#Monterosa racconta | L’Odissea di Enaiatollah narrata da Fabio Geda (e dallo stesso Enaiatollah)

Dieci anni fa arrivava nel mondo editoriale quello che chiamiamo un long-seller ovvero un libro che è destinato a durare nel tempo e che rimane per settimane, mesi e quindi anni, in classifica. Si intitola Nel mare ci sono i coccodrilli Storia vera di Enaiatollah Akbari, scritto da quest’ultimo e da Fabio Geda che da tempo emoziona milioni di lettrici e lettori, pubblicato da Baldini+Castoldi. Il libro racconta, appunto, il viaggio di Enaiatollah, un bambino afghano che la madre decide di portare in Pakistan perché teme per la sua vita. A questo punto ci si potrebbe domandare perché si dovrebbe fare del male a un bambino.
Intanto perché si può nascere e vivere nel posto sbagliato e nel momento sbagliato e poi perché il padre di Enaiatollah lavorava come camionista per un ricco signore, ma se avesse rovinato la merce o se gliel’avessero rubata, il ricco signore se la sarebbe presa con il padre di Enaiatollah e se anche lui fosse morto se la sarebbe presa con la sua famiglia… Sembra quasi l’inizio di una storia inventata, di novelle declamate oralmente dai genitori prima di far addormentare le/i bambine/i e invece succede davvero. Il padre di Enaiatollah viene attaccato e ucciso, Enaiatollah potrebbe essere reclamato dal ricco signore e così la madre lo prende con sé e lo porta in Pakistan. Da lì comincia il viaggio di Enaiatollah.

Liaqat ha sospirato. Allora ripariamoci, ha detto. Lontano dal mare, possibilmente. E gettando un’occhiata appuntita a Hussein Alì: Non sia mai che un’onda selvaggia ci attacchi mentre dormiamo.
Hussein Alì non ha capito la battuta. Ha annuito e ha detto: O un coccodrillo. E lo ha detto serio, spalancando gli occhi.
Non ci sono i coccodrilli nel mare, ha detto Liaqat.
Tu come lo sai?
Lo so e basta, stupido.
Parli solo perché hai la voce. Non sai nemmeno nuotare.
Nemmeno tu sai nuotare.
È vero. Hussein Alì s’è stretto nelle spalle. Per questo ho paura dei coccodrilli.
Che non ci sono. Hai capito? Non. Ci. Sono. Vivono nei fiumi.
Non ne sarei così tanto sicuro, ha bisbigliato Hussein Alì, guardando l’acqua. In quel buio scuro, ha detto spostando una pietruzza con la punta del piede, potrebbe esserci qualunque cosa.

Da Nava a Torino

Effettivamente Nel mare ci sono i coccodrilli è una storia che dà un’idea forte di oralità, forse proprio perché prima di essere scritta è davvero narrata oralmente: è Enaiatollah che racconta a Fabio il suo viaggio, l’arrivo in Pakistan con la madre, il risveglio senza di lei e un continuo camminare, alla ricerca della sopravvivenza e di qualcosa che possa assomigliare a una famiglia, al calore di una casa, a un porto sicuro. Appena si rende conto di essere stato lasciato a se stesso il bambino cerca di capire cosa può fare e, soprattutto, riflette sul gesto della madre, sull’abbandono, fino a quando non ci penserà più e poi ci penserà di nuovo e capirà quale atto d’amore materno incredibile sia stato quello di preferire un figlio esposto a diversi pericoli esterni piuttosto che rinchiuso in una buca scavata in casa vicino alle patate, quello di provare a donare la libertà e la scelta piuttosto che la paura e la desolazione.

Ma alla fine ho capito che per lei sapermi in pericolo, ma in viaggio verso un futuro differente, era meglio che avermi vicino, ma nel fango della paura di sempre; e che, fatti i conti, preferiva affidarmi a una chiassosa comunità di mezzi orfani che sopravviveva grazie alla generosità dei commercianti d’un bazar, piuttosto che consegnarmi a un facoltoso commerciante della nostra zona, collaboratore dei talebani, come pagamento per un ipotetico debito contratto da mio padre.

Il viaggio di Enaiatollah è lungo e dura parecchi anni. Si sposta dal Pakistan e poi arriva in Iran, Turchia, poi Grecia e infine Italia, è il 2004. Enaiatollah non ha documenti con sé, nella testa ricordi vividi di tutto quello che ha visto e vissuto: la miseria, i viaggi dentro i camion, al buio, tutti ammassati, nascosti e schiacciati con due bottiglie (una per bere, una per fare pipì), la crudeltà, la cattiveria, le ombre della guerra, ma anche la gentilezza, il coraggio, le risate, l’aiuto reciproco, l’amicizia e molto altro, un bagaglio pieno di sensazioni che valgono più di tanti vestiti e souvenir. È la questura italiana a conferire a Enaiatollah una data di nascita, il primo di settembre.

Quattro anni dopo essere arrivato in Italia Enaiatollah, ormai adulto, si domanda se sia possibile ritrovare la sua famiglia, scoprire se sua madre, suo fratello e sua sorella siano ancora vivi. È mama Asan, il padre di un suo amico, che dal Pakistan si mette in viaggio per andare a cercare la famiglia di Enaiatollah, le sue radici, in Afghanistan. E lì succede un miracolo, che siate credenti, agnostici o atei: mama Asan trova la madre di Enaiatollah. Nel mare ci sono i coccodrilli termina proprio con la chiamata tra un figlio e una madre, una chiamata fatta, in realtà, di silenzi e respiri «salati», di sospiri e di una sola parola: «Mamma».

Siamo rimasti così, in silenzio, fino a quando la comunicazione si è interrotta. In quel momento ho saputo che era ancora viva. E forse, lì, mi sono reso conto per la prima volta che lo ero anch’io.
Non so bene come. Ma lo ero anch’io.

Da Torino a Quetta

Nel primo libro Enaiatollah racconta a Fabio che il suo maestro di scuola fu ucciso dai talebani perché non volle chiudere la scuola quando gli era stato chiesto, preferendo quindi la morte per i suoi ideali, tra cui l’istruzione. «Da quel giorno la scuola è stata chiusa, ma la vita, senza scuola, è come la cenere», dice Enaiatollah e si comprende fin dall’inizio quanto interesse e passione lui provi per gli studi e per la conoscenza.
Enaiatollah è un bambino, poi ragazzo e poi adulto curioso, che sa mettersi in gioco e sa rimboccarsi le maniche. Non lo si capisce solo dal viaggio che intraprende, ma anche dal suo coraggio, dalla sua manualità e dalla capacità di saper stringere i denti.

È il 2020, c’è una pandemia in corso, lo stato di emergenza non è ancora stato sospeso. Per mesi siamo stati costretti a vivere una situazione totalmente anormale tanto che oggi uscire e agitare la mano per salutare qualcuno in strada ci sembra una delle cose più belle del mondo. Sono passati dieci anni dalla pubblicazione di Nel mare ci sono i coccodrilli. L’anno precedente Fabio ed Enaiatollah decidono di scrivere un altro libro insieme, non proprio un sequel, per festeggiare l’anniversario e riportare in forma scritta quello che è accaduto alla famiglia di Enaiatollah, ma soprattutto il suo viaggio in Pakistan, l’incontro con Fazila e i tanti problemi con la burocrazia. Esce così Storia di un figlio Andata e ritorno (Baldini+Castoldi, 2020).
In questo libro, pubblicato quasi un mese fa, la voce di Enaiatollah è più forte e più matura, contraddistinta da sicurezza e da caparbietà.

Dopo essere riuscito a rintracciare la madre, Enaiatollah vorrebbe far trasferire tutta la sua famiglia in Italia, ma la madre non vuole lasciare l’Afghanistan, nemmeno per raggiungere la sorella di Enaiatollah in Pakistan che ormai si è sposata e ha anche avuto una figlia. Enaiatollah non racconta alla madre il suo passato, il viaggio intrapreso per arrivare in Italia. Dall’altro lato, però, una mamma è sempre una mamma e una delle cose che chiede di più al figlio è (giuro): «Mangi?».

Una delle prime cose che mi ha chiesto è stata se mangiavo. Cioè, dico: se mangiavo. La domanda che una madre qualsiasi farebbe a un figlio qualsiasi, lontano da casa per una gita o una vacanza studio. Ho risposto che mangiavo parecchio, su questo poteva scommetterci, e che da quel punto di vista, a essere sinceri, non potevo finire in un posto migliore. Ho detto: Mamma, sono in Italia, certo che mangio!

Enaiatollah studia e lavora e manda tutti i soldi che ha alla sua famiglia provando anche a fare aprire un negozio a suo fratello. La situazione è quella che è, sono passati pochi anni dal 2001, dagli attacchi terroristici dell’11 settembre che hanno reso l’Afghanistan un inferno. Se Enaiatollah si fosse soffermato su tutto ciò che è successo in questi anni, a livello di cronaca estera e mondiale, ne sarebbe uscita fuori un’enciclopedia. Ma questa è la storia di un figlio che vuole raccontare la storia della sua famiglia, cosa è successo a sua madre e ai suoi fratelli che non sono rimasti a Nava per tutto il tempo in cui non sapevano che fine avesse fatto Enaiatollah. Anche loro si spostano, migrano, con uno sguardo rivolto verso Nava, soprattutto la madre di Enaiatollah, così legata al suo luogo d’origine.

In questo libro Enaiatollah racconta di radici, di nascite e di rinascite, di incontri vecchi e nuovi. Spiega com’è nato Nel mare ci sono i coccodrilli e il successo che ne è derivato. Un passaggio mi ha colpito particolarmente, quello in cui durante una presentazione a Chieri una donna domanda: «Ma noi, persone normali, che ascoltiamo queste storie, cosa possiamo fare?». Enaiatollah le risponde che ciascuno è chiamato a fare ciò che può, anche solo informarsi e discutere, ma le dice anche che sta cercando un lavoro. Quella donna si chiamava Daniela, professoressa universitaria, e trova davvero un lavoro come magazziniere al giovane Enaiatollah.
Enaiatollah continua a ribadire questo concetto del fare quel che si può anche pagine dopo, riprendendo la storia del colibrì che tenta di spegnere un incendio nella foresta portando una sola goccia d’acqua nel becco. «Ogni lavoro è importante. Ognuno è chiamato a fare ciò che può, a farlo al meglio.»

In Storia di un figlio sono narrati tanti viaggi e ci si domanda se per Enaiatollah tornare in Pakistan (in Afghanistan non si può perché Enaiatollah detiene in Italia lo status di rifugiato politico) sia un’andata o un ritorno, proprio come si evince dal sottotitolo del libro. Non credo possa esistere una risposta univoca, io ho pensato che la risposta è “entrambi”. C’è sempre qualcosa che ci riporta e ci collega alla nostra terra d’origine, possono essere gli odori, la polvere, il caos, il profumo dei cibi, il sole che “spacca le pietre” o le giornate uggiose di pioggia, è quel νόστος omerico a cui la letteratura attinge da secoli. Ma dall’altro lato, come una calamita, c’è sempre qualcosa che ci riporta a un’altra terra, quella (pre)scelta, quella di cui ti innamori appena ci metti piede, quella che ti fa sentire te stess*. In fondo la vita è un continuo oscillare tra andata e ritorno, o almeno a me piace immaginarla così.

Arrivato in Pakistan Enaiatollah rivede sua sorella, soprannominata gulpari, petalo di rosa, conosce le sue nipoti, incontra Fazila (è possibile l’amore a prima vista?) e riparte per l’Italia con il cuore e la mente pieno di gioia e di vita, un bagaglio pieno di emozioni sicuramente diverse rispetto all’arrivo avvenuto nel 2004, ma ugualmente voluminoso.

Se nel primo libro Geda porta con sé Enaiatollah, nel secondo sembra più il contrario. Quello che conta e che si evince è che Fabio ed Enaiatollah sono due ottimi compagni di viaggio e chissà che in futuro non ci possano fare un altro regalo e portarci con loro in un’altra storia vera.

P.S. Grazie, Enaiatollah, per essere sopravvissuto e per essere approdato in Italia, per aver raccontato la tua storia e il tuo viaggio. «È proprio vero che il cammino si apre camminando», spero che tutt* possano leggere ciò che hai vissuto, che possano percorrere una via della sensibilità o che possano tornare a passeggiarci serenamente.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.