tartari. Se sai aspettare, a lenta lenza, prima o poi arrivano». 

È stato quasi un lavoro di antropologia orale…
Qualcuno ci ha detto: qui non trovi nulla perché a causa dell’inquinamento, della spazzatura sulle spiagge i pescatori non lavorano ed è rischioso andare tanto a largo per pescare.

Come è stato instaurare la comunicazione?
Noi abbiamo fatto questo servizio tantando un approccio, ma era molto difficile superare la loro diffidenza.
Non tutti reagivano bene, non dicevano nulla, non potevamo essere così diretti, uno dei pescatori mi ha detto “non so leggere… quindi non mi interessa”.

Il vostro intento era quello di capire…?
Capire se alcune parole che usano i marinai hanno origine araba e fanno parte della loro lingua.

Avete provato a metterli davanti a questa consapevolezza?
Avevamo paura che si offendessero.

«Un quadro di Guttuso lo vedesti mai? Pieno zeppo di cristiani e bandiere rosse. Io ci tiro una pennellata di verde, sempre quello. Tanto il mio pubblico i pesci sono»

«Un quadro di Guttuso lo vedesti mai? Pieno zeppo di cristiani e bandiere rosse. Io ci tiro una pennellata di verde, sempre quello. Tanto il mio pubblico i pesci sono»

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Raccontando del loro progetto, i quattro viaggiatori hanno voluto districare una delle tante trame che legano e oppongono il mondo occidentale e quello arabo, la più invisibile è sulla bocca di tutti i pescatori. Da secoli (ndr la conquista della Sicilia da parte dei musulmani nordafricani ha avvio nell’827) sono sopravvissute sedimentandosi alcune parole che hanno resistito a qualsiasi affondamento etnocentrico (ndr queste sono state le parole degli ideatori del progetto), parole che anzi dalla lingua siciliana sono ormai entrate a pieno titolo a far parte del lessico ufficiale della lingua italiana: sciàbeca (dall’arabo شبكه, shabaka; rete da pesca), dogana (dall’arabo ديوان, dīwān), magazzino (dall’arabo مخزن, máxzan) e sardina (dall’arabo السردين, sarden).

Li trovate anche su facebook, qui: https://www.facebook.com/progettoFuoriRotta/?fref=ts

Li trovate anche su facebook, qui: https://www.facebook.com/progettoFuoriRotta/?fref=ts

La tolleranza in nome di una vita comunitaria pacifica aveva portato tra l’827 e il 1042 a un’integrazione con pochi tentativi di ribellione, consentendo anche libertà di culto (vennero costruite però circa 300 moschee, secondo le testimonianze, ad oggi non più esistenti). Palermo divenne una capitale mediterranea del mondo arabo, la storia linguistica siciliana non poteva non lasciarne spazio ed è nella quotidianità della pesca che la ritroviamo. Gli studi sul Siculo Arabic sono significativi, tra gli studiosi più importanti c’è il Professor Dionisius A. Agius dell’University of Toronto.

Attendo con ansia i racconti che verranno pubblicati… e voi? Stay tuned!

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