Un singolo passo – Storia di crescita e di indipendenza

Nato nel 1987, l’Erasmus (European Community Action Scheme for the Mobility of University Students) è il famoso programma di mobilità studentesca dell’UE. L’Erasmus, che prende il nome da Erasmo da Rotterdam, dà la possibilità di passare dai 3 ai 12 mesi all’estero per motivi di studio. Dal 1987 sono stati creati altri progetti come l’Erasmus Mundus, l’Erasmus Overseas, l’Erasmus Plus, segno che sempre più giovani sono attratte e attratti dal noto programma di studio.

Certo, a volte l’università in cui si va può essere deludente, programmi dimezzati e lezioni differenti da quelle a cui siamo abituate/i in Italia, ma se si dovesse relegare l’Erasmus solo alla voce “studio” non si comprenderebbe a pieno il senso del progetto. Nel 2012 feci la domanda per andare in Francia e alla fine di agosto partii per circa un anno. La paura, l’emozione, i saluti, l’ansia, l’ambientamento iniziale, una lingua diversa, la carta geografica sempre nello zaino (non c’erano ancora gli smartphone di oggi), le lezioni, le uscite… diversi stati d’animo che si intrecciano e che passano rapidamente dalla malinconia alla felicità. Forse è per questo che mi sono ritrovata nel protagonista di Un singolo passo scritto e sceneggiato da Lorenzo Coltellacci, con le matite e le chine di Niccolò Castro Cedeno e i colori, l’impaginazione e il lettering di Enrico G. Rollo, pubblicato da Tunué. Un fumetto che celebra il viaggio, la crescita, il cambiamento, gli incontri.

Il protagonista di questa storia si appresta a partire per Porto, in Portogallo, essendo risultato vincitore per una borsa di studio Erasmus. Prima di partire la sua sicurezza vacilla, si domanda se sia la scelta giusta e l’ansia prende il sopravvento. Sono le sensazioni che si provano prima di un viaggio importante e quello dell’Erasmus lo è dato che per mesi bisogna stare lontani da casa, dagli affetti, dagli amici e da una propria e consolidata quotidianità. Inoltre, il protagonista ha il cuore spezzato: la sua ragazza, che in precedenza lo aveva sostenuto, non è disposta ad accettare la distanza e lo lascia. Il giovane, però, nonostante le titubanze, decide di partire lo stesso, di non perdere un’opportunità che può letteralmente stravolgergli la vita. Per sua fortuna i genitori, nostalgici ma forti, lo sostengono e più di una volta il padre gli ripete che “Morto un papa se ne fa un altro” ma non lo fa per sminuire il dolore del figlio, al contrario, per infondergli coraggio.

Appena arrivato a Porto il giovane è ovviamente spaesato. Prende una camera in affitto dove passa gran parte del suo tempo, tormentato dai ricordi (contrassegnati da un contorno ondulato): flashback di momenti passati insieme alla sua ex ragazza, di conversazioni con gli amici che tentano di tirarlo su di morale, di giornate d’estate pre-partenza. E quando tutto si concentra il ragazzo pensa di non potercela fare. Fortunatamente arriva in aiuto la sua coinquilina, una portoghese carina e indipendente, che lo invita a uscire con lui quella sera. E sarà proprio da quella sera che il giovane capirà che deve stringere i denti e godersi ogni attimo della sua esperienza. Lo farà conoscendo degli altri italiani con cui formerà uno “strano” gruppo: c’è Fa’, pieno di spirito d’iniziativa e poi Alex, Viola e Maria. Un’ancora di salvezza per il protagonista che in poco tempo si affezionerà a loro come se fossero gli amici di sempre.

Tra le lezioni, le letture di Kafka e Carver, le passeggiate vista oceano, una gita a Lisbona, le sere passate fuori al cinema o nei locali, il tempo passa velocemente e la fine dell’Erasmus si avvicina. Anche in questo caso, come all’inizio, tante sono le emozioni provate dal protagonista: la nostalgia che si fa sempre più insistente, la consapevolezza di essere maturato, l’indipendenza che non credeva avrebbe mai raggiunto.

In Un singolo passo ci si perde tra i vicoli e i locali di Porto, contraddistinti da colori da cartolina, si entra in empatia non solo con il protagonista ma anche con tutti gli altri personaggi comprimari della storia, si fa il tifo per loro come se si fosse spettatori di una pièce de théâtre, pronti ad applaudire, a gioire e anche a versare qualche lacrima. Ogni viaggio ci permette di scoprire una parte di noi stessi che difficilmente troveremmo se rimanessimo sempre e solo nello stesso posto. È vero che viaggiare apre la mente e amplia la propria cultura, ma soprattutto ci cambia e ci fa guardare il mondo da un’altra prospettiva. A vent’anni ti fa sentire cittadina/o del mondo intero e ci sono attimi in cui ci si sente invincibili. Perché è sicuramente vero quello che dice un noto proverbio cinese: “Chi torna da un viaggio non è mai la stessa persona che è partita”. Ma soprattutto ogni viaggio ci dà l’ebbrezza di ricordare che siamo e possiamo essere noi a scrivere il copione della nostra vita. Bellissimo.

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