La befana, tradizione tipicamente italiana

Prima delle vacanze natalizie, ho parlato del Natale agli alunni francesi: niente di nuovo per loro, a parte l’avermi ripetuto più volte che noi italiani, per le feste, mangiamo molto. Quello che, però, ha fatto rimanere a bocca aperta soprattutto i ragazzini delle scuole medie è stato l’aver detto loro che da noi, in Italia, le vacanze natalizie durano fino al 6 gennaio (o magari di più, come quest’anno). Così, ho raccontato loro dell’Epifania che non è soltanto il giorno in cui da bambini aggiungiamo i re magi nel presepe, ma anche il giorno della Befana, tradizione tipica italiana, conosciuta meno all’estero. E, infatti, pochi avevano sentito parlare della vecchia strega che la notte tra il 5 e il 6 gennaio entra nelle case dei bambini e riempie le loro calze: di caramelle, soldini d’oro di cioccolato, biscotti e dolciumi vari se ci si è comportati bene; di carbone, ahimè, se ci si è comportati male.

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Io ho un ricordo bellissimo del giorno dell’Epifania, di quando io e mio fratello ci svegliavamo prestissimo per correre in salotto a svuotare le calze. Così, riflettendoci, ho creduto che sarebbe stato bello dedicare – oggi 6 gennaio – un articolo a quella vecchia donna che rende felici i bambini e, così facendo, prolunga le feste e raddoppia i doni già distribuiti da Babbo Natale. Ma non il solito articolo, bensì uno un po’ fuori dalle righe, in cui si parlerà della Befana attraverso la penna di tre illustri uomini del nostro panorama letterario: Giacomo Leopardi, Giovanni Pascoli e Gianni Rodari.

Può sembrare strano ma quando era piccolo, Giacomo Leopardi era davvero un ragazzino sì diligente, ma anche burlone. Primogenito del conte Monaldo Leopardi e della marchesa Adelaide, amava giocare con i fratelli e, allo stesso tempo, si distingueva per la sua bravura e velocità nell’apprendimento. Ma Giacomino non era soltanto un ardito lettore: infatti, fin dalla tenera età, scriveva componimenti (alcuni anche in latino), traduceva Orazio e inventava storie perché «le storie nutrono l’immaginazione e l’immaginazione nutre le storie. Tutto è storia, agli occhi chiari di Giacomino». (La piscia della Befana – Nicola Cinquetti)

cinqMa cosa c’entra la Befana con Giacomo Leopardi? Il sei gennaio del 1810, all’età di undici anni, Giacomino scrisse una lettera, fingendosi la Befana e utilizzando un linguaggio poco consono. La lettera era indirizzata alla marchesa Volumnia Roberti, amica di famiglia che non doveva stare particolarmente simpatica al poeta:

«Carissima Signora,
giacché mi trovo in viaggio volevo fare una visita a Voi e a tutti li Signori Ragazzi della Vostra Conversazione, ma la Neve mi ha rotto le Tappe e non mi posso trattenere. Ho pensato dunque di fermarmi un momento per fare la Piscia nel Vostro Portone, e poi tirare avanti il mio viaggio. Bensì vi mando certe bagatelle per codesti figlioli, acciocché siano buoni ma ditegli che se sentirò cattive relazioni di loro, quest’altro Anno gli porterò un po’ di Merda. Veramente io volevo destinare a ognuno il suo regalo, per esempio a chi un corno, a chi un altro, ma ho temuto di dimostrare parzialità, e che quello il quale avesse li corni curti invidiasse li corni lunghi. Ho pensato dunque di rimettere le cose alla ventura, e farete così. Dentro l’annessa cantina trovarete tanti biglietti con altrettanti Numeri. Mettete tutti questi biglietti dentro un Orinale, e mischiateli bene bene con le Vostre mani. Poi ognuno pigli il suo biglietto, e veda il suo numero. Poi con l’annessa chiave aprite il Baulle. Prima di tutto ci trovarete certa cosetta da godere in comune e credo che cotesti Signori la gradiranno perché sono un branco di ghiotti. Poi ci trovarete tutti li corni segnati col rispettivo numero. Ognuno pigli il suo, e vada in pace. Chi non è contento del Corno che gli tocca, faccia a baratto con li Corni delli Compagni. Se avvanza qualche corno, lo riprenderò al mio ritorno. Un altr’Anno poi si vedrà di far di meglio. Voi poi signora Carissima, avvertite in tutto quest’anno di trattare bene cotesti signori, non solo col Caffè che già si intende, ma ancora con Pasticci, Crostate, Cialde, Cialdoni, ed altri regali, e non siate stitica, e non vi fate pregare, perché chi vuole la conversazione deve allargare la mano, e se darete un Pasticcio per sera sarete meglio lodata, e la vostra Conversazione si chiamerà la Conversazione del Pasticcio. Frattanto state allegri, e andate tutti dove vi mando, e restateci finché non torno ghiotti, indiscreti, somari scrocconi dal primo fino all’ultimo.

La Befana»

Adesso, ci tocca abbandonare i toni divertenti leopardiani e accingerci, invece, a quella malinconia tipica della poetica del fanciullino del Pascoli. Nella poesia intitolata La Befana, la nostra vecchia strega non porta nessun dono. È soltanto spettatrice di quello che succede in una villa, abitata da una ricca famiglia, e in un casolare in cui vive una famiglia povera. Pascoli mostra attraverso lo sguardo della Befana dapprima una madre, pronta a riempire le calze dei tre bambini.

Co’ suoi doni mamma è scesa,

sale con il suo sorriso.

Il lumino le arde in viso

come lampada di chiesa.

Co’ suoi doni mamma è scesa.

E dopo, il poeta descrive una Befana costretta ad osservare una madre triste e piangente, una madre che non può donare nulla ai suoi figli.

E la mamma veglia e fila

sospirando e singhiozzando,

e rimira a quando a quando

oh! quei tre zoccoli in fila…

Veglia e piange, piange e fila.

È davvero interessante perché ci viene presentata una Befana diversa, non la solita che dispensa caramelle e carbone, bensì una Befana impotente, quasi avvolta dalla tristezza, che arriva «Viene viene la Befana, vien dai monti a notte fonda. Come è stanca! La circonda neve, gelo e tramontana. Viene viene la Befana» e poi se ne va «La Befana vede e sente; fugge al monte, ch’è l’aurora». Una poesia, molto attuale, in cui si assiste al quotidiano vivere di una famiglia benestante in cui tutto è pronto per il giorno dell’Epifania, le calze sono state riempite dopo che i bambini sono andati a letto e, poi, allo scenario di una umile madre che può soltanto piangere, consapevole che non potrà donare nulla ai suoi figli.

Infine, non potevo non parlare di Gianni Rodari (a cui Francesca ha dedicato un bellissimo mese d’autore due estati fa) e del suo La freccia azzurra, pubblicato da Einaudi nel lontano 1964. Nelle raffigurazioni degli autori che ho scelto, credo che la Befana di Rodari sia quella che più si avvicini al nostro tradizionale immaginario collettivo. La freccia azzurra è un bellissimo racconto in cui Rodari ci presenta una Befana non troppo buona, non troppo cattiva che, in alcuni versi, mi ricorda Mary Poppins di P.L.Travers, soprattutto quando la Befana si rivolge alla sua serva, Teresa:

«È un po’ rozza – pensò – ma conosce le regole della buona creanza e sa come comportarsi con una signora del mio rango, quasi baronessa. Le prometterò di aumentarle lo stipendio. Poi naturalmente non glielo aumenterò affatto: ci mancherebbe altro».

Il racconto si svolge tra la notte del 5 e 6 gennaio e si assiste a una rivoluzione da parte dei giocattoli. La Befana, infatti, pare che distribuisca i regali soltanto a chi paga lautamente. Subentra il protagonista, il piccolo Francesco che, recatosi nel negozio della Befana, le domanda di ricevere in regalo la Freccia Azzurra, un trenino giocattolo.

« ‘Per tua norma e regola io non sono né buona né cattiva. Io faccio il mio lavoro, e non posso lavorare gratis. Tua madre non aveva soldi per pagare […] Le ho anche ricordato che mi deve pagare ancora il cavalluccio dell’anno scorso e la trottola di due anni fa. Lo sapevi tu questo?’
No, il bambino non lo sapeva. Le mamme non dicono mai i loro dispiaceri ai bambini».

Rattristati dal comportamento della Befana, i giocattoli, animati dal buon cuore, decidono di scappare e, recuperato il taccuino della Befana, si pongono come obiettivo quello di raggiungere Francesco. Ma già dall’inizio del viaggio, molti la-freccia-azzurragiocattoli cambiano idea. Ci sono molti bambini poveri, alcuni giocattoli si stancano di viaggiare al freddo e al gelo notturno. Così, democraticamente, scelgono di rallegrare il maggior numero di bambini possibile. Nel frattempo, la Befana si è accorta che i suoi giocattoli non sono più al negozio. Chiamata Teresa, le due partono subito alla ricerca dei giocattoli. Soprattutto, la Befana è convinta che qualcuno glieli abbia rubati. Si assiste, quindi, a un buffo inseguimento da parte della Befana che, soltanto alla fine capirà il grande gesto dei suoi giocattoli, i quali, a loro volta, sono costretti a sfuggire alle intemperie, alla neve e al vento, per potere raggiungere le dimore dei bambini.

«Ma che strana idea! Un giocattolo che scalda… E poi forse, chissà: non scaldano mica soltanto le stufe e i termosifoni. Ci sono tante cose che scaldano: le parole gentili, per esempio, e magari anche tre marionette attaccate al loro filo…»

E Francesco? Riuscirà, alla fine, ad ottenere il tanto desiderato trenino?8017634336032

Da La freccia azzurra è stato tratto il bellissimo film d’animazione con titolo omonimo al libro di Enzo D’Alò. La storia è un po’ diversa così come la nostra Befana, costretta a rimanere a letto perché sta male. L’antagonista di questa storia è il signor Scarafoni, doppiato dal grandissimo (e scomparso da poco) Dario Fo.

La Befana ha sempre affascinato grandi e piccoli e, soprattutto, arricchito la nostra cultura. E, certamente oggi, molti bambini si saranno svegliati – come me tanti anni fa – e saranno andati a vedere cosa ha lasciato la Befana perché – non dimentichiamolo – «La Befana vien di notte con le scarpe tutte rotte, con le toppe alla sottana, viva viva la Befana».

Ci tengo a ringraziare pubblicamente Nicola Cinquetti, autore de La piscia della Befana, una biografia del Leopardi bambino, che si è dimostrato gentile e disponibile nell’aiutarmi con la ricerca del suddetto libro.

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