To Be or Not to Be su Facebook

Le risposte di Umberto Galimberti alle lettere nell’inserto Donna di Repubblica sono sempre oggetto di stimolanti riflessioni, coadiuvate dalle intelligenti considerazioni del filosofo che recentemente (22 febbraio 2014) si è confrontato sul quesito: “Lei è su Facebook?”

In una lettera assertiva e abbastanza condivisibile, la lettrice Stella Giorgio, in merito al proprio rapporto con Facebook, racconta: «Io sono scappata dalle foto di amici, fidanzati, grigliate, dal tasto ‘mi piace’ e dalle richieste d’amicizia circa un anno fa, poco prima dell’esame di maturità. (…) A ogni momento di noia ero là a controllare gli altri e a confrontare la loro vita con la mia, non certo vuota di impegni, amicizie e divertimenti, ma sicuramente meno caotica e travolgente di quanto mi sembrasse quella dei miei “amici” virtuali. Mi sentivo inadatta e inferiore, ma allo stesso tempo trovavo gli altri irrimediabilmente finti.»

La risposta di Galimberti è stata chiara ed altrettanto assertiva:  «No, non sono su Facebook, non ci sono mai stato e mai ci sarò. Anche se qualcuno si spaccia per me e scrive e risponde come se fossi io. La polizia informatica mi ha ha detto che non può nulla contro queste intrusioni e, giustamente, ha cose più importanti da fare».

Galimberti fa notare che talvolta Facebook viene effettivamente usato come mezzo di incontri virtuali che rimangono tali, ossia contatti che spesso si traducono solo in pettegolezzo di paese, scambi allargati ad una cerchia più allargata di conoscenze, ma comunque ricchi di stereotipi, simili a quelli che hanno preso spazio e visibilità attraverso le tante trasmissioni televisive pomeridiane, che, con il pretesto di spudorata sincerità, espongono telecamera sentimenti, emozioni e persino l’anima.

Detto questo, però, in generale non basta l’affermazione “Non sto né starò mai su Facebook” per sfuggire ai rischi potenziale dei mezzi di comunicazione di massa. Limitarsi ad una posizione aventiniana, senza conoscere e riconoscere l’enorme successo e i meriti di Facebook e altri social network, significa negare la modernità connessa allo sviluppo delle nuove tecnologie, e non riconoscere la portata innovativa nelle scienze della comunicazione e le sue implicazioni con la politica, penso, ad esempio, alla nascita della Primavera Araba e ad altri movimenti organizzati in rete.

Per un’analisi corretta occorrerebbe, quindi, estendere il raggio del discorso dall’iscrizione su Facebook a tutta la potenzialità del web nel suo insieme, compresi smartphone e altri moderni dispositivi che permettono di essere costantemente connessi in chat.

Probabilmente per un’analisi critica sarebbe il caso di valutare ulteriori aspetti che coinvolgono modelli di consumo e la diffusione di comportamente massificati, in particolare:

  • L’evoluzione della lingua attraverso l’adozione – per semplificazione di un linguaggio spesso criptico – o da iniziati – perché carico di parole abbreviate e di espressioni – “faccine” o emoticon – stilizzate per veicolare l’emozione del messaggio a scapito della sintassi e della coesione. Questo, se da un lato facilita lo scambio immediato, dall’altro impoverisce l’articolazione delle argomentazioni, che come abitudine può, nell’ambito delle conversazioni generali, portare ad un isolamento degli interlocutori virtuali o reali, limitando il reciproco potenziale confronto ed arricchimento. Come se si appartenesse a mondi diversi e paralleli.
  • Riconoscendo l’indispensabilità della messaggistica istantanea e dei social network – ormai anche nell’ambito delle relazioni di lavoro e nello svolgimento del lavoro stesso –  lascia  tuttavia perplessi l’uso incessante che se ne fa anche nei contesti pubblici: può capitare anche al cinema di vedere più di uno smartphone o di un i-pad acceso con grande disturbo nella sala buia per tutti gli spettatori. Può sembrare una mera questione di educazione, in realtà può spingere ad un’ulteriore considerazione, non tanto per risolverla, quanto per esprimere un disagio: ci si accorge della esistenza degli altri? O l’isolamento dal mondo che ci circonda può essere una via fuga o presa distanza da chi ci è vicino?
  • L’impiego dell’hashtag (#). Questo espediente rende virale la messaggistica e caratterizza la diffusione a macchia d’olio del messaggio o del contributo condiviso. Si calcola che il selfie (autoritratto) di un gruppo di attori alla premiazione degli Oscar è stato re-twittato più di 6.000.000 di volte in poche ore. Cui prodest, questa invasione?
  • Relativamente al mondo dell’informazione. Il “notizificio”, originato dai social network, è frequentato attivamente da giornalisti, politici, attori, scrittori, cittadini ed è spesso fonte di gossip e di pettegolezzo, piuttosto che di notizie ed informazione, insomma è tutta una corsa, anzi una rincorsa tra i vari media, nella quale le fonti sono spesso omesse o incontrollate.

In conclusione, prendendo spunto dallo scambio tra lettrice e filosofo, si sono qui voluti sottolineare altri aspetti critici da considerare non tanto in relazione ai giovani quanto all’uso spesso sconsiderato che ne fanno gli adulti i quali, salvo ragioni di studio o di lavoro, “giocano” con le nuove tecnologie aggiungendo poco al proprio bagaglio di conoscenze individuali e di trasmissione del sapere.

In luogo di un clic o di un like, lo scambio di idee di una conversazione vera su un treno o dopo un film consentirebbe una condivisione più autentica di quello che si vede o si ascolta e su questo non si può che essere d’accordo con Galimberti quando sottolinea che il punto è sempre soggettivo, perché, come sempre, «dipende dall’uso che se ne fa».

In realtà alla base della discussione sui social network c’è un dubbio che probabilmente almeno una volta ha sfiorato la riflessione di tutti (utenti o non iscritti, fan o detrattori dei social): la problematizzazione di un fenomeno collettivo con cui Stella Giorgio ha concluso il suo intervento, appellandosi abilmente alla coscienza individuale in tutti i contesti in cui si esprime:

 «Insomma: fai le cose per il gusto di farle o per mostrarti?»

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