Strategia Europa 2020: “We cannot go soft with Education”

La Strategia Europa 2020 è un piano politico di crescita sostenibile applicato nell’Eurozona. Secondo la presentazione ufficiale attribuita al Presidente in carica della Commissione Europea, José Manuel Barroso “in un mondo che cambia l’UE si propone di diventare un’economia intelligente, sostenibile e solidale. Queste tre priorità che si rafforzano a vicenda intendono aiutare l’UE e gli Stati membri a conseguire elevati livelli di occupazione, produttività e coesione sociale. In pratica, l’Unione si è posta cinque ambiziosi obiettivi – in materia di occupazione, innovazione, istruzione, integrazione sociale e clima/energia – da raggiungere entro il 2020. Ogni Stato membro ha adottato per ciascuno di questi settori i propri obiettivi nazionali”.

Molte elaborazioni sono in corso contribuendo ad orientare il raggio d’azione delle strategie adottate, tra esse vanno menzionate le Conferenze Jean Monnet che coinvolgono il mondo accademico internazionale. Il 13 novembre 2012 ha preso la parola Androulla Vassiliou (membro della Commissione, responsabile dell’istruzione, della cultura, del multiculturalismo e della gioventù).

Innanzitutto chi è la commissaria Androulla Vassiliou? Giurista ed esperta in affari internazionali, ha esercitato la professione legale per venti anni, lavorando come consulente giuridico alla Standard Chartered Bank e, successivamente, alla Banca di Cipro. È stata impegnata nel campo dei diritti umani e parlamentare cipriota per il Movimento dei democratici uniti. Negli anni Novanta fu Presidente della Federazione mondiale delle Associazioni delle Nazioni Unite di cui ora è presidente onorario. È stata, altresì, presidente della Federazione cipriota delle imprenditrici e delle professioniste ed ha presieduto la Rete europea delle donne liberali, oltre ad altri incarichi che possono leggersi direttamente dal suo curriculum ufficiale.

Molta esperienza e tanto potere in ambito politico ed economico, ma poca competenza in ambito pedagogico, eppure, nonostante la sua carriera non parli di un percorso legato alla cura delle discipline educative, oggi è commissaria europea dell’istruzione. Prima grande contraddizione. Non per chi scrive, ma per i propositi di alta formazione e specializzazioni maniacali che si propongono le istituzioni, in particolare in questo periodo di crisi. Il potere è al centro, più di ogni altra cosa, prima ancora di analizzare il suo intervento questo è visibile. Certo, non questo caso non è un’eccezione e nessuno è stupito.

Il discorso in analisi è consultabile qui: accorato ed ambizioso richiamo all’uso della cultura e della formazione come forza e collante sociale per forgiare cittadini e maestranze  soggetti che in futuro traghettino il destino europeo, attualmente esangue, verso un riscatto per l’aristo-tecnocrazia, sempre attraverso un investimento aziendalistico dell’esistenza.

La crisi europea poteva essere l’occasione di una nuova contrattazione sociale che ridefinisse le sue radici in ossequio al presente con le sue esigenze: in primis, quella di decretare ed accettare il fallimento di un sistema paternalistico neo-liberista non solo in ambito economico. Studentesse e studenti nel mondo chiedono di essere ascoltati e così tante cittadine e cittadini che con forza cercano di contribuire nel dare vere rappresentazione della realtà e del dinamismo politico partito dal basso di questi anni, sostanzialmente ignorato.

In buona sostanza, Androulla Vassiliou ha sottolineato l’importanza di una educazione che non deve ridursi all’utilitarismo ed al funzionalismo, mai. Poi, però, ha ripetuto instancabilmente il ruolo di un’educazione “empowered Europeans” per avere competenze altamente qualificate ed esperienze performanti per andare incontro alle necessità del mercato e della società dei prossimi anni, considerando che “we are moving from one era to the next”. Auspicando maggiore coinvolgimento da parte delle aziende durante il percorso universitario per iniziare un inserimento naturale dei giovani nel mondo del business e del mercato del lavoro.

Quello che manca è ancora una volta un progetto politico fondato su solide basi di pensiero e pratica. Cosa orienta il governo dell’Europa? Sicuramente un’arroganza ed una ottusità che deludono anche coloro che nell’Europa speravano. Di quale formazione stiamo parlando? Di quali valori sarebbe investita? Per quali soggetti è pensata? Formazione come passaggio al mondo del lavoro? Ma il mercato del lavoro è un’altra cosa ancora  e non è, attualmente, completamente esaurito anche nelle sue riserve, per l’avidità di molte speculazioni? Tanto da dover essere ripensato anche nelle sue forme?

In tutta questa sovrapposizione ed al contempo esagerata semplificazione, l’invito espresso è quello di puntare più su uno spirito di solidarietà che di libertà. Forse, perché la solidarietà è una qualità che in questi tempi fa risparmiare i costi di un welfare in crisi? Attraverso una responsabilizzazione sociale che è come il rimprovero di un padre non disposto a chiedere scusa per i propri errori e farsi da parte? Se il mondo in quest’epoca non avesse già puntato sulla solidarietà attraverso le reti spontanee delle comunità non saremmo più qui. L’azzardo finanziario ed economico, le scelte sbagliate, le speculazioni, i vuoti politici e filosofici non possono essere arginati con ulteriori azzardi dei soliti spasimanti del potere, non in grado di avere idee e di relazionarsi al mondo, ma fortemente obbedienti all’argomento autoritario del forgiare nuove generazioni che tengano in piedi le macerie e se ne facciano carico.

Androulla Vassiliou ha concluso il suo discorso con un argomento d’enfasi, l’impetuosa citazione del Premio Nobel Amartya Sen che avrebbe detto: “education and culture are crucial to making growth and development sustainable not only because they sustain the needs and the living standards of the future generations, but because they sustain, and this is their unique contribution, the freedom of future generations to have or safeguard what they value and to which they have reason to attach importance”.

Probabilmente Amartya Sen intendeva spronare le giovani generazioni a credere in un futuro di cui farsi protagonisti cooperando e praticando la politicità del pensare, inventando nuove mediazioni e assumendosi la responsabilità di un cambio di civiltà, conquistando la libertà anche rispetto alle precedenti generazioni. Inoltre, è da sperare che il riferimento ad un ancoramento al presente non significasse eliminare il riconoscimento dell’interdipendenza delle persone e delle generazioni nella gestione del mondo. Perché i giovani di oggi sanno che chi li ha preceduti sta presentando loro un conto il cui prezzo è stato evaso. Questa è un’eredità che ci lascia chi ancora pretende di dirci cosa dobbiamo fare e chi ci dice che non abbiamo chances, se non quelle di obbedire e credere nelle promesse di retorici profeti.

Segno di quanto stia incidendo nella vita dei singoli e della collettività l’ideale formativo della knowledge society: imparare a essere manager di sé stessi, a destreggiarsi tra le diverse, virtualmente infinite, opportunità di apprendimento con tutto il carico della responsabilità della riuscita o del fallimento posto in capo a ciascuna/o, e l’avvaloramento dell’idea di autonomia come autosufficienza” (Università fertile. Una scommessa politica, ed. Rosenberg&Sellier, curato da Anna Maria Piussa e Remei Arnaus).

Per questo, la manipolazione dell’istruzione è arma pericolosissima. La formazione, prima di ogni altra cosa, ad ogni età deve permettere lo sviluppo di un senso critico libero, di un’azione politica in relazione agli altri ed alle differenze, da rigiocarsi nella vita secondo le esigenze dei tempi per amore del mondo e non per la sua distruzione o la sua spartizione a beneficio di chi si sente esente dalla relazione con la precarietà ed i desideri e le trasformazioni.

Essere umanità significa accettare che i giochi non sono fatti una volta per tutte e che occorre disfare potere per fare libertà. Significa mettere al centro del discorso pubblico la nascita, come scriveva Hannah Arendt ed oggi scrive la teologa svizzera Ina Praetorius: “gli esseri umani sono capaci di creare qualcosa di nuovo, così come lo sono le madri quando mettono al mondo un nuovo essere che prima non esisteva. Ma non ci è dato decidere liberamente o addirittura di pianificare quale sarà il loro divenire, poiché ogni essere ed ogni azione incontrano inevitabilmente una rete di altre libertà, già esistenti e diverse dalla propria, che vorranno sostenere o abbandonare il “nuovo”, vorranno integrarlo o trasformarlo” (Penelope a Davos, ed. Libreria delle Donne di Milano).

Un altro aspetto importante su cui ragionare è la preoccupazione su dove andrà a finire la libertà di insegnamento e soprattutto, la libertà di apprendimento. Basterebbe interrogare tutti coloro che si occupano di questi temi da anni e ne hanno fatto l’orizzonte della loro ricerca e del loro impegno sul campo. Tutte e tutti cittadini (extra) europei. Ma ancora una volta il potere guarda al suo centro, non sapendo nemmeno guardare, cercando, però, di spostare l’attenzione di chi lo problematizza e di disperdere energie al lavoro.

La riconversione aziendalistica dell’università e le politiche di riforma degli ultimi anni quindici anni: una serie continua di innovazioni calate dall’alto e governate da pochi, con interminabili procedure di normazione a cascata, per stare al passo con il Processo di Bologna e adeguarci allo Spazio europeo dell’istruzione superiore. Una riconversione verso un’auspicata eurodiversità avvenuta al ribasso, come capita quando si pretende di innovare facendo ogni volta tabula rasa del passato e non ascoltando ciò che i diretti interessati hanno da dire” (ibidem).

Dove finisce, allora, lo spazio per la negoziazione? Proprio in un’Europa che è la culla delle moderne teorie del contratto sociale e della democrazia partecipativa, sembra che ci si dimentichi quello che l’epistemologa Luigina Mortari ci ricorda nel suo importantissimo saggio (A scuola di libertà, ed. Raffaello Cortina): “quando il processo di decisione relativo all’agire si affida alle regole date, senza avvertire la necessità di interrogare il senso di ciò che si fa, si finisce per dismettere la responsabilità dell’esercizio della propria libertà di decidere consapevolmente. Se l’essere umano è l’ente chiamato a decidere il possibile, allora il non pensare liberamente è segno di una vita non vissuta nella sua essenza: una situazione, questa, decisamente problematica, perché fa dipendere il nostro agire dalle decisioni di altri. La storia dimostra come tutte le volte che, in un contesto nel quale il pensare fatica ad essere coltivato, arriva qualcuno che con forza intende modificare le regole di condotta vigenti, sostituendole con altre senza passare attraverso un processo di negoziazione condivisa, quest’azione impositiva abbia vita facile; infatti, chi tende a restare nel non-pensare si adegua passivamente ai nuovi codici senza avvertire la necessità di un’interrogazione etica sulla sensatezza o meno di quanto sta accadendo”.

Perciò, senza lasciare la propria via, occhi aperti: non spostiamo l’attenzione da ciò che sta accadendo, da ciò che viene detto, dal linguaggio che viene usato, attenti al significato delle parole, pronti, se necessario, a voltare le spalle ad una Storia che non ci lascia vivere, ma che cerca di addomesticarci alla paura ed all’abbaglio della presa del potere, che a quanto pare non dà nessun potere di cambiare le cose, questo ce lo dimostrano, delusione dopo delusione, coloro che ci dovrebbero rappresentare e che non conosciamo nemmeno, ma che dispongono, senza umiltà ed empatia, un domani di disillusioni.

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