Università sarda: la questione della specificità linguistica

Questo articolo si aprirà con un pezzo di bassa retorica: non è più il tempo di duchi e di marchesi, di tradizioni e canti di ignara libertà; l’antico rinsecchisce e svapora, inutile usbergo contro la brutale uguaglianza imposta dall’alto, le leggi umane si fanno divine e l’arte abbassa il capo sotto il maglio del ciclope economia; così come si bestemmiava Iddio senza poterlo prendere per il bavero, adesso inutilmente si agitano i pugni verso lo stato reticolato.

L’ultima spending review parla chiaro: per determinate cose non c’è più uno spazio possibile nella ricerca di uniformazione a parametri macroscopici, per ciò che lo stato causò non lo stato deve pagare ma saranno le fronde più deboli a essere tagliate a costo di far morire tradizioni millenarie che resero il nostro paese la culla della bellezza. Bellezza, tradizioni; parole inutili se non pronunciate ironicamente; perché guardare indietro quando il presente e il futuro già ci sfuggono di mano? Non c’è più tempo da perdere, ciò che è superfluo costa troppo di più e tutti gli sprechi sono fumo negli occhi.

E così anche una lingua, quella sarda in questo caso, madre del carattere e delle emozioni di un popolo e seconda lingua parlata in Italia con più di un un milione di parlanti, può essere spreco almeno secondo il d.l. 95/12, art. 14. Riduzione delle spese di personale, comma 16 dell’ultimo procedimento governativo secondo il quale la Regione Sardegna non può più far parte delle aree caratterizzate dalla specificità linguistica. Come conseguenza le istituzioni scolastiche con meno di 600 iscritti non potranno più avere dirigenti assegnati a tempo indeterminato, privilegio che spetterà soltanto alle aree nelle quali siano presenti minoranze di lingua madre straniera come quelle tedesche, francesi, slovene; non più minoranze che parlano dialetti storici, come il sardo, appunto, o il friulano e l’occitano.

università_sardegnaUno schiaffo alla specificità sarda e generalmente regionale contro cui si scaglia il Senato Accademico dell’Università di Sassari, che in un documento risalente allo scorso luglio, ha richiesto il rispetto di una precedente legge tuttora vigente e datata 1999 secondo la quale la lingua sarda era da tutelare esattamente come il tedesco o lo sloveno nel Sud-Tirolo, in Val d’Aosta e nel Friuli; nel documento presentato tramite delibera si legge: «È intollerabile una divisione per legge fra minoranze forti, che si appoggiano a lingue parlate in altri Stati, e minoranze deboli, che non godono di questo requisito: quasi che una simile condizione di debolezza sia in sé un fatto da censurare e non il criterio ispiratore delle citate norme di tutela delle minoranze linguistiche». Il documento non ha ancora ricevuto una risposta dalla Regione.

A sostegno della specificità sarda la cooperativa AltraCultura di Oristano propone una serie di incontri, iniziati il 21 gennaio e previsti fino al 4 marzo, con l’obiettivo di mettere in luce gli aspetti più fraintesi della standardizzazione linguistica per far sì che si faciliti il lavoro degli organi di tutela della lingua sarda. Il progetto Fols (Formatzione de is operadores de sa limba sarda) si occuperà in special modo degli operatori di sportelli linguistici troppo spesso oggetto di luoghi comuni che ne farebbero dopolavoristi o operatori folkloristici; al termine degli incontri infatti verrà rilasciato un certificato utile per occupare i posti degli sportelli linguistici e per semplificare la compilazione di albi o elenchi professionali. 

sardosIl Comitadu pro sa limba sarda che denuncia: «Questo atteggiamento autocolonizzante contrasta l’aspirazione all’equiparazione della lingua sarda a quella italiana e quindi è antagonista al processo in corso verso il bilinguismo perfetto, è dannoso dal punto di vista di una politica linguistica di liberazione e sopratutto da quello didattico in quanto discriminatorio e umiliante nei confronti del Sardo rispetto alla lingua dominante. Ciò corrisponde ad una visione museale e da riserva indiana della lingua sarda che, considera ancora il sardo non la lingua nazionale del nostro popolo ma un ammasso di dialetti di valore inferiore a quello della lingua ufficiale dello stato e incapace di veicolare contenuti alti che invece sarebbe meglio insegnare in lingua italiana» (cfr. SARDEGNA Quotidiano). 

Non solo il Senato Accademico, dunque, ma anche le cooperative, e in più le associazioni studentesche, in particolare quelli di Su Majolu, hanno mostrato di voler difendere la propria specificità tipicamente isolana; i conservatori dell’associazione, sempre sulle barricate in difesa della propria individualità, dopo avere in precedenza richiesto con il sostegno di più di mille studenti l’istituzione di due corsi di studio utili a formare insegnanti di lingua sarda, proposta ancora senza responso, si augurano che la decisione governativa possa cambiare col desiderio che il sardo raggiunga la parità con l’italiano in tutti gli ambiti della vita pubblica dell’isola con le conseguenti maggiori possibilità di impiego per più strati della popolazione.
È di febbraio l’ultima petizione del Direttivo politico nazionale di a Manca pro s’Indipendentzia (aMpI) richiedente l’insegnamento del sardo nelle scuole, consultabile qui.

C’è chi si chiederà il perché di una tale “fissazione” da parte degli abitanti di un isola che sotto diversi aspetti ha richiesto di slegarsi dalle politiche peninsulari, ma quello che più fa oggettivamente digrignare i denti non è soltanto la consapevolezza che venga limitato l’uso di una lingua da parte di chi questa lingua l’ha creata ed utilizzata da sempre, ma soprattutto l’ennesima registrazione di come la riduzione della spesa pubblica avvenga sempre secondo criteri che fanno della cultura e della specificità dei bubboni superflui da estirpare, piuttosto che ricercare denaro dove stagna in abbondanza nella sporcizia da decenni (indubbio capofila l’Isituto per le Opere Regligiose).
Ancor di più in considerazione di azioni come quella del premier uruguayano José Alberto “Pepe” Mujica Cordano, ex-guerrigliero eletto nel 2010, che una volta eletto ha deciso di decurtare il proprio stipendio del 90% trattenendo per se 800 euro a fronte dei 10000 mensili previsti, devolvendo il rimanente al Fondo Raùl Sendic che si occupa degli strati indigenti della popolazione, facendo di lui «il presidente più povero del mondo». Nonostante il Paese di cui è a capo sia sessantatreesimo nella classifica mondiale del PIL, il Premier vive con la moglie senatrice nella stessa cascina fuori dal centro città dove abitava prima dell’elezione, si muove con una Volkswagen Fusca e non si disgusta ad aprire buona parte del palazzo presidenziale Suarez y Reyes per ospitare cittadini senza fissa dimora.

I soldi di stipendio che trattengo mi devono bastare perché ci sono molti Uruguaiani che vivono con molto meno! Mi chiamano «il Presidente più povero», ma io non mi sento povero. I poveri sono coloro che lavorano solo per cercare di mantenere uno stile di vita costoso, e vogliono sempre di più. È una questione di libertà. Se non si dispone di molti beni allora non c’è bisogno di lavorare per tutta la vita come uno schiavo per sostenerli, e si ha più tempo per se stessi.

Pepe Mujica

 Ma questo forse con tutto il resto non c’entra niente.

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Intanto, però, per le ragioni della Sardegna non tutto è perduto. È stato messo a punto un progetto che rilancia la formazione linguistica sarda sotto una nuova luce: è nata la prima piattaforma didattica che consente la formazione in lingua sarda. L’iniziativa è ideata dall’Ufficio della Lingua e della Cultura Sarda della Provincia di Oristano ed elaborata in collaborazione con una equipe di docenti qualificati al fine di «aprirsi a tutti i cittadini che vogliono imparare la lingua sarda in mono nuovo, moderno e semplice!»

 

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