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“Il libro della volpe” è una storia eterna

Questa è una storia senza capo né coda.
Perché non si sa bene quando e come inizi né quando e come finisca: nella sua forma, quella di un libro a spirale senza copertina, numerazione delle pagine o paragrafazione, e nel suo racconto, circolare come il viaggio che compie chi lo legge.

Un viaggio che è al seguito della volpe, che sta espiando qualcosa, ma non è da sola: c’è anche qualcuno che dorme e che sogna – o meglio, che dorme agitato e vede cose come incubi –, ci sono un vecchio, una tartaruga, una figlia dell’imperatore, un Leviatano, un ciabattino. Ci sono nel racconto, ma esistono? O li stiamo sognando anche noi?
Questo, e non solo questo, è Il libro della volpe di Enrico Ferratini (pièdimosca, 2022).

Chi parla?

C’è un uomo che dorme. E, proprio come nel libro di Perec, c’è un tu a cui si parla – ma che qui continua a cambiare: una volta è un vecchio, un’altra un avventuriero o la volpe stessa.
E a volte l’io stesso, la prima persona singolare, affiora, quando deve ricordarsi le punizioni che subirà o avverte il terrore che si avvicina («Cosa vuole da me?», pagina?), quando non ha nulla a tenerlo assieme («Sono io che dovrei fermarmi invece, anziché continuare ad accumulare tutti i miei pezzi rotti, i frammenti, i detriti», pagina?). È anche un io che si crea per contrasto, contrapponendosi a un tu che viene indicato ed evocato con le parole: «Io sono la tartaruga, nient’altro che la tartaruga, e tu sei l’uomo, l’uomo che ha trovato la via per la città dell’oro» (pagina?). Oppure è un io che dallo sdoppiamento rifugge e cerca l’unione: «Vi siete accorti vero che io sono il ciabattino, vi siete resi conto che il ciabattino e io siamo la stessa persona?» (pagina?).

C’è anche un noi, un noi che soffre e deve imparare a dormire, a sognare e a leggere i vaticini per sopravvivere: ma a questo punto siamo sicurə che sia un noi composto da più persone o è piuttosto un io che si culla immaginandosi doppio, non solo?

Ora è troppo tardi, anche se chiudessimo gli occhi tutte le cose che la luce ci ha mostrato le rivedremmo immutate nei nostri incubi.

Enrico Ferratini, Il libro della volpe, pagina?

L’evocazione per parole è il grande potere de Il libro della volpe: così dalla spiaggia davanti al Leviatano arriviamo nel giro di una frase in un palazzo che crolla e subito dopo a bere un tè mentre da qualche parte nel mondo un calamaro colossale mai avvistato compie il suo millesimo anno di vita.

La volpe e il suo viaggio

La volpe è in viaggio perché deve espiare una colpa. A dire il vero, è in viaggio perché è stata esiliata. Ma durante il suo esilio, il vento le ha rivelato che avrebbe potuto scontare le proprie colpe se si fosse recata dal Leviatano ad ascoltare e apprendere le 300 storie.
La volpe è in esilio perché ha commesso un peccato, «il più terribile, il più empio dei peccati, e non in segreto, nel buio di una tana, ma alla luce del sole, di fronte a tutti» (pagina?). Rimane indicibile, non detto, ma la fatica della volpe – prima nella solitudine, poi nella fame, poi nello sforzo di ripetere le storie apprese – prende spazio e parola continuamente, perché essere perdonatə non è mai cosa da poco.

Povera volpe, questa volta credevi davvero che fosse arrivata la tua fine. Allora, cosa si prova quando le cose smettono di risponderti, come ci si sente nel momento in cui le sole voci che ti parlavano si spengono definitivamente?

Enrico Ferratini, Il libro della volpe, pagina?

E oltre alle voci che scivolano fluidamente l’una nell’altra, senza che vi sia interruzione testuale o intellettuale tra loro, ci sono anche delle storie nelle storie, come quella del ciabattino e del guerriero: sarà parte delle 300 raccontate del Leviatano? O è anche questo un altro dei sogni che sogna l’uomo che dorme?

E da dove viene la salvezza? Ci è data dall’altrə oppure è già in noi? Sono le parole, sono le storie che mandiamo a memoria a salvarci? O è la forma che diamo loro nel mondo che può essere salvezza per tuttə?

Non bastano purtroppo delle parole messe bene in fila per suscitare il senso di pietà in un essere umano. La volpe deve saperlo questo, deve rendersi subito conto di quanto piccola, quanto modesta sia la sua missione […]. Del resto chi naviga in acque profonde lo sa quanto è difficile trovare dei pesci che parlino una lingua comprensibile all’uomo.

Enrico Ferratini, Il libro della volpe, pagina?

Nel frattempo il mondo crolla, la paura e lo smarrimento regnano, ma la volpe non lo sa ancora, lo scoprirà al suo rientro – se mai tornerà, perché è già ora di (ri)mettersi in cammino.

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