Mimose: María Zambrano

“El escritor defiende su soledad, mostrando lo que en ella y únicamente en ella se encuentra.”

Per María Zambrano il percorso della filosofia e quello della poesia erano inscindibili. Scrittrice, filosofa, donna incredibile che viveva del suo silenzioso lavoro. Nata in Andalusia, a Vélez-Malaga, nel 1904 non avrebbe mai cercato attenzioni o celebrità. Fu tra le prime donne spagnole ad intraprendere le carriera universitaria in ambito filosofico. Ha fatto della filosofia la sua stessa vita, dando voce a ciò che non ne aveva con un’umiltà più unica che rara.

Dal 1921, María Zambrano inizia a frequentare la facoltà di filosofia presso l’Universidad Central de Madrid. Un decennio dopo lavora nella stessa Università come assistente alla cattedra di Metafisica. Il suo percorso viene segnato dal lavoro di Miguel de Unamuno, suo maestro ideale, dalle lezioni di Xavier Zubiri, Manuel Garcia Morente e soprattutto José Ortega y Gasset, suo vero vate e maestro di vita, rispetto al quale riuscirà con il passare del tempo a trovare un percorso esclusivo e personale: la filosofia non poteva essere ripetizione o imitazione, ma doveva essere anche interpretazione, a partire dall’esperienza umana. Fin dagli anni universitari intreccia filosofia e politica, pubblicando vari articoli in difesa della Repubblica, per questo viene perseguitata dal regime franchista, che la caccerà dal Paese in esilio nel 1939. I 45 anni successivi sono segnati dalla precarietà economica e affettiva, privata della libertà e della serenità, Zambrano trova la forza di resistere e rigenerarsi. Visse a lungo in Italia tra il 1954 e il 1964. Solo nel 1984 poté tornare in Spagna, negli anni successivi venne insignita del dottorato honoris causa dall’Universidad de Málaga e l’anno dopo le viene conferito il prestigioso Premio Miguel de Cervantes. Nel 1989, sorge nella sua città di nascita, Vélez-Malaga, la Fondazione che tutt’ora porta il suo nome. Due anni dopo, morirà a Madrid.

Si occupò di filosofia contemporanea e della sua critica per il divorzio fra logica ed esperienza esistenziale, dato razionale e dato sensibile. Non vi è distanza tra filosofia e poesia: il filosofo volge la sua riflessione all’unità, un punto in cui tutto si spiega e si escludono necessariamente altri punti di vista, invece il poeta li include tutti in modo eterogeneo. Di impronta heideggeriana è il tema del ritorno da parte della filosofia alla poesia: solo una conoscenza poetica può accogliere anche le verità di un’alterità ed effettuare un’unione armonica degli opposti. Senza che né l’uno né l’altro degli opposti domini definitivamente l’esistenza, Zambrano inizia a riformare la via della ragione. Da qui si giungerà ai sentieri, necessari per lei, del sacro, oscura matrice della vita. Da un lato il fascino salvifico dall’altro il aspetto terrificante del sacro: in questa ambiguità l’umanità per mezzo della filosofia ha cercato di rimuovere o di nominare divino l’elemento del sacro.

Zambrano, come già per Heidegger, vede l’uomo come essere-gettato-nel-mondo. Ciò implica che in modo imprescindibile la morte e la nascita si appartengono. Nascita e morte nell’esistenza umana assumono un’importanza capitale. Tuttavia non esiste solo la prima e naturale nascita, ce ne sono tante altre poiché l’uomo è consapevolmente incompleto, è inadatto alla vita naturale:maria-zambrano-malaga ha bisogno degli elementi in più per sopravvivere, o meglio per poter nascere completamente secondo un movimento di inarrestabile trascendenza, come la religione, la filosofia, l’arte o la scienza. Allo stesso tempo ecco la tragedia umana: l’uomo vive nell’angoscia di trascendersi  poiché dato il suo essere incompleto, deve trascendersi in nome di una sua autenticità. La vita comporta una serie di fatiche necessarie per colmare i vuoti del proprio essere in modo tale che si costituisca un proprio essere unico, compatto, sottratto al tempo. Zambrano scrive che si devono indossare maschere di personaggi in modo da paralizzare l’essere mobile dell’uomo. Fondamentale è la dimensione carnale dell’uomo che ha anche un’accezione sacra. È il corpo che collega ogni essere alla vita primigenia, non è prigione dell’anima, anzi è strumento materiale per partecipare alla realtà sacra. Zambrano vuol dar vita a un tipo di ragione capace di prescindere dalla limitatezza umana. L’esistenza, in altre parole, non può prescindere dal patire, dal vivere e dallo sperimentare la verità. Le passioni dell’uomo danno valore a ciò che è altro del soggetto. L’unica azione possibile è il disperarsi della propria vulnerabilità. La verità dell’esistenza umana si intende come un dono che si riceve passivamente: è una rivelazione poetica.

María Zambrano dona al pensiero occidentale un tentativo di realizzazione di un mondo effettivamente democratico, dove ciascuno e ciascuna possa essere una persona il più possibile completa. Auspica a un futuro dove le differenze e ciò che è altro venga armonizzato. Quello che María Zambrano offre è una filosofia della speranza: la via del sapere per lei è stata piena di sofferenze e ostacoli che sembravano insormontabili. Come ha scritto Zambrano: “(…) el más crimen de todos: el asesinar la esperanza”.

Parte della bibliografia di Zambrano è:  “Sentimenti per un’autobiografia. Amore, pietà e nascita”, “Per abitare l’esilio. Scritti italiani”, “Per una storia della pietà”, “Luoghi della poesia”, “Per l’amore e per la libertà. Scritti sulla filosofia e sull’educazione”, “Unamuno”, “Spagna. Pensiero, poesia e una città”, “La confessione come genere letterario”, “Le parole del ritorno”, “Il sogno creatore”, “Filosofia e poesia” , “L’uomo e il divino”, “Delirio e destino”, “Persona e democrazia. La storia sacrificale”, “Dell’aurora”, “Verso un sapere dell’anima”, “Chiari del bosco”.

1 comment

  1. Pingback: Mimose: Victoria Ocampo, lynchpin della scena intellettuale in Argentina | Tropismi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.