Saremo tutti poliamorosi?

Che cosa c’entra l’economia con l’amore? Me lo sono chiesta anche io quando casualmente mi ritrovai tra le mani Amori. Storia del rapporto uomo-donna, scritto da Jacques Attali.
Avevo da poco finito di leggere Amore liquido di Bauman, e vi avevo ritrovato l’analisi più sincera delle relazioni al giorno d’oggi, ho trovato quasi rassicurante la sua de-idealizzazione dell’amore e, allo stesso tempo, angosciante le sue previsioni per il futuro delle relazioni amorose. È un argomento che avevamo già trattato a proposito delle relazioni fluide di Bauman, ma ho pensato che una riflessione in più male di certo non avrebbe fatto, anche perché oggi la società contemporanea ha decostruito e messo in dubbio ogni suo fondamento, salvo l’amore.

Attali e Bauman, uno un filosofo e l’altro un banchiere, fanno la stessa diagnosi: andiamo verso un futuro in cui le relazioni saranno multiple e contemporanee, labili e precarie, in cui non ci impegneremo più “finché morte non ci separi”, ma anzi vedremo il matrimonio e la monogamia come retaggi di un passato ipocrita.
Questa sarà davvero una conquista di libertà? Secondo Attali si, secondo Bauman no!
Bauman non è certo l’unico ad aver percepito il mutamento, sicuramente la sua è un’analisi molto acuta e, a differenza di quel che egli dichiara, la sua è una prospettiva non si schiera certo a favore di questa moderna liquidità delle relazioni, anzi ne mette in luce i rischi e le derive.
Jacques Attali, noto saggista di formazione tutt’altro che umanistica, saluta invece questi mutamenti, con un atteggiamento speculare a quello di Bauman, come la tanto agognata liberazione dell’amore dalle rigide sbarre in cui la morale cattolica lo ha rinchiuso.

Francese di origine ebraica, Attali è un economista, docente all’Università di Parigi-Dauphine, fu fedelissimo consigliere personale del presidente François Mitterrand e attualmente banchiere, dal 1991 è infatti presidente della European Bank for Reconstruction and Development, ovvero un’istituzione finanziaria che vuole guidare i paesi dell’Europa centrale e dei balcani verso una visione economica di stampo liberista. A questo bisogna aggiungere che Attali è anche un saggista e uno scrittore molto prolifero, ad oggi l’elenco dei suoi bestseller e romanzi conta più di cinquanta titoli. Definito da molti un tecnocrate che gioca a fare il sociologo e il romanziere, è il promotore e ideatore del termine “poliamore”.

copAmori. Storia del rapporto uomo-donna, è un volumetto di circa duecento pagine dall’aspetto più simile a una rivista patinata che a un saggio sociologico, corredato di tante foto e immagini – molte delle quali, a mio parere, fuori luogo. L’ambizioso progetto del libro è quello di parlare del rapporto uomo-donna dalle origini ad oggi, per poi delinearne le previsioni per il futuro, il tutto in chiave socio-etno-antropologica (o almeno così sembrerebbe).

L’introduzione è tendenziosa e mostra da subito dove il nostro autore vuole andare a parare: in futuro vivremo tutti felici e poligami, e per dimostrarci che quel giorno il mondo sarà migliore passa in rassegna l’intero mondo animale e la storia dell’umanità per mostrarci felici esempi di poligamia. Il primo capitolo è interamente dedicato agli animali, o meglio agli amori del mondo animale, con grande enfasi sulla molteplicità di relazioni possibili in natura; nel secondo si racconta degli amori dei primi uomini, quelli che, a dirla breve, erano più simili alle bestie e meno contaminati dalla cultura. Nel terzo e nel quarto si parla di poliandria e poliginia, ai quali, dulcis in fundo, non poteva che seguire un capitolo di critica alla monogamia, definita come un’invenzione, ma non si capisce bene se da parte delle istituzioni religiose o da parte di una natura beffarda che per garantirci la sopravvivenza ci impone un solo partner alla volta. Il libro termina, ovviamente, con un discorso sull’agonia del matrimonio, cadendo nella trappola di identificare il matrimonio cattolico come l’unica forma di monogamia e come mezzo della sua imposizione.

Quella che Attali tenta di mostrarci sembrerebbe l’eterna sfida tra natura e cultura: da un lato la nostra natura che ci spinge alla ricerca della felicità, dall’altro il peso della tradizione (soprattutto religiosa) che ci impone la scelta di un partner “finché morte non ci separi”. Ma infine, «come in un ritorno alle origini, si annuncia una nuova era che porta con sé nuove forme di relazioni tra esseri umani fondate sulla soddisfazione istantanea dei desideri e liberate progressivamente dall’assillo della riproduzione: si profila il matrimonio contrattualmente provvisorio […] il poliamore […] la polifamiglia […]. Desiderio e amore saranno più facili da dissociare1».

Eppure abbiamo smesso da qualche decennio di farci dire dalla chiesa e dallo stato come debbano impostarsi le nostre relazioni (o almeno abbiamo allentato la morsa). Se oggi voglio avere due fidanzati nessuno mi arresterà per questo, certo sarei una mosca bianca e provocherei il biasimo dei più tradizionalisti, ma nessuno può obbligarmi a non farlo. E allora perché tanto accanimento nei confronti dell’amore monogamico?

Torniamo al dunque: cosa c’entra l’amore con l’economia?
Proviamo ad aprire un altro scenario. Un buon consumatore entra in un supermercato (meglio se ipermercato), prende il suo bel carrello e inizia il giro tra gli scaffali. Ogni novità gli fa l’occhiolino dall’alto di un espositore scintillante, ogni prodotto scritto sulla sua lista ha una mole di varianti tanto grande da riempire metri quadri di parete. In mezzo a tutto questo, il perfetto consumatore si compiace della sua possibilità di poter provare prodotti nuovi, di scegliere, di girare per ore in cerca della lattina di pelati migliore fino a farsi venire il capogiro. Perché fermarsi al primo barattolo quando più in là potrebbe trovare di meglio? Perché addirittura non provarli tutti, uno alla volta?

«Poiché la natura ci rende sempre infelici e volubili, i nostri desideri ci prefigurano la felicità e, nello stesso stato in cui siamo, ci recano i piaceri dello stato in cui ancora non siamo. E quando conseguiremo questi piaceri, non saremo felici per questo, ma perché avremo altri desideri conformi alla nuova condizione»
(Pascal, Pensieri)

Attali parla della necessità di cambiare oggetti d’amore, della soddisfazione istantanea dei desideri, che praticamente è quello che insistentemente ci chiede l’industria del consumo: ci impone di essere dei desideratori e poi ci offre i prodotti per soddisfare questi nostri desideri, i quali diventano sempre più frequenti e più vari, trasformando così gli uomini in consumatori sfrenati, immersi in un mondo in cui la soddisfazione deve essere solo istantanea, per lasciare subito il posto ad un altro desiderio. In effetti, c’è uno sfasamento traumatico tra le aspettative di felicità e le offerte della realtà. L’uomo è un animale desiderante, e il conflitto nella sua anima nasce proprio da questo: ha un desiderio illimitato, vorace, ma le sue capacità di soddisfarlo sono limitate – ma non ci voleva certo Attali a dircelo, bastava leggere Aristotele.
E in effetti, se ci riflettiamo, un desiderio che non si spegne una volta ottenuto l’oggetto di soddisfazione sarebbe un guaio per l’economia: provate a pensare a un cellulare che potete usare per 10 anni, che non passa mai di moda. Come farebbero le industrie tecnologiche a produrre e vendere un modello nuovo ogni 6 mesi? Ovvio che per poter accelerare i consumi hanno dovuto instillare nell’animo di tanti il desiderio di avere un prodotto perennemente aggiornato e soprattutto fornire poi i mezzi per soddisfare sempre questo desiderio.
La “liberalizzazione dell’amore” portata agli estremi (ma neanche troppo) segue questa stringente logica economica. E cosa sono i social network, i vari siti di incontri, per non parlare dei siti di incontri sessuali, se non i primi tentativi di commercializzare l’amore? Con una precisazione però, quello che ho appena detto non riguarda il sesso, ma qualcosa che va oltre: la mercificazione delle relazioni va al di la della vendita del corpo e della soddisfazione dei bisogni corporei sotto remunerazione. Vendere relazioni e amore è una cosa nuova, recentissima rispetto all’antichissima pratica della prostituzione, è l’ unica fetta di mercato che fuggiva dalle grinfie dell’economia liberista e che essa bramava da tempo, prevedendo grassi rientri. Diciamocela tutta, non si tratta solo di rientri economici, ma controllare, vendere, manipolare e tenere tra le mani i fili che muovono le relazioni rappresenta ben altro, rappresenta una possibilità in più di dominio sull’umano. Sarò troppo diffidente, ma non credo alla buona fede di un economista che elogia la mobilità e la precarietà delle relazioni.

Certo è che gli amori multipli sono una pratica antichissima e ancora oggi comune, ma lo scarto sta nell’imporli come necessità, come moda, nel dire che nel futuro tutti saranno poliamorosi. Saremo veramente tutti liberi, o solo liberati dall’incombenza di dover scegliere?

poliamore

Il termine “poliamore” è stato coniato indipendentemente da più persone, anche se le sue occorrenze possono già essere individuate già a partire dagli anni sessanta, probabilmente sotto le influenza del dibattito del tempo sulla libertà sessuale.
In Italia uno dei testi di riferimento sull’argomento è L’amore con più partner di Carlo Consiglio, ma anche la recente traduzione italiana di La zoccola etica, di Dossie Easton e Janet Hardy.
Coloro che si riconoscono in questa categoria rivendicano il diritto di poter scegliere una strada diversa rispetto a quella della monogamia, dominante nella società occidentale (e a questo non si può certo obiettare nulla). Se nella società di oggi un poliamoroso deve sfidare i pregiudizi e la morale comune, un domani, stando alle previsioni di Attali, chi non si adeguerà a questa nuova forma delle relazioni e preferirà avere un solo partner, verrà bollato come un bigotto tradizionalista, per non parlare poi di chi da monogamo tradisce il partner (per loro tornerà in auge la gogna). Insomma, il poliamore diverrà un obbligo morale così come lo era fino a qualche decennio fa la monogamia.

Anche i discorsi intorno alla relazione subiranno notevoli cambiamenti: «il diritto di fare ciò si vuole sarà controbilanciato dalla trasparenza», niente più relazioni clandestine, nè sentimenti inconfessati, saremo tutti nudi ed esserlo sarà un obbligo. Scrive Attali che si diventerà dapprima spiccatamente bisessuale e poi ci si disinteresserà completamente all’altro e al sesso: tutti, infatti, a forza di dirsi tutto e amare liberamente tutti, ameranno soltanto se stessi.

Il poliamore potrebbe apparire a molti come la miracolosa cura al dolore della solitudine provocato la fine dell’amore, si soffrirà di meno per le delusioni d’amore perchè chiusa una porta ne avremo tante già aperte e conosciute, e allo stesso tempo dovremo preoccuparci di meno di deludere. Le nostre aspettative di soffrire meno e non preoccuparci della sofferenza dell’altro saranno così soddisfatte. Ma la fine di una relazione non è paragonabile a un telefono o un’automobile che si rompe, non è l’alba di un glorioso nuovo inizio, che ci piaccia o no, è un fallimento.

La fedeltà è una scelta, la relazione aperta è una scelta, il poliamore è una scelta, io non voglio certo ergermi a paladina della coppia monogamica, ma sinceramente non voglio un mondo – come quello pronosticato da Attali – che non mi lascia scegliere, che mi dice che sono demodé se non ho più fidanzati contemporaneamente o se non sono felice del fatto che mio marito ha altre mogli con cui vivere il suo tempo.
Mentre quando siamo innamorati ci auguriamo che quell’amore duri per sempre, se pensiamo di dargli una scadenza decisa in anticipo allora non vogliamo innamorarci, non lo siamo, stiamo solo cercando la soddisfazione a un desiderio egoistico, a un bisogno di essere amati e non sentirci in colpa se non amiamo a nostra volta con lo stesso ardore.
Questo è il disincanto dell’amore, la disillusione che diventa consumo. Come sarà possibile passare da un amore a un altro come si passa da Tim a Wind? Semplice: oggettivandolo.

Di fronte a queste previsioni, anche io che sono contraria alla fedeltà sessuale a tutti i costi, mi sento parte di un’umanità destinata all’estinzione. Forse è vero che la coppia può essere a tratti abitudine e noia, ma non certo «frustrazione e insoddisfazione», se c’è quello il problema va cercato al di la della coppia, forse nella sempre crescente precarietà delle relazioni umane (e non solo di quelle).

1J. Attali, Amori. Storia del rapporto uomo-donna, Roma: Fazi Editore, 2008, p. 12.

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