LEXOP: Operatori della Legge tutti insieme per le donne vittime di violenza del partner nelle relazioni di intimità

Le violenze maschili contro le donne nelle relazioni di intimità sono il problema di violenza di genere più diffuso a livello globale. L’Italia è uno dei Paesi europei con il maggior numero di violenze e femminicidi perpetrati da partner o ex partner. Complesse dinamiche interne al rapporto interpersonale spingono, talvolta, alcune donne a non lasciare l’uomo violento per molto tempo, prima di spezzare quel legame insospettabile fra amore e violenza, potremmo definire questo come il nodo più complesso da affrontare e comprendere per poterlo sciogliere.

mi_prendo_e_mi_porto_viaTrovare la forza di interrompere il legame, se necessario fuggire e difendersi, cioè fare il primo passo per mettere fine alla violenza è un dovere delle donne verso sedata:text/mce-internal, stesse. Mi prendo e mi porto via come dice il titolo (parafrasato dal famoso romanzo di Niccolò Ammaniti) dell’importante elaborazione della giurista Giuditta Creazzo. Alcuni pensano che basti denunciare il perpetratore, eppure, in Italia, ancora oggi, è più ragionevole trovare riparo presso le Case delle Donne per non subire violenza che da anni operano sul territorio, in rete nazionale. Cosa succede quando le donne decidono di sottrarsi? Perché, molte donne continuano a non denunciare i partners violenti?

Purtroppo gli operatori delle forze dell’ordine attualmente sono spesso ancora riluttanti a procedere all’arresto dell’aggressore e si limitano a dare consigli o a chiedere che una delle parti si allontani dal domicilio per un periodo di tempo. Quanto a magistrati e giudici, sono a loro volta restii ad imporre sanzioni significative o che incidano sulla libertà personale, perché considerano la violenza domestica un reato di minore gravità rispetto ad altri. Ciò comporta che il maltrattatore possa reiterare il suo comportamento violento, perché sicuro di poter contare sulla sua impunità.”

In un contesto culturale e sociale arretrato come quello italiano, che ancora crede in progetti di mascolinità e femminilità stereotipati, riduttivi, falsati, incastrati e incrostati in rapporti di dipendenza tossica e complementarietà forzata viene piuttosto da chiedersi: e perché mai le donne dovrebbero denunciare il perpetratore che potrebbe poi trasformarsi anche in persecutore?

Questa provocazione getta una luce sconcertante sull’urgenza di trovare delle soluzioni che trasformino la realtà: l’individuazione di nuove pratiche e di nuove strategie passa dallo studio e dalla formazione (cfr. “Violenza contro le donne? In Italia non esiste più“, di Luisa Rinaldi, qui). Si tratta della necessità di un’operazione culturale e politica che sta nel riconoscere che la violenza ci appartiene; occorre riappropriarsi di questa consapevolezza per affrontare la violenza con strumenti nuovi, non relegabili solamente alla legislazione criminale.

Questo è lo scopo che si prefigge il progetto Daphne III (2007-2013) finanziato dalla Commissione europea, all’interno del programma generale “diritti fondamentali e giustizia” (sito ufficiale e PROGETTO EUROPEO DAPHNE MUVI)

uomini_che_maltrattano_le_donne_che_fareUno dei risultati già ottenuti è la pubblicazione del testo a cura di due studiose bolognesi, della giurista Giuditta Creazzo e della sociologa Letizia BianchiUomini che maltrattano le donne: che fare? Sviluppare strategie di intervento con uomini che usano violenza nelle relazioni di intimità. Il volume tenta di elaborare alcune questioni cruciali: innanzitutto come riescono alcune donne a sopportare la vicinanza alla violenza inferta da uomini a altre donne?Per molte donne mettere in comune la libertà significa intervenire per disinnescare il fenomeno. Nella consapevolezza che alla sofferenza provocata dalla violenza, che già di per sé è trasformativa, si aggiunge l’effetto di vittimizzazione secondaria che consiste nel ritenere le donne maltrattate in parte co-responsabili. È quel tipo di vulnerabilità che Lia Cigarini ha individuato nell’animo di far ricadere sull’altra non tanto la responsabilità della violenza, quanto il fatto di non essersi sottratta. Lo statuto di vittima determina, oltre allo stigma inaccettabile e difficilmente superabile, l’invisibilità della responsabilità unica e inescusabile dell’uomo perpetratore. Sfogliando Lucky di Alice Sebold leggiamo: “I live in a world where two truths coexist: where both hell and hope lie in the palm of my hand“. Disvelare questo invisibile significa ribaltare la prospettiva, fare ordine nella dinamica dell’azione violenta e riorientare socialmente e culturalmente l’attenzione sull’aggressore. Significa, anche, curare, come un mandato, la richiesta di fare qualcosa espressa da alcune donne che si sono allontanate dall’uomo violento, ma che desiderano un di più: che questi smetta di fare del male anche ad altre.

Come mai di violenza manifesta di uomini su donne (da quella psicologica a quella fisica, dagli stupri ai femminicidi) tanto si parla nella cronaca quotidiana, quanto dopo lo sgomento generale segue la presunta rassegnazione (percezione data dai mass media) al fenomeno? Cosa hanno capito alcune donne interrogandosi sulla violenza? Il timore umano per la violenza è potente. Forse è proprio questo disagio associato al suo carattere distruttivo che si esprime come forma di resistenza alla conoscenza e al biasimo senza attenuanti. Alcune donne si sono fatte carico del loro genere: le case rifugio, per prime, hanno accolto e lavorato con le donne maltrattate, e continuano a farlo. Per molte donne denunciare la violenza rimane un impossibile, perché non si sentono protette dalla rete della giustizia e, a volte, il “sogno d’amore primordiale di un’unità a due”, di cui scrive Lea Melandri, prende la forma di un legame insospettabile tra amore e violenza, dove è difficile distinguerli. Citando Judith Butler: “Perché non aggrediamo gli altri che amiamo? Perché una parte di noi si distruggerebbe, perchè loro sono parte costitutiva del nostro corpo esposto”.

La violenza di genere, si situa nella maggioranza dei casi nelle relazioni di intimità. Nominare questo spazio simbolico è un passaggio politico rivoluzionario, in quanto significa non contenere più il fenomeno nell’angusto confine dell’istituzione familiare, normalizzandolo come declinazione privata del rapporto, tra dipendenza e rivalse. Diventa pronunciare una verità perturbante: il conflitto tra donne e uomini; la guerra mai dichiarata tra i sessi. Il patto di convivenza che va rifondato sul pensiero della differenza dei due generi ha una rilevanza collettiva, pubblica. L’identità maschile è in crisi e spetta agli uomini occuparsi della propria miseria, nella consapevolezza di avere a disposizione un sapere femminile ormai sistematico. L’approccio gender-based, femminista postula la necessità di considerare la violenza maschile come intenzionalmente e funzionalmente esercitata per stabilire e mantenere una posizione di controllo all’interno della relazione, come sistema di potere e legittimazione che si impara a livello sociale. La violenza non può essere catalogata come semplice problema di gestione della rabbia, occorrerà disapprendere la violenza come alternativa comportamentale, ammettendo l’insufficienza del fronte penalistico-giustiziale rispetto al recupero maschile, inteso come trasformazione della vergogna e della condanna in consapevolezza (recensione in Leggere Donna, n. 147).

Insomma, il volume in questione è una vera e propria opera di servizio che indaga molteplici discipline, raccogliendo un corpus di saggi che riportano i risultati di una ricerca azione a livello europeo, in partnership con la Casa delle Donne per non subire violenza di Bologna, le associazioni antiviolenza di Barcellona e Atene ed il centro Alternative alla Violenza di Oslo. Quest’opera raccoglie narrazioni e biografie, e cerca di fissare dei punti di partenza e di proporre delle soluzioni: la scommessa nuova è l’idea di aprire luoghi in cui gli uomini possano dire ed elaborare la violenza maschile analizzandone i significati. La violenza è un tentativo di affrontare potere e violenza ed è associata alla considerazione che gli uomini hanno di sè; la violenza si impara a livello sociale e va disappresa a favore di una nuova cultura del rispetto e della convivenza.

Se da un lato è dunque evidente l’insufficienza del fronte penalistico-giustiziale rispetto a disordine, paura e recupero maschili, che non sono solo problemi dei carnefici, ma che è responsabilità e lavoro su di sè che spetta a tutti gli uomini per farsi carico del loro genere e delle miserie individuali interiorizzate attraverso un sistema di potere e di legittimazione sociale; dall’altro è fondamentale la formazione degli operatori sociali, sia sanitari che giuridici nell’intervento durante il momento cruciale per l’emersione della violenza: gli operatori devono conoscere le modalità per aiutare la decisione della donna sia di chiedere sostegno sia di denunciare e di lottare per spingere indietro la violenza.

Lo staff medico-legale deve rilevare i segni della violenza, documentarli e raccogliere i campioni biologici, sapendo che i segni della violenza variano a seconda dell’età della vittima, delle modalità con cui la violenza è stata inferta, del coinvolgimento psicologico e del contesto in la stessa si è esplicata. Anche la procedura e la tempistica nell’approccio alla donna devono essere adattate sia alla accoglienza e supporto alla donna sia alla raccolta delle prove. Gli operatori di polizia devono veder soddisfatte le esigenze di perseguire il colpevole, raccogliere gli elementi di prova utili perché il percorso processuale possa fronteggiare le critiche della difesa circa i metodi investigativi, la raccolta delle prove, la documentazione medico-legale, la catena di custodia dei reperti e la validità di tutte le procedure messe in atto nel corso dell’indagine investigativa.”

Questo è lo scopo di un progetto parallelo (della linea Daphne III) in corso, proposto e condotto dall’Università degli Studi di Bologna, curato dalla professoressa Maria VirgilioLexop – Lex Operators. Call priorities: capacity building of law enforcement agents and legal pratictioners related to intimate partner violence (dettagli)

L’idea di questo progetto si ricollega alla attività di “rete antiviolenza” che già ha iniziato ad operare in alcuni reparti di Pronto Soccorso. Queste strutture già oggi rappresentano il luogo cruciale in cui gli operatori legali e paralegali si incontrano con i medici. Alcune città e alcuni territori hanno già iniziato ad approntare dei Pronto Soccorso specializzati, i cui addetti sono già stati interessati ad attività di formazione multiprofessionale: Milano (Mangiagalli), Torino (le Molinette), Bologna (Ospedale Maggiore) in Italia, Barcellona (Hospital Clinic) in Spagna, Fulda (Freisausscuhss Violence and protection Assessment Centre) in Germania e Bordeaux (Centre Hospital-Universitaire) in Francia si offrono come il punto di partenza per questo progetto che intende comparare e confrontare tra loro le diverse esperienze, nonché ampliare sia il numero sia la tipologia degli operatori da coinvolgere in specifiche attività formative.

L’obiettivo del progetto è, dunque, migliorare l’impatto con la polizia e il sistema giudiziario delle donne che hanno subito violenza nelle relazioni di intimità, attraverso la formazione incrociata destinata agli operatori della legge, agli avvocati, ai privati e agli operanti in associazioni, alle forze dell’ordine, magistrati e giudici, medici legali per migliorare le loro competenze nella individuazione della violenza nelle relazioni intime sia nel primo intervento sia nelle risposte giudiziarie. La prospettiva è di fare rete, attrezzando un’assistenza legale idonea a supportare la decisione di denunciare ed assicurando una risposta coordinata ed efficace.

Questo impegno sul fronte giuridico è fondamentale perché uniformandosi a una cultura, qual è quella occidentale, che da sempre ha svalutato il principio dell’aver cura dell’altro come possibile misura etica dell’agire, la politica ha assunto come principio generale quello della giustizia. Se affermiamo con Simone Weil che “la giustizia consiste nel badare che non venga fatto alcun male agli uomini”, allora si può ipotizzare che, essendo la cura quella pratica che si occupa di predisporre le cose per il bene, la politica debba assumere come riferimento non solo la logica della giustizia, ma anche quella della cura; di conseguenza, l’esercizio del giudizio consiste nel valutare in che misura si sia cercato di evitare di procurare male all’altra/o e in che misura l’azione sia stata guidata dall’intenzione di procurare ciò che è bene per una buona qualità della vita (Luigina Mortari cita “Giustizia” di Simone Weil, in “A scuola di libertà”, per un approfondimento qui).

comunicattiveUn altro aspetto significativo da non sottovalutare, anzi a cui prestare molta attenzione è relativo alla scelta grafica connessa alla promozione dell’azione ricerca: l’ideazione del logo, dell’immagine coordinata e la realizzare il sito web del progetto sono state affidate alla competenzadell’agenzia bolognese delle Comunicattive, attività nata da un’esperienza di auto-imprenditoria femminile. L’agenzia è composta da quattro socie che operano nel campo della comunicazione ponendosi come realtà gender oriented, una realtà, cioè, che si propone la ricerca di una nuova geografia dell’immagine e dell’immaginazione che superi i luoghi comuni, soprattutto prediligendo una sensibilità critica “sperimentando linguaggi e modalità femminili“, dando priorità ai cambiamenti e alle innovazioni, giocando con i ruoli, le parole.

Il 28 febbraio 2013 è la data conclusiva del progetto Lexop patrocinato dall’UniBo, perciò venerdì 22 febbraio e sabato 23 febbraio saranno due giornate dedicate alla conferenza finale che tirerà le somme dei lavori intrapresi e rilancerà proposte per il futuro.

Per la preparazione della partecipazione all’evento proponiamo, come riferimento trasversale e interdisciplinare, una piccola bibliografia e sitografia:

* Massimo Recalcati, Ritratti del desiderio, ed. Cortina, 2012* Salvatore Deianna e Massimo M. Greco, Trasformare il maschile: nella cura, nell’educazione, nelle relazioni, ed. Cittadella, 2012

* Lea Melandri, Amore e violenza. Il fattore molesto della civiltà, ed. Bollati Boringhieri, 2011

* Ada Celico, Io e le spose di Barbablù, ed. Mursia, 2010

Michela Marzano, Sii bella e stai zitta, ed. Mondadori, 2010* Letizia Paolozzi e Alberto Leiss, Paura degli uomini, ed. Il Saggiatore, 2009

* AA.VV., Studi sulla questione criminale, ed. Carocci, fascicoli dal 2006 al 2011

Stefano Ciccone, Essere Maschi. Tra potere e libertà, ed. Rosenberg & Sellier, 2009

* Lea Melandri e Stefano Ciccone, Il legame insospettabile tra amore e violenza, ed. Effigi, 2008

Barbara Spinelli, Femminicidio. Dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale, ed. Franco Angeli, 2008

* Judith Butler, La vita psichica del potere, ed. Meltemi, 2005

* Tamar Pitch, Un diritto per due, ed. Il Saggiatore, 1998

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CASA DELLE DONNE PER NON SUBIRE VIOLENZAMASCHILE PLURALENOINO: UOMINI CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNEATV – ALTERNATIVE TO VIOLENCE

KETHI – Research Centre for Gender Equality (Grecia)

PLAN MUNICIPAL CONTRA LA VIOLENCIA HACIA LAS MUJERES (Barcellona)

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