Anne Tyler e l’infelicità di tutti i giorni

Anne Tyler è una famosa scrittrice statunitense che attualmente vive nella violentissima Baltimora. Nella copertina di ogni suo libro di edizione italiana, sotto al suo nome, viene sempre ricordato che trattasi dell’autrice di “Per puro caso” (Ladder of Yers), romanzo del 1995 che ha incantato la critica per l’abilità di descrivere gli atti minuti della quotidianità, le gestualità e quei sentimenti che sempre ci colgono nell’intimità di un inconscio che balugina come un dardo che orienta le nostre reazioni ed i nostri pensieri. Ma la produzione di Anne Tyler è abbondante e da tempo ha superato i primi esiti, benché i soggetti prediletti della domesticità, dell’abitudinarietà e delle piccole comunità, oltre le relazioni familiari e di vicinato, rimangano i protagonisti e lo stile discorsivo il mezzo rivelatore. Si potrebbe dire che Anne Tyler si ispiri e dedichi a quei personaggi che rimangono, durante tutta la loro esistenza, nel solco della necessità della vita, dell’essenziale privato scandito dalle circostanze, senza scegliere, adattandosi piuttosto a quanto accade, attendendo che si ricomponga, per inerzia, lo scorrere del tempo secondo logiche addomesticate, ricompattate nella regolarità del conosciuto, tacitando il mistero. È questa la normalità?

Anne Tyler che odia i salotti culturali e gli assalti dei media ha rilasciato poche dichiarazioni pubbliche e tra queste spicca il suo rivendicare una poetica di cantatrice dei semplici e degli umili, delle persone normali, quelle che vivono appartate e riservate e che ogni giorno curano la propria casa, la famiglia, il lavoro, ciò che sentono rassicurante ed affrontano la giornata e ciò che li attende senza forzare gli eventi o senza cercare visibilità. Nel pudore del tempo e dello spazio, esposti alle contingenze, senza mai alzare la fronte all’orizzonte progettuale del futuro. Lei si sente di appartenere a questa realtà, si sente proprio una di quelle persone che capisce ed ascolta con empatia. Cosa succede quando una coppia di genitori, i Pike, deve affrontare il lutto di uno dei due figli? Cosa succede quando una adolescente grassottella e bruttina, Evie Decker, ascolta alla radio l’intervista di un musicista locale, un certo Drum Casey, un tipo egocentrico e dipendente dal bisogno di conferme e dal suo narcisismo?

Slipping-Down Lives, equilibri che si spezzano; paralisi emotive, ormai croniche, sbilanciate nella coazione a ripetere; ossessioni che cullano ferite vecchie e nuove; identità che vacillano; trasformazioni in potenza a volte rifiutate, a volte abbracciate a metà, ammantate sempre e comunque da un velo di malinconia e durezza: quel tasso di brutalità che occorre a cuori paralizzati per far fronte agli imprevisti.

Intrighi che sconvolgono una sommessa umanità lontana dal “sogno di spettacolo” che domina la nostra epoca, ma anche un mondo di infelicità, un mondo che si ferma prima di varcare la soglia del “politico”, cioè dell’azione consapevole e condivisa che può trasformare. L’evento è più che altro un fatto che viene subìto e metabolizzato e se comporta un cambiamento, ebbene, questo va inserito nella cornice insieme al quadro.

Personalmente, nei libri di Anne Tyler scorgo un elemento che va oltre l’abilità di descrivere il dettaglio ed i frammenti, intravedo qualcosa di più oscuro, che è l’elemento del thriller. Nelle sue trame risuonano interiorità in frantumi che perdono i confini, che potrebbero impazzire da un momento all’altro senza sapersi dominare, ecco perché cercare di controllare tutto, anche la morte. Ecco perché rimanere attaccati alle appartenenze, anche decadenti, senza più desiderare. Ecco perché operare sostituzioni per riempire i vuoti. Ecco perché non farsi domande e tacitare la coscienza, ma rispondere solo ad un istante dopo l’altro, senza interrogarsi sulle conseguenze. Anche questa è una possibilità.

Non lo so. Mi sento sempre come se stessi cercando di sollevare qualcosa di troppo pesante

Depressioni. Ma la resistenza per una pura sopravvivenza può essere un crimine, quando si nasconde l’essere al divenire e, forse, la morte coglie già nella vita chi cerca di proteggersi senza assumersi la responsabilità della vita stessa – propria e generata -, chi tratta il soffio vitale come pericolante contingenza. Certo, la vita è violenta e non si è quasi mai preparati, questo sì.

 

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